I morti per COVID nel 2020? Per definizione
Quando un soggetto positivo al SARS-CoV-2 muore «occorre sempre riportare COVID-19 come causa di morte». Uniche eccezioni: donne gravide e traumi. Parola dell’ISTAT (e dell’OMS).
Per il nostro Istituto di statistica nazionale, «per definire un decesso come dovuto a COVID-19, devono essere presenti tutti i seguenti criteri:
- Decesso occorso in un paziente definibile come caso confermato di COVID-19.
- Presenza di un quadro clinico suggestivo di COVID-19. La definizione di quadro clinico compatibile è di pertinenza del medico che certifica le cause di morte (curante o necroscopo)[1].
- Assenza di una chiara causa di morte diversa dal COVID-19 o comunque non riconducibile all’infezione da SARS-CoV-2 (es. trauma). Ai fini della valutazione di questo criterio, non sono da considerarsi tra le cause di morte diverse da COVID-19 le patologie pre-esistenti che possono aver favorito o predisposto ad un decorso negativo dell’infezione. Una patologia pre-esistente è definita come qualsiasi patologia che abbia preceduto l’infezione da SARS-CoV-2 che abbia contribuito al decesso pur non facendo parte della sequenza di cause che hanno portato al decesso stesso. Per esempio, sono patologie pre-esistenti il cancro, le patologie cardiovascolari, renali ed epatiche, la demenza, le patologie psichiatriche e il diabete.
- Assenza di periodo di recupero clinico completo tra la malattia e il decesso. Per periodo di recupero clinico completo deve intendersi la documentata completa remissione del quadro clinico e strumentale dell’infezione da SARS-CoV-2»[2].
Come si legge nel punto tre, la storia clinica del paziente non conta. Tant’è che «un decesso dovuto alla COVID-19 dovrebbe essere conteggiato indipendentemente dalle condizioni preesistenti che si sospetta possano innescare un grave decorso di COVID-19»[3]. In alte parole, in presenza delle quattro condizioni suddette, tutti i morti positivi al SARS-CoV-2 sono “per definizione” morti “per” COVID-19. A meno che non si abbia a che fare con una gravidanza finita in tragedia oppure un trauma (per esempio un incidente). Solo in questi due casi il decesso di un paziente positivo al tampone non deve essere attribuito alla COVID-19. In tutti gli altri casi «occorre sempre riportare COVID-19 come causa di morte»[4].
Se così stanno le cose, è abbastanza evidente che il rapporto tra morti “per” COVID (tutti meno le gravide e gli incidentati) e quelli “con” COVID (tutti quelli positivi al tampone) sia estremamente alto e fuori scala: 88%, più del doppio di quello fatto registrare dai morti per tumore (43%), che rappresenta la causa di morte con il secondo rapporto più elevato (morti per/morti con) tra i sedici raggruppamenti considerati[5].
A questo punto, qualche maligno malpensante complottista e negazionista, potrebbe essere portato a credere che si tratti di una eccezione introdotta ad hoc per sovrastimare la mortalità del SARS-CoV-2. E invece no! «Le regole e le linee guida internazionali per la selezione della causa iniziale [di morte] si applicano normalmente ai casi che riportano il COVID-19; ma dato l’interesse ai fini della salute pubblica per questa malattia si forniscono alcune precisazioni sulla corretta codifica rivolte soprattutto agli esperti del settore»[6]. In altre parole, le regole che si applicano alla COVID-19 non sono nulla di nuovo. Ma che cosa dicono queste regole e le linee guida internazionali, e che cosa viene precisato agli esperti del settore dai loro colleghi ancora più esperti?
Lo scopriremo nel prossimo articolo.
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[1] Segue lista dei criteri clinici, come per esempio: febbre, tosse ecc., non molto difforme nelle due versioni del documento.
