Mattia Santori e le Sardine: la politica dell’Empatia tra new age e marketing

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Prima considerazione

Mattia Santori ha utilizzato una categoria assai interessante per giudicare Matteo Renzi: «Poco empatico.» Non è stato un lapsus né un’ingenuità la sua: è un giudizio politico in piena regola, se pensiamo a cosa intendono Mattia Santori e le nuove generazioni con «empatia». Empatia indica un valore pre-politico, la capacità d’immedesimarsi negli stati d’animo altrui e agire di conseguenza. Ma Sartori (e i suoi fratelli) intendono qualcosa di più: «empatia» è anche essere autentici, sinceri, disponibili. Autentico, per una generazione cresciuta a pane e self branding, tarallucci e reality show, significa essere davanti alle cam (siano esse televisive o di uno smartphone) come si è fuori dagli schermi, perché per la sua generazione vita nello schermo e vita fuori schermo sono la stessa cosa.

Per la generazione di Renzi invece no: esisteva ancora una vita online e una offline, il reality e la realtà, e quindi una personalità da agitare davanti allo schermo e una per gli intimi. Sinceri e disponibili ruotano intorno alla stessa forma mentis: quello che dici e fai su un palco deve essere identico a quello che fai e dici fuori da quest’ultimo. Il duo Salvini-Morisi l’ha capito benissimo, e infatti il giudizio su di loro è di tutt’altro tipo, ossia «pensano con la pancia». Dove pancia significa sondaggi, pop culture trash, web marketing. La «pancia», quindi, non indica l’essere in sintonia con il paese reale (che né per Santori né per Salvini o Renzi esiste), ma un determinato modo di utilizzare la narrazione politica e il marketing.

Il giudizio di Santori non è quindi stupido o infantile: è tarato su un modo di fare e pensare la politica nuovo, dove il dibattito sui programmi, le ideologie, la differenza fra morale individuale ed etica pubblica non esistono più perché insensate. Esiste il leader che diffonde amore o odio, i partiti empatici e quelli narcisisti, il marketing etico (che ti vende il prodotto aureolandolo con i valori giusti) e quello cattivo (che ti vende la stessa cosa ma con valori ingiusti).
Santori quindi non è antipolitico né apolitico, ma un nuovo modo di intendere il politico: quello in cui l’uso della ragione è delegato agli esperti dei vari rami, e il cittadino per valutare le proposte dei leader e dei partiti usa l’empatometro. Piaccio o no, questo è il futuro.

Seconda considerazione

I titolisti come sempre sono riusciti a trasformare una dichiarazione chiara in un annuncio inquietante. Il leader delle sardine romane infatti non ha detto «accogliamo tutti, anche Casapound», ha detto che la piazza è aperta a chiunque come individuo, quindi eventualmente anche a chi vota Casapound ma non si riconosce più nel clima d’odio generato dalla destra sovranista-populista. Un paradosso? No, se teniamo conto delle dinamiche della politica dell’empatia: le sardine infatti si pensano come un’onda di risveglio empatico che scuote le coscienze addormentate da hate speech e fake news. Non esistendo più ideologie, dinamiche e conflitti di classe, programmi divisivi, quel che rimane sono odio e amore, empatici e narcisisti, persone fiduciose e altre spaventate. Quindi l’eventuale votante di Lega, Casapound o FdI può essere stato toccato dall’onda empatica e voler partecipare a flash mob, dove – si spera – gli verrà rivelato che esiste un’Italia solidale che ama contrapposta a una egoista che odia. Niente di più e niente di meno.

La dichiarazione arriva dopo la stringata risposta del gruppo romano alla lettera dei militanti di PaP che invitavano le sardine nelle cosidette «periferie»: le sardine rispondono che le battaglie per le case, i salari, ecc evocate da PaP sono buone e giuste, ma le sardine non si occupano di questo. Le sardine ascoltano, includono, dialogano, combattono l’hate speech e le fake news, cose come salari, lavoro, ambiente, ecc sono questioni tecniche di cui si occupano gli esperti dei partiti che non odiano (su questo Santori è stato chiarissimo). L’idea – trasversale a parecchi militanti di sinistra – che le sardine scelgano questa impostazione per ignoranza, che se fossero adeguatamente educate diventerebbero una forza rivoluzionaria, è frutto dell’eterno complesso di superiorità della sinistra: le sardine non sono stupide, sanno benissimo che ogni punto economico è divisivo, e il continuo richiamo alla Costituzione antifascista come unico fulcro programmatico è fertile proprio perché la costituzione si può interpretare in senso liberale, cattolico, ecologista, socialista, comunista, può essere pro working class, pro ceto medio o pro partite IVA a seconda di come la si interpreti.
Benvenuti nel regno della politica dell’Empatia, dove non è paradossale abbracciare con amore il nemico di ieri che sarà il fratello antifascista di domani.

