Sta succedendo di nuovo. Sull’emergere dei sommersi

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La fantasia è nelle mani di una tirannia per niente democratica: un manipolo di oligarchi che decidono cosa e come produrre immaginario. Le regole narrative, i contenuti sono determinati da algidi algoritmi, concepiti sulla base dell’analisi delle grandi opere e dei grandi miti di tutti i tempi, che determinano la qualità di una creazione letteraria. Il libro ha perso la sua aura. Viviamo in una cultura che rifiuta il senso della storia e vive in un eterno presente: la novità è l’unico prodotto culturale ad avere diritto di cittadinanza nell’offerta.
Abbiamo ascoltato e letto queste sentenze che negli anni si sono evolute, mutando tutto sommato in aspetti marginali, per mantenere da sempre il medesimo senso.
Si tratta di epifenomeni della dialettica tra il mutamento del gusto, il succedersi delle generazioni e la fatica dell’offerta di intercettare, leggere e adattarsi al cambiamento. Per semplificare, se gli interessi e il gusto variano, in modo caotico e rapidissimo, i progetti culturali, i principi per la selezione delle opere in un catalogo, le regole e le botteghe hanno tempi adattamento lenti. Diciamo più o meno: quel che si impara all’Università, quel che si affina nei primi anni di tirocinio, lo si riproduce finché si campa. Ci sono membri carismatici di una generazione che creano il canone, poi epigoni che lo confermano o variano i margini. 
Negli ultimi quarant’anni la mercificazione del prodotto culturale ha definitivamente sconfitto i progetti pedagogici o paternalistici dei grandi magnati dell’editoria, o dei movimenti politici della guerra fredda. Il mercato per sua natura produce effetti che si autoalimentano: uniforma l’offerta, la domanda sceglie quel che c’è, l’algoritmo si affina, si produce quel che si suppone il consumatore desidera, il consumatore compra quel che gli viene offerto. La tirannia sull’immaginario conduce a periodiche crisi, non prima di avere disseminato indizi: in primo luogo il disamore, poi anche una progressiva arroganza dei detentori del verbo delle regole, che mano a mano che l’algoritmo si auto-avvera, si confermano nell’idea di essere nel giusto. Le scosse all’immobilismo che sempre riproduce sé stesso si riconoscono tutti in una intenzione comune: l’antagonismo rispetto alla tirannia del mercato.
E così parte la crociata di chi ingiustamente si sente messo ai margini, frustrato di non potere dare il proprio contributo, relegato al ruolo di passivo spettatore della decadenza. 
Gli episodi culminanti, ciclici, di questa dialettica fanno ormai parte della storia culturale: le antologie degli esordienti negli anni ottanta, che con Tondelli hanno assurto al rango di vero e proprio genere letterario; i Cannibali, che della lotta attraverso la violenza (letteraria, s’intende, anche nell’uso del linguaggio) alla mercificazione della creatività hanno fatto bandiera; I Narratori delle Riserve, dall’antologia di Celati; la New Italian Epic, che ha dato risposta ad un desiderio di verità rimestando nella cronaca del paese; il movimento TQ, che in modo esplicito ha posto il problema della necessità di rottamare l’industria culturale. Tali fenomeni, noteranno gli osservatori più attenti, hanno un carattere generazionale e tutto sommato un esito di sostituzione. I nuovi prendono il posto dei vecchi, in particolare nelle posizioni chiave, per perpetuare la lotta millenaria tra chi decide e chi subisce le decisioni.
Oggi sta accadendo di nuovo. Eppure si rivela in nuce una mutazione radicale, non siamo i primi a ripeterlo. Il fenomeno contemporaneo sembra potere scardinare il paradigma, rompere l’andamento dialettico degli ultimi quarant’anni e produrre uno scenario completamente inedito, dove saranno diversi gli attori in gioco.
I social network, la possibilità di produrre contenuti con un pubblico, foss’anche la propria cerchia di amici, ha causato una prima esplosione del meccanismo. I contenuti sin sono moltiplicati, ovunque. È scomparsa un netta separazione tra chi produce contenuti e chi li fruisce. Post su facebook, blog, fan fiction, video artigianali, instagram: in confronto la narrativa indie e l’autopubblicazione sono gocce nel mare. La novità, conviene ripeterlo, seppure sia una evidenze confermata da più parti, è che sta scomparendo l’intermediazione. Per un processo di urbanizzazione del selvaggio, di irreggimentazione di ciò che è fuori schema, o meglio, di valorizzazione delle opportunità per il profitto, anche questo fenomeno di liberazione non tarderà ad essere inglobato dall’industria culturale. Il reclutamento di vlogger e blogger nelle scuderie dei grandi gruppi editoriali è un segnale significativo. Affianco al processo di neutralizzazione delle avanguardie da parte delle élite al potere è partito un attacco ideale. Narcisismo, individualismo, turbo-liberismo, fascismo, le ingiurie hanno messo nel mirino il nuovo flusso e iniziato il bombardamento, mosse dalla paura del nuovo. Derubrichiamo siffatte critiche nel calderone della resistenza e della negazione. Non abbiamo interesse a giudicare il fenomeno, ci interessa invece prevederne l’impatto nel prossimo futuro.
Qualche segnale del capovolgimento di prospettiva che ci aspetta si può osservare nella piccola editoria, da sempre più libera. D’altra parte le rivoluzioni cicliche da lì sono partite. Stile Libero Einaudi ha significato una urbanizzazione delle intuizioni di Tondelli, così siamo certi che i grandi gruppi e la disumana macchina dell’industria editoriale cercherà di trarre profitto dal nuovo mondo. Se la proliferazione dei contenuti rende difficile orientarsi nella scelta, per cui troppa informazione equivale a nessuna informazione, l’idea è creare le scatole capaci di organizzare e auto-selezionare il blob delle creazioni, proporre guide, segnapassi e mappe del caos. Iniziamo qui un repertorio di battistrada, significativo delle direzioni che prenderà il prossimo futuro. 

