L’industria culturale è ridotta al pianerottolo dei soliti noti.

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Intervista di Angelo Molica Franco a Giulio Milani uscita sul Fatto quotidiano del 21.11.19

“Ma come si può parlare di repubblica delle lettere e di democrazia dei lettori, se i lettori sono a conoscenza solo di una minima parte della produzione letteraria?” A chiederselo è Giulio Milani, scrittore ed editore di Transeuropa, intervistato in merito al movimento di protesta capitanato dallo stesso e da Veronica Tomassini, scatenatosi in seguito al licenziamento del critico Davide Brullo dal sito Linkiesta.
Brullo racconta alla rivista Pangea: “Mi hanno cacciato, licenziato. Colpa di Nadia Terranova, Veronica Raimo, Teresa Ciabatti.” L’affaire, secondo la ricostruzione di Brullo, è presto detto: giunto un nuovo direttore, la sua rubrica di stroncature è sospesa. Segue comunque a recensire libri. Tuttavia, dopo un pezzo su La morte di Penelope di Maria Grazia Ciani – in cui, dopo averla incensata, si chiedeva perché “sulle copertine dei giornali” ci finissero però “ scrittrici meno capaci di lei, dal profilo televisivo, Nadia Terranova, Veronica ramo, Teresa Ciabatti” –, viene messo alla porta.

Milani, cosa sta succedendo alla critica letteraria?

A leggere le recensioni sui giornali, non molto diverse dai pareri su Amazon, sembra di avere a che fare con uno scambio di favori tra manovratori, scrittori/critici che costruiscono quella che definisco “la specie letteraria protetta”. Tutto nasce nel 2011 con il TQ, il movimento della generazione Trenta/Quaranta lanciato da Marco Cassini e la sua Minimum Fax, Nicola Lagioia, Christian Raimo, che voleva riformare il sistema editoriale. Poi, questa rete è nata quando Nicola Lagioia è diventato direttore del Salone del Libro di Torino e ha costruito la sua squadra con le persone che lavoravano con lui a Minimum. Operazione legittima, ma a mio avviso scorretta sul piano della libera concorrenza e della cosiddetta democrazia dei lettori. Ma il punto non è la specie letteraria protetta in sé, di cui comprendo anche la logica: l’editoria ha preso una piega industrialista con questi “libri del catodo”, oggettivamente brutti., che provengono dalla società dello spettacolo, e fare rete è necessario. Ma è che nel fare questo rischiano di escludere se non boicottare, come nel caso di Brullo, chi non ne fa parte, editori e scrittori più periferici che non hanno né meno competenze né meno passione, lontani dagli spazi e dai centri di potere da loro presidiati quali premi, trasmissioni, festival, fiere o classifiche di qualità sui giornali dove si votano tra loro.

Lei è dentro o fuori?

Io – che avevo anche aderito al TQ – insieme ad altri che fanno parte del mondo editoriale, come veronica Tomassini e Gianpaolo Serino, sono un dissidente e mi trovo di lato. Per esempio, mi è capitato qualche anno fa di non poter presentare il mio libro La terra bianca (Laterza) al premio Campiello perché, in una parte, attaccavo Philippe Daverio.

Chi c’è in questa specie letteraria protetta, come la definisce lei, oltre ai nomi già fatti da Brullo?

Emanuele Trevi, incensato come scrittore e temuto come critico; Loredana Lipperini, scrittrice, conduttrice e giurata di svariati premi; anche la stessa Elena Ferrante, che ha preso il posto di Garibaldi perché la sua casa editrice traduce in America qualche italiano della specie.

Ne ho citati alcuni, ma sono molti. Il problema è che non sono più in grado di raccontare il Paese, quando lo fanno sono didascalici, favolistici, politicamente corretti, con anche della pedagogia sacerdotale. Per questo i lettori diminuiscono. Mentre invece ci sono giovani autori che sperimentano poetiche, tagliati fuori. C’è un vuoto di rappresentanza. Ecco, manca una spinta a voler cambiare linguaggi e prospettive capaci di raccontare il Paese.

Cosa propone lei?

Un po’ di aria fresca fa sempre bene. Alla fiera PiùLibriPiùLiberi noi di Transeuropa attueremo un bookcrossing per far conoscere dal basso le innovazioni letterarie della collana Wildworld: presteremo 1000 libri a 1000 persone. I movimenti di ribellione sono positivi per tutti i sistemi dell’industria culturale italiana, che ormai sembra un pianerottolo.

*** *** ***

Fotografia a corredo di Michela Bin, per gentile concessione dell’autrice. Nata a Trieste nel 1972, Michela Bin è laureata in archeologia medievale presso l’Università di Trieste; appassionata di fotografia da sempre, ha approfondito le sue conoscenze, tra gli altri, con Graziano Perotti.


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