Quinto manifesto degli Imperdonabili. Ci occorre un pensiero forte per orientare l’azione e uno spazio reale dove esprimerla

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Viviamo un tempo di svolta e quasi di sollevazione. È come osservare una serie di fuochi su un terreno: un fuoco qui, uno là, un altro più giù… L’incendio si va estendendo rapidamente. La storia è del resto piena d’incendi, giusto? Vedremo. Intorno a noi, e qui restringo il campo al circuito editoriale/culturale cui appartengo, un sistema collassa; che dobbiamo fare, in qualità di esseri umani e di scrittori? Come possiamo conciliare scrittura e lavoro, identità autoriale e personale, teoria e pratica, concreto e astratto? Dal mio punto di vista scrivere non basta più, e neanche scrivere e lavorare (che si tratti di un impiego estraneo alla scrittura o vicino a essa) basta più. Ciò di cui sento l’urgenza è uno SPAZIO REALE in cui esprimermi. Muovendomi con la cautela del semicieco propongo poche cose, in ordine crescente d’importanza.

Primo: concepire luoghi – anzitutto fisici – d’incontro (Facebook, che in potenza sarebbe un formidabile strumento coesivo, rafforza l’isolamento e il narcisismo, mutando il dibattito in battibecco). La solitudine è la condizione prevalente di molti uomini e donne che operano nella cultura e nell’editoria; il fittissimo numero di fiere e festival che si svolgono ogni mese in giro per l’Italia a mio avviso non rappresenta un momento di aggregazione; al massimo ci si ritrova “fra amici”, la sera a tavola, lontani da un palcoscenico che ha comunque perso centralità e senso.
Secondo: stabilire un ordine del giorno che si occupi, per esempio, di ridiscutere il concetto di cultura, a partire dai massmedia e dal servizio pubblico giù giù fino alle pagine degli inserti e alla critica. A me oggi la cultura rammenta la lettera rubata di Poe: data per scontata fino all’invisibilità. Oppure mi sembra un blob, un calderone tipo quello in cui le streghe del Macbeth gettano un caos di pozioni, e il caos non giova a nessuno.
Terzo: allenare un pensiero limpido che sappia discernere l’estrema complessità attuale, che sappia coglierne le peculiarità, i rischi e le opportunità. Il discernimento non significa esclusione o condanna ma benessere.

Capire meglio il mondo in cui si abita fa stare meglio. Sono dunque partito dalla fine: senza un pensiero forte non si elabora un nuovo ordine del giorno, e senza un nuovo ordine del giorno è inutile riunirsi. Ma la strada nuova la si apprende camminando. Occorre incarnare l’intento nell’azione e muoversi con lo spirito dell’esploratore. In tal senso il dibattito è essenziale; permette non tanto di passare dalla teoria alla pratica, quanto di elaborare al contempo una teoria e una pratica. Proprio nell’azione intravedo un cambiamento effettivo, e l’azione parte dagli incontri. Bisognerà agire gradualmente, con sana curiosità, mettendo in conto le divergenze, gli inciampi, gli abbagli, le strade prese e poi ripudiate ma sempre tenendo lo sguardo fisso alla stella del mattino, che poi sarebbe una modalità nuova, più fluida e paradossalmente più rigorosa, di creare immaginario. Concludo affermando che ciò che ho appena esposto mi appare al momento sia inattuabile sia indispensabile, ma lavorare sui paradossi è da sempre per l’appunto il compito principale della cultura.

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Immagine a corredo del testo per gentile concessione di Diego Barsuglia: nato a Pisa nel 1978, è fotografo professionista dal 2006. Da qualche anno si occupa principalmente di inquinamento, salute e consumo del suolo. I suoi lavori sono stati pubblicati tra gli altri su Sette, Repubblica, l’Espresso, El Mundo, El Paìs, Rai e Sky. 


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