Premio Nobel letteratura 2018/19: l’Unione dei contrari

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La Swedish Academy ha annunciato i vincitori dei premi Nobel per la letteratura 2018 e 2019 ieri, giovedì, ma il comunicato sta già suscitando moltissime polemiche. E la ragione ha nome Peter Handke.

Cominciamo da un anno fa, quando, come molti sanno, il premio del 2018 è stato posticipato dopo lo scandalo per violenza sessuale che ha travolto l’Accademia svedese: è stato così assegnato, ieri, all’autrice Olga Tokarczuk, resa nota in Italia dal romanzo I vagabondi. Tokarczuk non era tra le favorite, tuttavia viene considerata una delle più grandi scrittrici nella scena letteraria polacca.

Il premio del 2019 va invece all’autore austriaco Peter Handke. Handke è stato l’apologeta (e se consideriamo quanto sia famoso, anche il più importante apologeta al mondo) del dittatore serbo Slobodan Milošević – accusato di crimini contro l’umanità, nel 2001 è imputato per il genocidio bosniaco. Milošević morì in prigione nel 2006, durante il suo processo, prima ancora che fosse reso noto il verdetto. Handke elogiò Milošević al funerale: il suo discorso si concludeva «This is why I am here today, close to Yugoslavia, close to Serbia, close to Slobodan Milošević». Questo è il motivo per il quale sono qui oggi, vicino alla Yugoslavia, vicino alla Serbia, vicino a Slobodan Milošević. Durante la Guerra, ancora, parlò ripetutamente a favore del regime di Milošević, sostenendo che il dittatore era stato travisato dai media occidentali e che i massacri di uomini musulmani bosniaci da parte delle truppe serbe erano stati una messa in scena dagli stessi musulmani. Durante le proteste, che lo accolsero quando andò a ritirare il Premio Internazionale Ibsen a Oslo nel 2014, gli gridavano: «Genocide denier.» Rinnegatore del genocidio.

La nota organizzazione free speech PEN America ha affermato di essere «sbalordita dalla selezione di uno scrittore che ha usato la sua voce pubblica per minare la verità storica», in una dichiarazione del suo presidente, Jennifer Egan, che continua: «In un momento di crescente nazionalismo, leadership autocratica e disinformazione diffusa in tutto il mondo, la comunità letteraria merita di meglio. Ci rammarichiamo profondamente per la scelta del Comitato Nobel per la letteratura.» Il romanziere britannico-indiano Hari Kunzru twitta che Handke «è una scelta preoccupante per un comitato Nobel che sta cercando di rimettersi in pista dopo recenti scandali. È un bravo scrittore, che combina grande intuizione con scioccante cecità etica.» E poi l’autrice slovena Miha Mazzini: «Alcuni artisti hanno venduto le loro anime umane per ideologie (Hamsun e nazismo), alcune per odio (Céline e il suo rabbioso antisemitismo), altre per denaro e potere (Kusturica), ma quella che mi ha offeso di più è stata Handke con la sua ingenuità per il regime di Milošević. Ed è personale. Non dimenticherò mai il freddo inverno in cui la Jugoslavia stava cadendo a pezzi e non c’era nulla sugli scaffali dei negozi. Eravamo una giovane famiglia e mia figlia era una bambina e faceva un freddo pungente. Avevo passato l’intera giornata in coda per il combustibile per il riscaldamento e la sera, quasi congelata, ho iniziato a leggere il saggio di Handke sulla Jugoslavia. Scrisse di come mi invidiava: mentre quegli austriaci e tedeschi, quegli occidentali, erano innamorati del consumismo, noi jugoslavi dovevamo fare la fila e lottare per tutto. Oh, quanto eravamo vicini alla natura! Quanto eravamo meno materialisti e più spiritualizzati! Anche a quel tempo, l’ho trovato crudele e totalmente egocentrico nella sua ingenuità.» Seguono i commenti di diverse autorità politiche. Il ministro degli Esteri albanese definisce il premio ad Handke «un atto ignobile e vergognoso». L’ambasciatore del Kosovo negli Stati Uniti ha twittato «in un mondo di brillanti scrittori, il comitato del Nobel sceglie di premiare un divulgatore di odio e violenza etnica».

