Sullo spirito costituente. Intervento di Giulio Milani

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Abbiamo deciso di tenere oggi questo convegno perché il 2 giugno 1946 non rappresenta soltanto la data in cui il nostro Paese è passato dal regime monarchico a quello repubblicano, ma anche il giorno in cui si decise l’elezione a suffragio universale dell’Assemblea Costituente, a cui il popolo italiano delegò, con l’espressione della sua massima sovranità politica, il mandato di elaborare e promulgare la nuova Carta Costituzionale della nascente Repubblica.

La Carta Costituzionale è infatti la fonte primaria e più alta del diritto, e insieme la “norma fondamentale” con la quale un Paese si dota in modo permanente della struttura e del perimetro di esercizio del potere come delle modalità per ottenere i suoi scopi fondanti. Nel caso della Costituzione italiana, che è una Costituzione che nasce dal basso e non viene concessa dall’alto come nel caso del suo diretto precedente, lo Statuto Albertino, si tratta di una carta prescrittiva, di natura normativa, ma anche programmatica, nel senso che è dotata di una prospettiva per il futuro: i costituenti infatti decisero di impostarla in modo da indicare i temi di fondo della convivenza civile, tanto che la prima parte della Costituzione è una vera e propria “carta dei diritti inviolabili della persona umana”, che pone determinate obbligazioni a carico del legislatore. Lo si deve all’epoca storica in cui si tenne la Costituente, ossia all’indomani di una dittatura che aveva dato vita a uno Stato etico totalitario: l’individuo non era considerato come depositario di diritti e valori, ma era concepito nel suo rapporto con una legge superiore e soverchiante, che lo asfissiava fino a togliergli la dignità.

La risposta dei Costituenti fu quella di riconoscere alla persona umana un valore e una dignità che precedevano lo Stato, una dottrina politica nota come “personalismo”. Giuseppe Dossetti si fece carico di sintetizzare l’ampio dibattito filosofico e giuridico che precedette l’inizio dei lavori in un ordine del giorno che divenne, in modo informale, un punto di riferimento per tutti. Era articolato su tre punti: 1) «la precedenza sostanziale della persona umana rispetto allo Stato»; 2) il riconoscimento della naturale socialità di tutte le persone, le quali si completano e perfezionano «mediante una reciproca solidarietà economica e spirituale»; 3) il riconoscimento dei diritti fondamentali di queste due sfere, sociale e politica. Il concento di individualismo veniva dunque superato nel concetto di personalità, dando luogo a un «pluralismo giuridico».

La Costituzione cristallizza questa riflessione condivisa all’art. 2:

“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.”

Lo Stato è dunque posto al servizio della persona, e non il contrario come sotto il totalitarismo e lo Stato etico. Questo fu il terreno di incontro tra le tre principali ideologie o correnti di pensiero che ottennero i maggiori consensi: la componente cattolica (35 % dei voti), quella socialista (20,7 %) e quella comunista (18,9 %). Le tre sostanziose “minoranze”, divise su moltissimi aspetti, dovettero trovare il terreno comune su cui convergere per fare la “rivoluzione giuridica” alla quale erano chiamati. Si trattò dunque di un compromesso culturale, prima che politico. Il “compromesso costituente” si formò su queste basi: rifiuto e rovesciamento dei postulati dello Stato fascista (autoritarismo, partito unico, nazionalismo bellicista); ripristino delle libertà e delle garanzie dello Stato di diritto; larga apertura ai principii dello Stato sociale, alla democrazia parlamentare o “dei partiti” come strumento di integrazione della società di massa nel nuovo sistema istituzionale. Togliatti affermò che l’intenzione era di fare “unità” tra le istanze morali più rappresentate nel Paese. L’incontro nell’Assemblea Costituente generò in effetti una conoscenza reciproca, e la conoscenza reciproca permise il dialogo.

Ora, le persone che si sono riunite qui oggi non hanno alcuna particolare competenza tecnico-giuridica per discutere la lettera della nostra Costituzione, ma sono persone che hanno lottato per due anni nei posti di lavoro, negli ospedali, nelle scuole, nelle piazze e nei tribunali, in difesa della Costituzione e della libertà: fanno dunque parte di quel 30, 35 % dell’opinione pubblica che ha vissuto l’applicazione del “paradigma emergenziale di governo” e i clamorosi eventi geo-politici del 2020/2022 come un vero e proprio “colpo di Stato” da parte del potere esecutivo, nulla importa se col consenso dei più o per meglio dire sulla base del terrore.

