La percezione delle cose poco osservate: il temibile caso degli italiani in Svezia

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Lo so che il discorso sarebbe molto complesso e blabla, ma con tutto ciò che sta accadendo dal 2020 non si riesce a parlare con lucidità di altro che non siano regole e imposizioni. Per me invece la questione percettiva è molto importante e mi spiego: sto pensando che sarebbe molto utile riattivare la semplice percezione delle cose poco osservate, riattivare la capacità di guardare il mondo esterno così come è, perché mi sembra ci sia invece lo sguardo del mondo esterno così come ce lo dicono gli altri.

Chi sono gli altri? Perlopiù opinion leader, doxa, media. Il problema di fondo, forse, è che noi non crediamo più veramente al mondo esterno, crediamo solo a un’immagine di noi stessi da proiettare in base all’estetica spettacolare dei consumi. Così tutto diventa consumabile, tutto è acquisto e merce. Guardi un filmato sull’ultima tragedia di cui ti informa un quotidiano sul www? Bene, ci sono prima 3 minuti di pubblicità. Guardi un notiziario? Bene, prima 5 minuti di prodotti da comprare. Sono persino arrivato al punto di pensare: “D’accordo, la situazione è grave, ma non è drammatica, se prima della tragedia mi appioppate minuti su minuti di pubblicità.” Non penso che nel baratro vero si possa compare una bibita o un’auto. All’inferno non penso vi sia connessione per un abbonamento internet o per una tv on-demand no? Nella Geenna non dovrebbero esserci prima i 3 minuti di spot. Riattivare la semplice percezione di guardare il mondo esterno così com’è può farti pensare semplice, magari, eppure riattivare la percezione delle cose poco osservate potrebbe chiarirci le idee. Non so, è una domanda. Ormai l’obbligo principale in tutte le attività è quello di fare dei prodotti di consumo e di facile smercio. Il che vuol dire che non può esserci alcuna ricerca se non nella direzione del cosiddetto marketing.

Tempo fa ero a Stoccolma ed entrando in uno di quei baracchini dove vendono di tutto: bibite, dolcetti, panini incellofanati, mi sono imbattuto in una rivista chiamata “Maffia”. Ecco qui la copertina.

Bella roba, mi sono detto. Qui d’Italia nessuna traccia, tranne un termine diventato marketing: Maffia. Bella roba, proprio bella roba. Così ho sempre parlato solo inglese e se sentivo qualcuno in giro parlare italiano fuggivo a gambe levate. A proposito: gli italiani li trovavo tutti a fare la coda a riempirsi bottigliette in plastica nelle poche fontanelle svedesi. Probabilmente l’incessante propaganda fatta qui in Italia di “Bere tanta acqua” ha fatto proseliti esportabili. Bere tanta acqua, mi raccomando. Almeno 3 litri al giorno. Tanta acqua, mi raccomando. Pieni come rane bue di acqua. Lo dicono tutti no? Da Medicina 33 agli esperti di alimentazione. Italiani all’estero li vedi in fila alla pompa dell’acqua con bottiglietta da riempire e poi li vedi dove se maggna. Basta che ci sia un bucio dove se maggna e te li trovi. Il più sperduto ristorantino caro impestato, cerchi un tavolo sperduto nel ristorantino sperduto e ti affiancano sempre a qualcuno di Roma o di Parma o di Napoli. I primi giorni la strategia era: guardo dove costa di più e vado. Solo che probabilmente avevano pensato la stessa cosa tutti gli italiani che si trovavano lì, perché dove se maggna ed è carissimo ce trovi solo l’italiani e qualche russo. Anche su questo fatto di andare nel posto più caro ho dovuto ricredermi sull’economia reale e l’economia metafisica degli italiani. Capaci di spendere 1000 corone svedesi per un primo. C’è qualcosa che non combacia, a guardare gli italiani all’estero, tra Macro economia e i conti della serva. Poi mi sono fatto un giro per una via centrale chiamata Vaesterlaagaataan. Guardavo le vetrine, cercavo un locale per sedermi e bere una glögg e, al numero 62, mi sono imbattuto nella vetrina della pizzeria di Nick Michelangelo. Attaccato alla vetrina c’era la foto di Roberto Saviano col gestore del locale. C’era la foto di Pavarotti. C’era la foto di Ligabue. Via! A gambe levate.

Mi sono ricordato ora che quei baracchini che vendono di tutto si chiamano Kiosken. Sono ovunque. Di legno. Vendono di tutto. Anche la rivista “Maffia”, nel caso qualcuno volesse abbonarsi. Vabbé, tutto questo panegirico per dire che si tratta di riattivare la semplice percezione delle cose poco osservate. Poi sono andato in Västerlånggatan e c’era un bookstore chiamato SF. E’ al civico 48, sempre lì a Stockholm e vedo che nella letteratura sta accadendo lo stesso e i libri diventano sempre più tutti uguali, scritti nello stesso modo, stesse copertine, bene o male. Così ci ho pensato su tanto e ho esclamato: “Ma guarda la Svezia!”

Per la cronaca, dopo non sono più andato nei ristoranti dove si spende tanto perché sembrava di essere a Milano a mangiare la cotoletta. Bastava andare al mercato e c’erano meravigliose bancarelle dove facevano pietanze del luogo. Le librerie hanno cancelleria e copertine dei libri paro paro alle librerie di catena italiane. Kiosken sono divertenti. Riviste assurde. C’era un barbone fantastico lì in centro che aveva un sintetizzatore e faceva musica tipo tecnologica fantastica. Un barbone tekno non lo avevo mai visto… anche i vecchi non li vedi. Ndo’ stanno lì vecchi in Svezia? Ndo’ li mettete? In compenso giovani ragazzi e ragazze pieni di pargoli in braccio o nelle loro Stokke popolavano strade e giardinetti. Per la cronaca numero 2: gli italiani con la bottiglietta si chiedevano perché in Svezia ci fossero cosi poche fontanelle. Secondo voi perché a Stoccolma ci sono così poche fontanelle? Razza di beoti!


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