A chi e perché dà fastidio l’analisi dei dati sui decessi Covid?

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È orrendo e cinico parlare di morti come se il loro numero, maggiore o minore, distribuito in un modo o nell’altro, dovesse avvalorare qualche tesi, nostra o di altri che ci stanno simpatici. Eppure la mia formazione culturale e politica, la mia etica e la mia indole mi dicono che è necessario tutelarsi dalla disinformazione, che può fare – quella sì – un uso strumentale dei numeri, anche dei numeri dei morti se serve, per avvalorare tesi e “mettere in sicurezza” un certo zoccolo di consenso verso determinate politiche.

Cercare e pretendere la verità, la verità dettagliata, i numeri spiegati, è doveroso, lo è sempre, e non implica mai una mancanza di riguardo verso nessuno. A meno che la ricerca non rappresenti un tentativo, appunto, di dimostrare qualcosa di predeterminato. Pretendere di sapere quanti di questi 11.600 “morti non conteggiati” sono imputabili al Covid, e quanti alla paura creata nei confronti del Covid è importante (si veda il passaggio di questo articolo del “Manifesto” dove si prospetta il rischio che in determinate province la paura del Covid possa avere fatto più morti del Covid stesso, oppure questo articolo sull’«effetto nocebo» o quest’altro sulla mortalità per infarto triplicata durante il “lockdown totale”).

Pretendere di analizzare il dato dei 26.000 morti Covid totali, scoprendo finalmente quanti sono stati uccisi dal Covid, quanti da una serie di cause tra cui il covid, e in che percentuale il Covid ha contribuito a determinare la morte, e quanti sono morti Covid-positivi ma per cause del tutto indipendenti al Covid: è irrispettoso verso i morti? O verso i medici? Chiedere di sapere la verità non è un bieco modo per insinuare che qualcuno ci abbia mentito, o per mettere sulla graticola il Governo (come magari possono fare i Salvini, Meloni & co), o per tirare in ballo i vaccini di Bill Gates. Chi vuole può fare anche quello. Io prendo le distanze.

Chiedere la verità è un questione di dignità, sempre e comunque; e in più in questo caso la verità è necessaria per avere, noi, gli scienziati, gli amministratori, tutti, la consapevolezza il più possibile esatta, e il meno possibile mistificata, di questa sfida e di questa crisi.

Da un altro articolo (pesco anche dal “Giornale“, sì, quotidiano che detesto; non vi scandalizzate, ma di questi tempi pesco dove si trova da pescare, e dove non c’è odore di fake news) è emerso che il numero dei medici morti per Covid o Covid-positivi non è 150, come dichiarato, ma circa 60: o meglio, il numero dei medici morti in servizio, che hanno contratto il virus per via del loro lavoro, è 60. Gli altri 90 sarebbero ex medici, medici in pensione, medici che hanno smesso di fare i medici, e che sono morti al pari delle persone comuni. Uno di questi aveva 104 anni.

Che senso ha gonfiare i numeri di un martirio, peraltro reale e che nessuno vuole negare? Rende onore a qualcuno? Serve a qualcosa di utile, di buono, a parte a un macabro tentativo di mitopoiesi intorno al Covid? Alessandro Bonsignore, presidente dell’Ordine dei Medici della Liguria, afferma che «all’obitorio comunale di Genova i morti per patologie diverse dal Covid-19 sono praticamente scomparsi […] Così stiamo azzerando la mortalità per qualsiasi patologia naturale che sarebbe occorsa anche in assenza del virus» (si veda questo link in proposito).

Continuo a domandarmi: perché? Io in questa falsificazione dei dati vedo un oltraggio alla dignità, alla vita, alla morte. E chiedo ai miei amici, che talvolta si imbarazzano o si indispongono per le mie piccole “inchieste” appartate, per la mia personale rassegna stampa che cerca di pescare notizie che non passano facilmente dai media principali, agli amici che non capiscono perché io mi agiti tanto sui social, e altrove, chiedo: possiamo pretendere la verità, anche oggi, come sempre, e tanto più oggi che la verità è vitale per comprendere cosa è giusto fare, cosa è necessario fare, a fronte di tantissimi errori commessi che sono costati una bella fetta della devastazione occorsa? Si può cercare e pretendere la verità (non quella con la maiuscola, naturalmente, ma le singole, spicciole funzionali verità dei dati, delle notizie, anche dei numeri), senza essere tacciati di complottismo, di disfattismo, di essere dei guastafeste, di voler sfogare una rabbia privata (come suggerisce il presidente Conte), di fare il gioco della destra (come suggerisce l’appello di alcuni intellettuali di sinistra sul Manifesto), di oltraggiare i morti o di mancare di rispetto verso gli operatori sanitari e gli altri impegnati in prima linea (come accusano tanti con cui parlo sui social e fuori dai social)?

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La fotografia a corredo è di Fulvio Orsenigo (1961), fotografo di architettura e di paesaggio. Al centro del suo lavoro, il rapporto tra rappresentazione spaziale e processi percettivi, che viene esplorato nei progetti sull’architettura e sul paesaggio con strategie di volta in volta diverse. Cofondatore del collettivo di fotografi “Fuorivista”, ha esposto alla Biennale di Venezia, alla Biennale di Architettura e alla Triennale di Milano; ha realizzato diversi progetti e volumi, insegnando fotografia presso la facoltà di Architettura dell’Università di Venezia.


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