Se la nostra Carta Costituzionale, all’art. 78, prevede un solo caso di emergenza nazionale con poteri speciali all’esecutivo e menziona questo caso come “stato di guerra”, è del tutto evidente che si tratta di una prescrizione univoca e invalicabile. I Costituenti non conoscevano forse le epidemie? Le conoscevano perfettamente. Ma avevano imparato sulla loro pelle che la via per una dittatura o per un regime autoritario passa storicamente dalla promulgazione dello “stato di emergenza” per motivi più o meno fondati, più o meno pretestuosi. Dunque ne avevano stabilito la fattispecie e i parametri di esercizio. Rileggiamolo insieme, tanto è brevissimo:

«Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari.»

Fine. In tutta la Costituzione, non c’è traccia di altre circostanze speciali. La legge istitutiva della Protezione Civile, che parla di situazioni (regionali) di emergenza per calamità naturali, non menziona una sola volta le epidemie e soprattutto non prevede nulla di quanto accaduto in questi due anni. L’eversione del dettato costituzionale come della legge ordinaria che ne deriva è palese, acclarata da diverse sentenze giudiziarie, ma non è questo il punto di arrivo del nostro convegno. È solo il punto di partenza per comprendere come mai ci troviamo qui, oggi, a discutere di Costituzione, diritti, spirito costituente.

Abbiamo deciso di suddividere i lavori in tre momenti: da adesso fino alle 11 ascolteremo gli interventi dei relatori: ognuno porterà il proprio contributo per inquadrare il tema e l’ambito di discussione; dalle 11 alle 12 si terrà un confronto aperto agli interventi dei delegati, che potranno porre le loro considerazioni e domande – uno per gruppo – per un massimo di tre minuti a testa. Dopo una breve pausa, alle 12,20, leggeremo un documento conclusivo e avremo modo di continuare la nostra discussione fino all’ora di pranzo, previsto per le 14, con l’augurio di portare a casa un primo risultato congiunto. Fin qui, infatti, la prospettiva costituente è stata una proposta lanciata dal gruppo di Rivoluzione Allegra nel maggio dell’anno scorso: se riuscissimo a convergere su un documento condiviso, la stessa prospettiva sarebbe il frutto di una mediazione politica e come tale portata all’attenzione di tutti gli altri soggetti dell’opposizione anti-sistemica, a partire dalla Rete dei Movimenti di Resistenza Costituzionale, di cui già fanno parte molti gruppi oggi presenti. Inoltre, affinché venga mappato e divulgato questo passaggio, e se saremo all’altezza delle intenzioni, è prevista la pubblicazione in volume degli atti del convegno. Al contrario dei transumanisti, infatti, noi restiamo convinti che il valore dei libri di carta sia un tutt’uno con la difesa della nostra cultura umanistica, dei nostri valori e delle nostre tradizioni di pensiero contro ogni tentativo di cancellazione, e ne siamo convinti perché riteniamo che l’era digitale abbia una capacità di produrre il falso che ha superato quella di scoprirlo.

Ma veniamo al punto. Cosa intendiamo per prospettiva costituente? La scelta di concentrare l’attenzione sull’Assemblea Costituente, in questa giornata commemorativa, è nata dalla necessità e dal desiderio di riscoprire la capacità di confronto, tra orientamenti culturali e politici anche lontanissimi tra loro, che portò quella generazione di Costituenti a valorizzare le posizioni di tutti tenendo comunque fermi alcuni caposaldi: primi fra i quali la difesa della libertà, del lavoro, della pace e dell’unità nazionale. Certo, la distanza tra quel tornante decisivo per la storia della nostra comunità nazionale e la stagione attuale è profondissima, ma è altrettanto evidente che l’accelerazione storica ci impone di riconquistare quella stessa tensione ideale se vogliamo sventare la deriva di cui siamo ostaggi.

