Brexit in azione. I cittadini europei nei centri di espulsione

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TerreLibere ha ospitato oggi questo articolo di Viviana Fiorentino sulla detenzione di cittadini europei nel Regno Unito. Riportiamo di seguito il contenuto e qui il link alla fonte.

Il Regno Unito è uno dei pochi paesi europei in cui i migranti possono essere rinchiusi per un tempo indefinito, in genere dopo aver violato le regole di soggiorno. Negli ultimi anni, sono aumentati i cittadini dell’Unione Europea. Oggi sono il 16% dei detenuti nei centri. Anche il numero di italiani in attesa di espulsione è in crescita. E con Brexit la situazione è destinata a peggiorare

Il dibattito sulla Brexit infuria in questi giorni: le opzioni di backstop (la “rete di protezione” o “di sicurezza” sul confine Irlanda e Irlanda del Nord nel caso i negoziatori non trovino un accordo su Brexit) si moltiplicano; la Corte Suprema definisce illegale la sospensione del Parlamento di Mr Johnson; emergono idee segrete sulla Brexit del capo del governo che sarebbero state mostrate all’UE, ma che non sarebbero state diffuse. Tra i materiali in questione: un testo sull’accordo di recesso – e il controverso backstop dell’Irlanda del Nord rimosso; altri documenti che indicherebbero i parametri tecnici proposti dal Regno Unito. Ulteriori documenti illustrano alternative legali che non sarebbero dovute essere consegnate formalmente fino al mese prossimo. Ma gli scandali non terminano: una nota scappata alla Commissione europea (“leaked European Commission memo”) suggerisce che i piani presentati dal governo britannico non offrono, a pochi giorni dal 31 ottobre, un’alternativa accettabile al piano di backstop per il confine irlandese.

Ma mentre la Brexit riempie i quotidiani e alcuni politici promettono di rifiutare un hard border, il “confine duro”, tra Irlanda del Nord e Repubblica d’Irlanda, è già presente. E si trova a Larne. Se cerchi su Wikipedia scopri che si tratta di un piccolo sobborgo dell’Irlanda del Nord. Per esattezza, dove un braccio dell’oceano Atlantico diventa canale del nord, sulla costa nord-occidentale dell’isola d’Irlanda. Circa trentaduemila abitanti, aperti al traffico marittimo industriale, molti di loro ignari del centro di detenzione per immigrati “Larne House”, che ha sede nella omonima stazione di polizia, lungo una strada dal nome sinistro – Hope Street. Un edificio in mattoni rossi e un’inferriata in pesante metallo nero sovrastata da una rete. Si tratta di una short term facility, ovvero un centro dove possono essere detenute fino a un massimo di 19 persone, per un massimo di 7 giorni prima di essere rilasciate o trasferite in un altro Centro di immigrazione (IRC) in Inghilterra o Scozia. Il Ministero degli Interni del Regno Unito ha subappaltato la gestione di Larne House a Mitie come parte di un vasto contratto di 10 anni che coinvolge tutto il Regno Unito e di un valore di 525 milioni di sterline, cosa che ha reso l’azienda Mitie il più grande fornitore privato di servizi di detenzione per immigrati nel Regno Unito.

Il centro di detenzione di Larne

A oggi, Larne House è uno dei tanti siti di detenzione del Regno Unito, non affidato alla legge penale, ma per il quale migliaia di persone vengono detenute a tempo indeterminato senza processo o con un processo fissato ogni anno.

Ciò che questi centri di detenzione rappresentano e l’impatto tragico che essi hanno sui detenuti è stato reso noto qualche anno fa da BBC Panorama, programma che ha denunciato i ripetuti abusi da parte dello staff di G4S a Brooke House. Nonostante ciò, il Ministero degli Interni del Regno Unito ha mantenuto fin qui una posizione ferma sulla necessità della detenzione, come strumento necessario per determinare il diritto di una persona a rimanere (o sostare) nel Regno Unito.

Tre anni fa circa, mi unisco al [omissis] Group. Il gruppo è composto da persone di tutte le età che volontariamente offrono solidarietà e supporto non legale alle persone detenute; consigli pratici, una lista di avvocati gratuiti, prelevano ciò che il detenuto ha dovuto lasciare per strada quando è stato bloccato dalla polizia, ricaricano il telefono, cercano i medici specialisti quando è necessario.