[2] Rapporto ISS COVID-19 n. 10/2021: COVID-19: Rapporto ad Interim su definizione, certificazione e classificazione delle cause di morte, a cura di Gruppo di Lavoro ISS Cause di morte COVID-19, Gruppo di lavoro Sovrintendenza sanitaria centrale – INAIL, ISTAT, versione 26 aprile 2021, p. 4. Cfr. iss.it. Corsivi miei.
[3] International Guidelines for Certification and Classification (Coding) of COVID-19 as Cause of Death – Based on ICD International Statistical Classification of Diseases, 20 aprile 2020, reperibile sul sito World Health Organization (www.who.int) alla sezione “Publications”, p.3 della versione in lingua inglese.
[4] Rapporto ISS COVID-19 n. 10/2021: COVID-19: Rapporto ad Interim su definizione, certificazione e classificazione delle cause di morte, a cura di Gruppo di Lavoro ISS Cause di morte COVID-19, Gruppo di lavoro Sovrintendenza sanitaria centrale – INAIL, ISTAT, versione 26 aprile 2021, p. 5. Cfr. iss.it
[5] Tecnicamente, tale rapporto si calcola a partire dalla causa iniziale di morte (numeratore) e la causa multipla di morte (denominatore), vale a dire come rapporto percentuale tra numero di decessi osservati con una causa iniziale x e il numero di volte in cui una causa x è causa multipla (è, cioè, menzionata pur non essendo necessariamente indicata come causa iniziale). «Questo indicatore fornisce una misura del grado di “concordanza” tra una causa definita come iniziale e come multipla. In pratica, indica la “perdita di informazione” che si potrebbe avere considerando unicamente le statistiche basate sulla causa iniziale senza considerare le informazioni sulle cause multiple indicate nella scheda di morte. Quindi, più il valore dell’indicatore è basso, maggiore è la perdita di informazione (mentre un valore pari a 100 indica che la causa menzionata nel certificato è sempre selezionata come causa iniziale)». Cfr. Cause multiple di morte in datiistat.it.
[6] Rapporto ISS COVID-19 n. 10/2021: COVID-19: Rapporto ad Interim su definizione, certificazione e classificazione delle cause di morte, a cura di Gruppo di Lavoro ISS Cause di morte COVID-19, Gruppo di lavoro Sovrintendenza sanitaria centrale – INAIL, ISTAT, versione 26 aprile 2021, p. 10. Cfr. iss.it.
Quarant’anni all’anagrafe, le mie prime esperienze politiche le ho fatte al liceo, votando sempre NO alle occupazioni: saltare scuola e fumare canne non mi parevano motivazioni sufficienti. Quali sarebbero state le giuste motivazioni lo avrei scoperto soltanto all’Università, dove Gianfranco Pala mi fa conoscere il Moro di Treviri e altri importanti personaggi che non mi hanno più abbandonato. Dalla teoria alla prassi il passo è inevitabile ma non altrettanto entusiasmante. Dopo lungo peregrinare tra partitini, correnti, spifferi e gruppetti (comunisti o sedicenti tali), trovo pace dentro un collettivo che contribuisco a fondare, metto sù famiglia con una dottoressa anestesista-rianimatrice e conquisto finalmente il tanto agognato posto fisso presso un importante ministero della Repubblica italiana. Insomma, mi sistemo. Poi arriva la Pandemia che mi spinge nelle piazze infiltrate dalle principali formazioni neofasciste italiane, mentre i compagni che seguivo e ammiravo invocavano lockdown duri in stile Wuhan, vaccinazione di massa obbligatoria e fucilazione dei renitenti, argomentando che ciò era nell’interesse del proletariato. Insomma, una situazione imbarazzante e francamente anche un po’ preoccupante, dal momento che tra le mie caratteristiche non c’è sicuramente quella di saper menare le mani. Sbagliavo io o sbagliavano i compagni? Occorreva scoprirlo e per farlo c’era un solo modo: mettersi a studiare. Sui libri e sulla strada.
Alessandro Bartoloni è autore del volume Critica marxista della vaccinazione Covid.