L’idea che anima questo convegno è pertanto quella di prendere ispirazione dallo spirito dei Costituenti, prima ancora che dal frutto del loro lavoro, perché ci faccia da guida in questi tempi incerti e tuttavia epocali. Noi siamo infatti convinti che il momento sia dirimente. È come se avessimo avuto la possibilità, dal 2020 a oggi, di guardare avanti nel tempo e vedere il tipo di società che la parte alta della piramide sociale sta apparecchiando al resto della popolazione occidentale se non al resto del mondo. È il tipo di società a cui pensavano i Costituenti? È il tipo di società che vogliamo tutti? È il tipo di futuro per il quale ci sbattiamo ogni giorno e nel quale vorremmo che vivessero i nostri figli? Più in generale ancora, se non esistono alternative a questo sistema, come si può parlare ancora di futuro? Il futuro coincide con l’avanzamento tecnologico e basta? E lo spirito?

Lo spirito costituente e l’«io minimo»

Lo spirito, appunto. Il nostro spirito è per sua natura costituente. Tuttavia l’ideologia del mercato ha prodotto un “io minimo”, come lo chiamano gli psicologi, che è deputato a svolgere le funzioni e le istruzioni per sopravvivere nel sistema vigente. Il quale ha lo scopo – dichiarato o meno non importa – di sostituire il lavoro dell’uomo con la macchina; tutto – lavoro, politica, istruzione ecc. – è subordinato all’esigenza di soddisfare dei bisogni materiali: nel sistema in cui viviamo, l’io costituente finisce per sperimentare essenzialmente due condizioni: essere venditore ed essere merce.

Resiste e sopravvive, è vero, quella parte di noi che non è riducibile al solo fattore economico, o numerico, o quantitativo, e questa parte è quella più sacra, nascosta, braccata dall’ideologia materialista, a cui diamo il nome di “essere umano”. Ma quando l’io minimo prende tutti gli spazi, l’essere umano vive alla giornata, si disinteressa del passato, del futuro e di ciò che ci avviene intorno: in una parola diventa un soggetto assoggettato al sistema, un robot di carne non diverso da quello che profetizza il regista David Cronenberg. Eppure, quella parte irriducibile al robotico e ai bisogni materiali che è il nostro “io costituente”, viene prima e sta più in alto di qualunque programma o decisione dell’io minimo amministrativo. L’io costituente sa che il modo in cui viviamo non è quello per cui siamo nati ed è per questo che l’Occidente ha sviluppato la cosiddetta “coscienza infelice”.

Sul piano politico, per spirito costituente si dovrà allora intendere anche l’impegno attuale di tutti i singoli, i gruppi, i comitati, i movimenti, le associazioni e i partiti che si stanno unendo per difendere la Costituzione, per attuare la Costituzione, per dare nuova sostanza a libertà e diritti.

Sul piano storico, i Costituenti erano persone che avevano sperimentato sulla propria pelle cosa significano l’odio, la lacerazione, la caccia al nemico pubblico, la discriminazione, la guerra: in una parola erano stati oppressi e rappresentavano le preoccupazioni e gli interessi degli oppressi, senza mediazioni da ventriloqui. Questo li aveva condotti a considerare l’altro e l’alterità in modo opposto rispetto alla stagione fascista, nel corso della quale l’altro e l’alterità costituivano sempre e soltanto una potenziale minaccia, un avversario da controllare o un nemico da sconfiggere. Per spirito costituente si intende pertanto la capacità che ebbero allora quelle persone di elaborare un testo giuridico che regolamentasse diritti e doveri, nonché limiti e poteri nella gestione dello spazio pubblico con tutto un sistema di pesi e contrappesi giuridico-istituzionali, e nello stesso tempo di assegnare alla Costituzione il compito di creare una comunità politica orientata allo sviluppo e al bene comune di tutti i suoi membri.

Impegnarci ad approfondire i rapporti tra il testo costituzionale e la sua attuazione, tra l’epoca in cui è stato scritto e la nostra, tra quanto vi è rimasto di inespresso e la sua cristallizzazione effettiva, non è soltanto un esercizio teorico, ma una vera “ginnastica democratica”, come direbbe Ugo Mattei, che ha lo scopo di rimettere in forma la natura ormai esangue dei nostri “corpi intermedi” e di liberare il futuro a partire da una nuova consapevolezza sui nostri mezzi e sulle nostre possibilità. Un’occasione, quindi, per ripensare al ruolo della Carta Costituzionale e allo spirito dell’Assemblea Costituente come primo modello politico di ogni azione e decisione che andremo a prendere e per cambiare, se avremo l’opportunità di farlo, il regime in cui viviamo e la sua traiettoria.


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