Ogni anno, circa una decina di migliaia di persone, inclusi minori, vengono rinchiusi in strutture che assomigliano a delle prigioni. Indefinitely, senza limite temporale: il Regno Unito, infatti, è uno dei pochi paesi europei dove vige ancora un regime di indefinitive detention. Associazioni indipendenti denunciano: “Home Office ignora le linee guida e detiene donne incinte, bambini, sopravvissuti che hanno subito torture; l’accesso a servizi legali e medici è inadeguato.”

Il Signor A. viene dall’Egitto. Gli viene detto di prendere paracetamolo e bere molta acqua. Si calmerà. Gli vengono interdette le medicine che ha assunto per vent’anni.

M. è italiano, racconta che all’aeroporto di Belfast è stato fermato e portato a Larne House. Verrà rispedito in Italia, il giorno del suo biglietto di ritorno. Non aveva prenotato un albergo, non aveva saputo rispondere alle domande della polizia. Poco tempo dopo leggo sul giornale di un italiano che era stato trattenuto in detenzione per otto mesi perché aveva perduto la sua carta di identità.

Mentre il numero complessivo di persone detenute nel Regno Unito, e in particolare in Nord Irlanda, è leggermente diminuito nell’ultimo anno, il numero di cittadini UE detenuti è aumentato, nonostante l’immigrazione europea sia diminuita costantemente dal 2016 (Home Office, 2019).

Ma cosa è successo ancora prima? Il numero di cittadini europei nei centri di detenzione è aumentato di circa sei volte negli ultimi cinque anni. Nel 2015, 3699 cittadini europei vengono detenuti: l’11.4% di tutti i detenuti, contro il 2.7% del 2009 (Home Office Gov data, statistiche disponibili online). In quell’anno, Theresa May è ministro degli interni. I suoi interventi pubblici riguardanti i cittadini europei si fanno sempre più ostili. Sulle pagine dell’organizzazione Bail for Immigration Detainees (BID) compaiono i primi casi di cittadini europei detenuti per aver bevuto e festeggiato il giorno del compleanno in spazi pubblici o per aver perso i documenti.

Ventitré giugno 2016: gli inglesi votano il referendum per la Brexit. I numeri salgono ancora. Nel 2016 si arriva a 1227 detenuti europei (17% sul totale), solo nei primi tre quarti dell’anno. Dal 2010, anno durante il quale la Signora May diventa ministro degli interni, a oggi, il numero totale di cittadini europei espulsi dal Regno Unito è salito del 256% (Home Office data, disponibili online). Le nazionalità europee (o candidate all’adesione) più colpite sono la Romania, l’Albania e la Polonia. L’ansia si diffonde, soprattutto se appartieni a un certo ceto sociale, se i tuoi genitori erano immigrati in un paese europeo dove tu sei nato e cresciuto, se la tua pelle è più scura perché i tuoi avi erano magari del sud.

Vado in visita a Larne ogni mese. Sulla A8, la tangenziale che collega Belfast al villaggio marittimo, la mia amica mi racconta che nel 2016 Home Office ha introdotto una nuova norma contro i rough sleepers, i senzatetto europei. Questi ultimi, secondo Home Office, abusano i diritti EEA. Il dipartimento ministeriale degli affari interni ha, quindi, il potere di forzare un cittadino europeo senzatetto fuori dal Regno Unito. Anche se sei appena arrivato, se hai un lavoro o uno status di residenza permanente. Dopo un anno, a fine Dicembre 2017, l’alta corte stabilirà come incostituzionale la norma.

Nel frattempo, all’inizio del 2017, un portavoce di Home Office dichiara all’Indipendent: “The general public expect robust action to be taken against foreign national offenders who pose a risk to the UK – and that’s why we deport those who abuse our hospitality by committing crime.” «Il pubblico si aspetta che si intraprenda un’azione forte contro gli stranieri che pongono a rischio il Regno Unito – per questo deportiamo chi abusa della nostra ospitalità, commettendo un crimine.»

