Perché dietro i dati Aie sullo stato dell’editoria si nasconde la crisi della civiltà del libro

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I dati di crescita del mercato del libro, quest’anno, nessuno lo dice ma sono legati anche alle performance di Amazon, che passa dal 200 % di crescita dell’anno scorso a una crescita del 40 % quest’anno. Purtroppo Amazon non comunica i suoi dati riguardo a cosa venda, per questioni di strategia, ma il punto è che il mercato del libro si conferma l’anti-industria per antonomasia, come già la definiva Erich Linder negli anni ottanta.

L’iperproduzione è uno dei problemi con cui l’editoria comincia a fare i conti sul serio solo a partire dagli anni novanta. La causa di questa iperproduzione non sta tanto (o non sta solo) nella presenza di moltissimi scriventi – d’altra parte questa è l’epoca dell’università e della comunicazione di massa – quanto nella struttura dei modi della distribuzione, su cui si plasmano anche i modi della produzione: «L’industria del libro non è un’industria, è un’anti-industria» ricorda appunto Linder, in un articolo apparso su “Pubblico 1981”. «Ogni industria che meriti questo nome indirizza i propri sforzi a produrre il minor numero possibile di prodotti, nel maggior numero possibile di esemplari di ogni singolo prodotto. L’industria editoriale fa l’esatto contrario: il massimo numero di prodotti, con una produzione unitaria minima

I dati di quest’annno confermano una tendenza che viene dal passato: «Il 91% di titoli non arriva a vendere in media più di 100 di copie.»

L’incremento del fatturato editoriale è legato non solo al numero di copie vendute, dunque, ma anche alla quantità di prodotti che vengono immessi nel mercato per sostenere la bolla della distribuzione nazionale: un principio che genera sprechi notevoli di carta, profitti ridotti, salari bassi, frustrazione in tutta la filera di produzione del libro. Questo impianto rischiosissimo anche in termini di “individuazione del consumatore” e quindi di previsione del risultato, ovviamente, con l’aumentare della produzione paga in termini di qualità: il prodotto dovrà omologarsi secondo lo standard del più vendibile, che corrisponde alla sequela del più venduto. La GDO, da questo punto di vista, chiede all’editore di produrre il libro che vende di più, che ha “funzionato” meglio, determinando un’omologazione epigonale della produzione. Se poi si pensa che nel nostro paese i maggiori gruppi distributivi e i maggiori gruppi editoriali spesse volte coincidono, costituendo un oligopolio di concentrazioni verticali (proprietà delle reti distributive) e orizzontali (proprietà dei marchi storici) che rappresenta il 91 % dell’offerta libraria, si comprende come mai lo spazio per la produzione indipendente, per la produzione non omologata, per la produzione di ricerca, così come quello delle librerie indipendenti, sia ormai ridotto a numeri da riserva indiana e minacciato da ogni lato.

L’ingresso degli editori dei giornali (in crisi) nel mercato dei libri, ovviamente, non farà che incrementare questa iperproduzione, per cui è facile prevedere che forse già da quest’anno supereremo la soglia delle 80mila novità all’anno (l’anno scorso erano 78mila).

Che fare? Gli editori dell’Aie sostengono questo: «Risulta fondamentale una politica di promozione della lettura e un sostegno alla domanda. Come emerge anche dai dati, è necessaria una risposta alle esigenze del pubblico. Occorre una nuova consapevolezza da parte dei piccoli editori. In parallelo occorre un nuovo modo di raccontare il libro e il progetto editoriale: di qui la grande attenzione che dedicherà la Fiera alle nuove forme di comunicazione, in primis a Bookyoutuber e Bookinfluencer

Dunque l’approccio di questi editori è commerciale, pubblicitario. Nessuno dice chiaramente che siamo in presenza di una crisi della civiltà del libro, che occorre domandarci che senso abbia continuare a scrivere romanzi, per esempio, visto che sono tra i prodotti editoriali meno venduti, o le poesie, che in pratica non hanno più mercato. Nello stesso tempo, è ormai chiaro che solo una ridefinizione radicale del contesto editoriale e letterario, del ruolo e della funzione del libro non informativo, il ritorno della critica e del dibattito sul piano delle idee, il confronto anche acceso tra poetiche e tra visioni del mondo e sull’idea di lettore che vogliamo coltivare, può produrre quella scossa che possa avvertire il pubblico più esteso possibile che anche nel mondo del libro sta succedendo qualcosa di interessante e innovativo, un evento che risponde all’appello dell’epoca alla transizione, qualcosa per cui valga la pena appassionarsi e parteggiare.

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La fotografia a corredo è di Fulvio Orsenigo (1961), fotografo di architettura e di paesaggio. Al centro del suo lavoro, il rapporto tra rappresentazione spaziale e processi percettivi, che viene esplorato nei progetti sull’architettura e sul paesaggio con strategie di volta in volta diverse. Cofondatore del collettivo di fotografi “Fuorivista”, ha esposto alla Biennale di Venezia, alla Biennale di Architettura e alla Triennale di Milano; ha realizzato diversi progetti e volumi, insegnando fotografia presso la facoltà di Architettura dell’Università di Venezia.


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