Terza considerazione

«1) I numeri valgono più della propaganda e delle fake news; 2) È possibile cambiare l’inerzia di una retorica populista. Come? Utilizzando arte, bellezza, non violenza, creatività e ascolto; 3) La testa viene prima della pancia, o meglio, le emozioni vanno allineate al pensiero critico; 4) Le persone vengono prima degli account social. Perché? Perché sappiamo di essere persone reali, con facoltà di pensiero e azione. La piazza è parte del mondo reale ed è lì che vogliamo tornare; 5) Protagonista è la piazza, non gli organizzatori. Crediamo nella partecipazione; 6) Nessuna bandiera, nessun insulto, nessuna violenza. Siamo inclusivi; 7) Non siamo soli, ma parte di relazioni umane; 8) Siamo vulnerabili e accettiamo la commozione nello spettro delle emozioni possibili, nonché necessarie. Siamo empatici; 9) Le azioni mosse da interessi sono rispettabili, quelle fondate su gratuità e generosità degne di ammirazione. Riconoscere negli occhi degli altri, in una piazza, i propri valori, è un fatto intimo ma rivoluzionario; 10) Se cambio io, non per questo cambia il mondo, ma qualcosa comincia a cambiare. Occorrono speranza e coraggio;»
La bozza della carta dei valori delle Sardine contiene quello che sarà il futuro dell’intendere il politico: eliminati i programmi e le ideologie, rimangono delle predisposizioni individuali (all’ascolto, all’aiuto, al mostrare le proprie emozioni all’Altro) che sostituiscono i comuni riferimenti a tradizioni politiche. In questo cambio di prospettiva trovano definitivo compimento e sintesi una serie di temi e scuole di pensiero che si sono affermati dopo il crollo del muro di Berlino, accomunabili tutti sotto l’etichetta del «postideologico»: la promozione dell’economia del dono (punto 9); l’atteggiamento positivo di marca new age e self help americana (punto 10), l’irenismo e l’ecumenismo inclusivo (onde lunghe del Vaticano II°, punto 6 e 7), il People have the power e lo spontaneismo di piazza affermatosi dopo il crollo o la svolta liberal dei grandi partiti comunisti e socialdemocratici occidentali (punto 5 e 6), la medicalizzazione e la psicopatologizzazione del politico, per cui ogni idea è valutabile come sana o malata, frutto di una nevrosi o meno (punto 8).

Particolare importanza hanno i valori mutuati da quella che nell’epoca eroica del web di massa (fine ’90 e inizio 2000) chiamavamo «netiquette»: il punto 1 (il primato delle competenze) e 3 (emotività razionale) richiamano quelle che erano le regole dei primi forum di discussione sociale e politica, così come il punto 4 metabolizza la critica ormai ultramainstream all’inautenticità e all’alienazione prodotte dai social e dal clickattivism.

Come detto da Mattia Santori tutto questo compone un chiaro e innovativo «brand»: il riferimento al marketing non è casuale, dato che brand indica una serie di valori che contornano un prodotto come un’aura e lo rendono riconoscibile ed appetibile al consumatore disorientato da un mercato saturato dalla sovraproduzione. Chi ritiene tutto questo frutto di ignoranza, pressapochismo o idee confuse non ha capito quanto questi temi siano stati pervasivi e modellanti la mentalità dei millennials e generazioni successive. Ma soprattutto come il marketing non sia una mera disciplina o un’attività di contorno della politica postideologica, ma sia la sua base filosofica e il suo centro di gravità permanente.

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La fotografia a corredo è di Fulvio Orsenigo (1961), fotografo di architettura e di paesaggio. Al centro del suo lavoro, il rapporto tra rappresentazione spaziale e processi percettivi, che viene esplorato nei progetti sull’architettura e sul paesaggio con strategie di volta in volta diverse. Cofondatore del collettivo di fotografi “Fuorivista”, ha esposto alla Biennale di Venezia, alla Biennale di Architettura e alla Triennale di Milano; ha realizzato diversi progetti e volumi, insegnando fotografia presso la facoltà di Architettura dell’Università di Venezia.


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