Manifestazione contro la detenzione di immigrati in Nord Irlanda

Nel giugno 2017, il numero di cittadini Europei rimossi sale ancora: 5301 persone, circa il 20% in più dell’anno precedente. Si aggiungono quelli che hanno commesso reati minori stradali, quelli con problemi di salute mentale e, ancora, i senzatetto. Le direttive europee denunciano che è illegale per gli stati membri espellere cittadini europei, a eccezione di serie ragioni di ordine pubblico o di sicurezza. Trattative e accordi tra Regno Unito ed Europa avvengono a più livelli.  

I miei viaggi in auto tra Belfast e Larne continuano. Ascolto le storie dei detenuti a Larne House e di quelli che, dopo Larne, hanno raggiunto altri centri di detenzione in Inghilterra e Scozia; Brook House, Colnbrook, Dungavel, Harmondsworth, Morton Hall, Tinsley House, Yarl’s Wood. Di quelli che, nei centri inglesi e scozzesi, vengono convinti a fare un lavoro nel centro per sopportare l’attesa: barbieri, traduttori, inservienti in lavanderia, chef nelle mense. La paga, pochi pounds a ora. E poi le testimonianze in prima persona o di associazioni o di compagni di detenzione: “Non hanno accesso a medici specialisti, non hanno psichiatri”; Quando chiedi qualcosa, ti zittiscono. Quando sei lì, non fai la doccia, non hai un telefono. Se chiedo “perché non mi date questo, perché mi trattate così? E finisci lì. Lo fanno per punirti”; “sopportava tutto questo aiutando altri detenuti, trovò una nicchia come traduttore, era pagato dal centro, aveva un ruolo, poteva appena viverci”; “ho fatto una richiesta per uscire su cauzione e la prima cosa che mi hanno detto è stata che soffrivo di un disturbo mentale, quindi la detenzione era necessaria  […] ho qui la mia richiesta” (GDWG, da “A prison in the mind”) .

Nello stesso anno 2017, un’organizzazione di senzatetto denuncia l’acquisizione illecita da parte di Home Office di informazioni da un database di Londra (Chainthe Combined Homelessness and Information Network), nel quale vengono anche indicate nazionalità, salute mentale e gender (dati da The Observer e The Guardian, 2017). Nell’estate del 2019, un’inchiesta porta alla luce un nuovo programma segreto del Ministero degli Interni che utilizza enti di beneficenza per i senzatetto per trasmettere dati sensibili e informazioni personali dei senzatetto senza il loro consenso. Ma c’è di più: una catena di e-mail di alti funzionari del Ministero degli Interni tra dicembre 2018 e maggio 2019 mostra anche che il programma segreto ignora le leggi europee sulla privacy trasmettendo le informazioni personali sensibili dei senzatetto direttamente al Ministero degli Interni, senza consenso. Secondo un’e-mail interna, questo programma condurrà alla “repressione in alcuni casi” – ovvero, espulsione – e si rivolge a senzatetto “non nel Regno Unito” e non SEE (Spazio economico europeo), ossia, dopo la Brexit, cittadini dell’UE.

Leggo i quotidiani, ripasso i numeri, conteggio le statistiche, esiste veramente questo trend? Torno al 2009, risalgo fino al 2018 per il quale ho dati disponibili per l’intero anno. Nel 2009, l’anno prima che David Cameron diventasse Primo Ministro, il numero di cittadini europei detenuti da Home Office era 758. Nel 2016 arriva a 4123 totali, nel marzo 2017 raggiunge il picco di 5275 (Home Office data, disponibili online). Il 29 marzo dello stesso anno, a seguito dell’approvazione da parte del Parlamento del Regno Unito di una legge nota come European Union (Notification of Withdrawal) Act 2017, Theresa May, già primo ministro, presenta la lettera di notifica al presidente del Consiglio europeo. Il 19 giugno 2017 iniziano i negoziati. Un’orchestra di numeri e accordi in perfetta congiunzione.

Confronto altre tabelle. Marzo 2018, 4520 cittadini europei rimossi. Marzo 2019, c’è un leggero calo, 3637 europei (un numero comunque sempre più alto dei primi dati del 2015). Alla fine del 2018, dei 5724 Foreign National Offenders espulsi, il 68% sono cittadini europei (3905).