Wildwold, collana Transeuropa di Giulio Milani. 
Si propone di essere la nuova Urania e diventa anche un blog di picconaggio alle “tradizioni di soluzione del rompicapo”, ai “paradigmi di comportamento e risposta” del mondo culturale. L’idea è complessa e può essere riassunta nel tentativo di incanalare la forza propulsiva di nuovi autori verso forme e contenuti emergenti. La struttura narrativa fondata non tanto sui paradigmi di Field e Vogler, quanto sull’utilizzo di pinze e cliffhanger mutuati dalle forme delle serie TV. Dal punto di vista dei contenuti una focalizzazione forte su fatti di cronaca reale, il paradosso e sull’autofiction. Ulteriore genialata è accompagnare le uscite a campagne di fund raising capaci di valorizzare le reti sociali degli autori e i nuovi strumenti di promozione digitale. Significativo che Milani cerchi per questo progetto giovani venuti dal nulla e l’effetto è dar voce a una generazione nuova di scrittori.

Tina, di Matteo Meschiari e Antonio Vena.
L’esperimento sollecita “contributori” a sperimentarsi sulle grandi catastrofi della storia in cambio di anonimato e produzione collettiva. I promotori hanno stilato una lista di 100 eventi storici che rappresentano momenti paradigmatici delle estinzioni biologiche e umane e hanno chiesto agli utenti della rete di sperimentarsi su queste situazioni, con una tecnica se vogliamo di “reminescenza” o anche di immaginario applicato a eventi passati, per proporre opere tra le 1000 e le 3000 battute. Il “produttore di storie” anche in questo caso non è un professionista della parola, ma un volontario reclutato in rete. L’esito sarà una antologia che cerca di neutralizzare il narcisismo e l’ansia di apparire degli autori, che saranno elencati in ordine alfabetico. L’editore non ha importanza. Tutto sommato è un elemento inessenziale. Ci si aspetta una grande epopea collettiva sulla fine del mondo, il cui modello dichiarato sono le grandi costruzioni mitiche dell’antichità.  

L’editore Ater Ego di Danilo Bultrini e Luca Verduchi.
Programmaticamente seleziona autori non scrittori, che abbiano necessariamente una doppia vita, con un lavoro retribuito nel mondo fuori (nel mondo vero) e non un posto di lavoro nel mondo editoriale. La guerra dichiarata di questa proposta è allo scrittore di professione, che ineluttabilmente perde la propria vocazione più autentica per affinare le armi del mestiere. Ciò che ne esce, dalla proposta di Alter Ego, è l’indagine sui conflitti, sulle distonie valoriali, sulle diverse immagini di sé (Specchi, si chiama la collana principe). L’immaginario liberato affronta la contraddizione e la molteplicità delle visioni del mondo, che coesistono negli individui.

I precursori, come gazzelle, trainano i branchi di pachidermi che non tarderanno a spostarsi. Utilizzano strategie diverse ma convergenti. Per tutti loro, l’effetto vuole essere una produzione fuori schema, fuori canone, ma anche e di più il dare voce, in ambito editoriale, a quell’immaginario che fino a ieri premeva ai cancelli, ma veniva tenuto fuori. Come profetava un vecchio maestro giusto trent’anni fa (La società trasparente, Gianni Vattimo, 1989), l’immaginario della collettività diventa leggibile, osservabile e può produrre il suo effetto sul mondo. Le conseguenze sono ancora oltre la nostra capacità di preveggenza.

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Immagine a corredo del testo per gentile concessione di Diego Barsuglia: nato a Pisa nel 1978, è fotografo professionista dal 2006. Da qualche anno si occupa principalmente di inquinamento, salute e consumo del suolo. I suoi lavori sono stati pubblicati tra gli altri su Sette, Repubblica, l’Espresso, El Mundo, El Paìs, Rai e Sky. 


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