Salvini o le 3 declinazioni del deliverable

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Nell’ambito del Project Management esistono essenzialmente tre tecniche di gestione dei progetti. 

La prima è detta Waterfall, cascata. Si tratta di pianificare tutti i passaggi del progetto, tutte le azioni che devono essere compiute, una dopo l’altra, cercando di prevedere le dipendenze tra uno step e l’altro. Se un task salta, saltano a cascata (appunto) anche i passaggi successivi. Questa modalità implica una fase di analisi iniziale molto lunga, esauriente. La consegna del progetto avverrà quando tutti gli step verranno completati. Insomma: i risultati si vedranno alla fine.

La seconda tecnica, o insieme di tecniche, prende il nome di Agile (pronuncia inglese: ˈajəl). Prevede una revisione periodica delle priorità del progetto e un continuo confronto col committente per arrivare a soddisfare esigenze che cambiano, magari, nel corso del tempo. La concentrazione del team di lavoro deve essere tutta sui cosiddetti deliverable, ovvero unità a sé stanti: se il progetto, per ipotesi, venisse interrotto di colpo, ci sarebbe comunque qualcosa di pronto.

La terza tecnica è detta Lean (produzione leggera, snella) ed è una modalità particolarmente aggressiva. Non c’è nulla di meglio di un esempio per illustrarla. Avete presente Dropbox, il noto sistema di condivisione file? Gli ideatori capirono che per realizzarlo sarebbe stato necessario impiegare una grossa squadra di ingegneri e designers, oltre all’acquisto di intere server farm. Una spesa ingente. E se poi alla gente non fosse interessato? Allora ingaggiarono una società di comunicazione e realizzarono un video in cui si mostrava il funzionamento di Dropbox, come se fosse già realtà. Lo distribuirono in rete e raccolsero le adesioni di quanti lo avrebbero acquistato. La risposta fu in percentuale soddisfacente: iniziarono a produrlo. Lean startup, partire leggeri: appena hai qualcosa da mostrare, presentalo e osserva l’effetto che fa, anche se si tratta di un prototipo.

E ora, una bella parabola a uso dei tempi moderni

Immaginate un’azienda piuttosto grande, complessa, piena di problemi. I Project Manager applicano tutti il vecchio metodo waterfall. Tutti sono scontenti: da anni i progetti procedono come elefanti e non arrivano mai alla fine. Ogni singolo intervento necessario, urgente, diventa un’impresa titanica e l’impressione di tutti è che si lavori a vuoto, che nulla funzioni, si muova. I Project Manager seguono fedelmente gli step previsti dal waterfall: analisi, design della soluzione, check coi singoli reparti su fattibilità, tempi e costi, poi la produzione, i test di unità e i test di integrazione. Ma non sembra mai arrivare la fine. Non solo: nel corso della realizzazione del progetto, emergono problemi che ne stravolgono la faccia. Insomma, i committenti che avevano chiesto una moto da corsa in un anno, si ritrovano un vecchio Ciao dopo tre. E il Comune, nel frattempo, ha vietato la circolazione ai motorini. Tra i vari problemi dell’azienda, abbiamo pure questo: da sei mesi i telefoni interni fissi non funzionano. Ed ecco che arriva un nuovo Project Manager. Familiarizza subito con tutti, ci sa fare. Parla con gli sviluppatori e dà subito ascolto alle loro lamentele. Così pure con il customer care e i designers. Poi tutti gli altri. Infine, in riunione plenaria, attacca i Project Manager precedenti dicendo che i tre metodi di gestione dei progetti sono tutte balle teoriche, menate, mentre lui preferisce “fare”. Ai capi non sembra vero, ai colleghi non sembra vero: finalmente! Il nuovo Project Manager diserta le riunioni, butta fuori dalla finestra i diagrammi di Gantt dei progetti; soprattutto, chiama il proprio elettricista di fiducia che aggiusta, in sole due ore, quattro telefoni! È il trionfo: senza chiedersi come e perché l’azienda gli affida la conduzione di tutti i progetti, alcuni dei quali estremamente complessi.

Ora, si può pensare che Matteo Salvini stia riscuotendo il suo straordinario successo perché gli Italiani sono diventati tutti razzisti. Oppure perché chi lo vota è un ignorantissimo analfabeta funzionale. O entrambe le tare. Quel che invece l’autoproclamato Capitano ha fatto è un’altra cosa. Ha mostrato che la linea tra teoria e prassi è valicabile, qui e ora. Davvero qualcuno crede che il suo rendersi latitante presso il Parlamento Europeo sia stato dettato da negligenza e basta? Tutto all’opposto, era un chiaro messaggio contro i Project Manager precedenti: io delle vostre procedure inconcludenti me ne frego!
Ha chiuso i porti, e la grande portata mediatica non è stata quella di cacciare al di là del mare una manciata di disperati. No! Quel gesto era tutto orientato al deliverable: piccolo, sporco, ma immediato. Salvini ha mostrato che «si-può-fare» qualsiasi cosa, anche quando l’Europa dei Project Manager dice che è vietato dalle procedure. Come? Ha aggiustato quattro telefoni in due ore! Qui e subito, qualcosa di tangibile, qualcosa che non è stato imbrigliato dalle procedure! Ah, finalmente! Poco importa che quei quattro telefoni fossero tutto sommato inutili, dato che gli sviluppatori già comunicavano con WhatsApp, Skype, Hangout, Zoom, Messenger, di persona.
E i vecchi Project Manager? Che facevano mentre il nuovo arrivato aggiustava quattro telefoni in due ore? Be’, semplicemente urlavano a ogni reparto che la procedura usata da quel collega era retrograda, rozza, fuori moda. Ogni giorno. Per mesi e mesi. Mai che a qualcuno venisse in mente di accelerare coi propri progetti per mostrare finalmente un primo, attesissimo, deliverable.

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La fotografia a corredo è di Fulvio Orsenigo (1961), fotografo di architettura e di paesaggio. Al centro del suo lavoro, il rapporto tra rappresentazione spaziale e processi percettivi, che viene esplorato nei progetti sull’architettura e sul paesaggio con strategie di volta in volta diverse. Cofondatore del collettivo di fotografi “Fuorivista”, ha esposto alla Biennale di Venezia, alla Biennale di Architettura e alla Triennale di Milano; ha realizzato diversi progetti e volumi, insegnando fotografia presso la facoltà di Architettura dell’Università di Venezia.



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