2019. Apro i quotidiani nazionali. Più di mezzo miliardo di pounds sono stati spesi dal Governo del Regno Unito per la detenzione di immigrati, in soli quattro anni. A questi si aggiungono 16.2 milioni di sterline come cauzione per danni arrecati a migranti che sono stati detenuti per errore (fonti: Independent, The Guardian, The Migration Observatory). Politici, avvocati, attivisti urgono il governo di imporre un limite di detenzione a 28 giorni, a fronte dei dati degli ultimi anni: circa il 28% sono stati detenuti per 29 giorni e quattro mesi, 1943 sono stati detenuti per più di quattro mesi e 172 tra uno e due anni (dati per il 2017).  Ventotto immigrati hanno atteso per più di due anni, con un numero massimo di giorni registrato di 1514.

Marzo 2019. Un’inchiesta indaga le responsabilità di Home Office per l’omicidio di un detenuto all’interno di un centro di detenzione. Colnbrook, 30 km da Londra. Dicembre 2016. Tarek Chowdhury, 64 anni, del Bangladesh viene ucciso da un altro detenuto, 31 anni, con una storia di violenza e problemi mentali. I due erano stati rinchiusi nella stessa ala del centro. Home Office è forzata a porgere le scuse. Chowdhury aveva vissuto nel Regno Unito per tredici anni, poi era finito nel centro di detenzione come “overstayer”.

Incontro una  giornalista nordirlandese: Larne House conferma il trend. Guardo i suoi occhi verdi, poi la sua mano mentre mi segna i dati e le statistiche su un foglietto, nel Café del quartiere studentesco di Belfast. Nel 2016, mentre il governo faceva la campagna pro Brexit, Larne House registra il più alto numero di detenuti europei fino ad allora: da 93 nel 2015 a 161 nel 2016. A oggi, sempre più cittadini dell’UE, detenuti a Larne House, sono in attesa di espulsione poiché hanno precedenti penali. Alcuni di loro sono incoraggiati ad acquistare i biglietti di viaggio a proprie spese per accelerare il processo e ridurre il tempo in detenzione. Ho assistito a casi per i quali le compagnie aeree hanno rifiutato di far volare “persone con condanne passate” o di emettere rimborsi.

Anche questo mese vado a Larne House per visitare i detenuti. La mia collega volontaria ha una Golf grigia e un impermeabile, dello stesso colore, che deve aver comprato in un charity shop. Parliamo dell’estate piovosa. Quando parcheggiamo su Hope Street e suoniamo il citofono, riconosco la voce della guardia che parla attraverso la scatoletta metallica. Ci raggiunge al cancello. Controllo documenti. Passo il mio passaporto, con stampigliata la stella al centro, attraverso le barre nere del cancello. La guardia mi guarda, scorre la lista dei visitatori. Il mio nome non c’è. Eppure sono ormai una visitatrice da due anni. Quella scrolla le spalle. Scuote la testa. Un’eccezione, per questa volta. La serratura del cancello scatta. Varco il cancello, entro nelle stanze del centro. C’è un caldo soffocante, come sempre riscaldamenti a 25 gradi fissi. Niente finestre.

L’attuale confine tra Repubblica di Irlanda e Irlanda del Nord.

Brexit è già presente, dunque, in un altro modo, più nascosto e subdolo: è quello che si rivela in tutti quei casi di persone con una documentazione per risiedere legalmente nella Repubblica d’Irlanda, ma non nel Regno Unito, che entrano nell’Irlanda del Nord e sono detenute e trasferite in centri di detenzione oltremanica. Molti di loro sono trattenuti per diverse settimane fino a quando non vengono scortati indietro nella Repubblica d’Irlanda. Prima del voto referendario del 2016, la pratica standard per le persone che avevano inavvertitamente attraversato il confine con l’Irlanda del Nord sarebbe stata quella di essere scortate dalla polizia indietro fino al confine (senza alcuna detenzione). La Brexit sembra adesso essere la scusa di un processo piuttosto contorto e perverso, che non solo è incredibilmente costoso da sostenere per il governo, ma danneggia tragicamente e inutilmente le persone che vi sono coinvolte.

Entro. Stringo la mano al primo detenuto che incontro. Mi presento. Lui mi sorride. Io sorrido a lui. 

Hanno da poco dotato il centro di piante finte, in plastica. Le pareti decorate con dei poster laminati. Soggetti arborei. I double-decker bus di Londra. Cieli azzurri. Savane. Sono un nuovo acquisto, mi dicono, per la salute mentale dei detenuti.


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