Ma Handke non è nuovo a questo tipo di controversie. Nel 2006 era stato nominato, nella città di Düsseldorf, per il premio tedesco Heinrich Heine, assegnato a scrittori che promuovono la solidarietà. Ma dopo lo sdegno di molti – compresi i membri del consiglio comunale di Düsseldorf, che erano incaricati di amministrare il premio e che minacciavano di porre il veto alla vittoria di Handke – lo scrittore ha rifiutato l’assegnazione prima che gli venisse revocata.

E poi la beffa. Handke non è un fan del premio Nobel come istituzione. Nel 2014, infatti, dichiara che «dovrebbe essere abolito» perché «promuove la falsa canonizzazione della letteratura». Davvero?

Confrontiamo le due vittorie. Handke e Tokarczuk. Scelta casuale o politica? Serve un passo indietro. La Swedish Academy lavora duro nell’ultimo anno con tutta la sua retorica battente sulla «necessità di diversificazione» del suo mandato. A pochi giorni dall’annuncio dei vincitori, il capo del comitato è fiducioso che il premio possa evitare prospettive «male oriented» ed eurocentriche ​​che avrebbero, invece, dominato il giudizio in passato. Di certo, l’Accademia è stata di parola. Ha diversificato. Uno scrittore che si presta alla propaganda dei nazionalisti serbi da un lato, di qua un’autrice che scrive per «abbattere le barriere». La vittoria di Handke, infatti, contrasta in modo palese nel confronto con la figura della Tokarczuk, che è una progressista in un Paese, la Polonia, sempre più reazionario. Tokarczuk, infatti, si presenta così. Una femminista vegetariana stravagante e rasta. Vive con la sua compagna traduttrice e i loro cani in una zona rurale della Bassa Slesia, che divenne parte della Polonia solo dopo la seconda guerra mondiale. Il suo romanzo più recente, The Books of Jacob, racconta la storia di un leader religioso del diciottesimo secolo, Jakub Frank, che guidò la conversione forzata dei suoi seguaci ebrei sia nell’Islam che nel Cattolicesimo. Quando è stato pubblicato nel 2014, Tokarczuk è stata denunciata come traditrice per aver suggerito che la Polonia non era solo una nazione coraggiosa, sopravvissuta a secoli di oppressione, ma era stata a sua volta un Paese oppressore e spaventoso. Eppure, oggi non sembra infastidita dal premio assegnato a Handke, nonostante il suo lavoro non sia solo politico ma fermamente antinazionalista. Secondo il “Times”, avrebbe dichiarato al quotidiano polacco “Gazeta Wyborcza” di essere «felice» che anche Handke fosse stato onorato. «Lo apprezzo molto. È bello che l’Accademia svedese abbia apprezzato la letteratura della parte centrale dell’Europa,» ha affermato Tokarczuk, la quindicesima donna a ricevere il premio.

Sì, molti diranno che è problematico escludere da un riconoscimento letterario gli scrittori che si sono compromessi appoggiando qualche causa politica sbagliata, che si premia l’opera e non l’uomo. Ma non c’è un conflitto profondo, inaccettabile, forse solo interiore al momento, che prima o poi bisognerà risolvere? Non abbiamo bisogno di chiarezza e di prendere posizioni schiette? Nonostante questo richieda nervi saldi e sia sfiancante, perché non abbiamo risposte a tutto.

A un giorno dal premio, mi rimbalza ancora la domanda. Qual è il messaggio subliminale di questo premio, che conferisce lo stesso riconoscimento a un filonazionalista da un lato, e a una antinazionalista dall’altro? Ecco, per me rimane una contraddizione che non si ricuce.  

*** *** ***

Fotografia a corredo di Michela Bin, per gentile concessione dell’autrice. Nata a Trieste nel 1972, Michela Bin è laureata in archeologia medievale presso l’Università di Trieste; appassionata di fotografia da sempre, ha approfondito le sue conoscenze, tra gli altri, con Graziano Perotti.


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