Terzo manifesto degli imperdonabili: lavoro contro privilegio

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Dopo l’intervento di Giulio Milani e di Veronica Tomassini, tra gli altri, a sostegno di Davide Brullo, il critico licenziato da Linkiesta.it per aver stroncato alcuni autori che appartengono alla “specie letteraria protetta”, continua l’azione di solidarietà e di protesta che promette di diventare un movimento: gli imperdonabili.

Credo che sia il tempo di gridare in piazza che il re è nudo. Perché le conseguenze di questo teatro in cui ci crogioliamo sono ormai intollerabili.

In troppi vagano storditi e assuefatti da una droga meschina e sleale. Annebbiati o ciechi. La menzogna che fingiamo tutti di accettare è che il mondo delle lettere riguardi la bellezza, la verità e la passione. Il talento. Lo scambio che abbiamo per troppo tempo accettato è chiudere gli occhi per potere dire: sono parte del circolo esclusivo degli eletti. Di coloro che sono toccati dal genio.

Noi che ci sbattiamo ogni giorno, siamo stanchi di chi svaluta e irride il mestiere di insegnante, operatore di servizi al lavoro, educatore, addetto alla sicurezza, contadino, manutentore, operaio, come fosse cosa poco cool. Come se ci si dovesse vergognare per il fatto che si lavora per vivere. Come se il lavoro fosse parte inessenziale della nostra identità, da dimenticare, bistrattare, nascondere. Come se davvero fosse un male di cui liberarsi.

Basta smidollati che fanno lavoretti in attesa che il mondo dipani il tappeto rosso per regalare loro gloria e ricchezza. Accanto a quelli, senza che neppure se ne accorgano, ci sono donne e uomini che si rimboccano le maniche e puliscono da sé la sporcizia, non hanno paura di cooperare con gli altri, non hanno paura della fatica, neppure delle amarezze, neppure dell’ingiustizia.

Perché per noialtri il lavoro non è un gioco o un divertimento, ma una responsabilità e sì, una fatica.

Le verità le sappiamo.

L’editoria è un commercio. Il libro un prodotto d’intrattenimento. La produzione delle storie segue le logiche del mercato. Esse hanno un proprio pubblico, con i propri tratti distintivi di età, genere e professione, i propri interessi e le proprie abitudini di acquisto. L’editore è un commerciante che sceglie i contenuti giusti da piazzare. Un industriale che costruisce con cura i pezzi in modo che vengano comprati.

La scrittura non è un mestiere. Gli scrittori che campano con i diritti d’autore sono pochissimi e i pochi posti disponibili sono tutti occupati. Non esiste nessuno scenario sul futuro che dica che nei prossimi anni servano nuovi scrittori. Ci sono, e sono pochi, gli esperti di storytelling, gli inventori di plot per prodotti seriali, coloro che padroneggiano il linguaggio per l’intrattenimento o per la persuasione commerciale. Degli scrittori di romanzi non c’è traccia. Incitare gli annebbiati a sognare la professione di scrittore è un inganno, un inganno colpevole e meschino, perché consapevole.

L’industria editoriale campa sulla vanità degli scrittori. La stragrande maggioranza dei produttori di storie dedica tempo alla scrittura che non può essere remunerato dalle vendite. La scrittura di narrativa è attività in perdita. La cura, la dedizione, la qualità di quanto si scrive non cambia la verità della sentenza. Il lavoro dello scrittore è in gran parte volontariato per ingrassare i portafogli di altri e ingigantire il proprio ego smisurato.

La lettura è fatto d’élite. Il libro è un oggetto estraneo ai più. Un libro che sfida il lettore, che cerca di scardinarne il modo di pensare, capace di allargare gli orizzonti, non ha mercato. Nella letteratura come nel dibattito comune o lo scambio è confermativo, o non è (più).

Il lavoro non è lo strumento che ci permette di lasciare il tempo per esprimerci, ma può essere e diventare l’espressione più precisa e diretta del nostro talento per il bene comune. Dobbiamo volerlo, dedicare energia e attenzione. Camminare verticali.

A noi che élite non siamo, tocca lavorare. Uscire di casa alla mattina che è buio e rientrare dopo il tramonto, lottare almeno per un bacio ai nostri figli prima che si addormentino, affrontare responsabilità e scadenze, ma anche vedere un sorriso o un gesto di gratitudine da parte di un ragazzo problematico di cui ci prendiamo cura, o uno studente, o una giovane madre, o una persona anziana. Veder nascere nella realtà oggetti che abbiamo progettato, valutarne l’utilità per un mondo migliore, contribuire alla pulizia e alla salvezza del pianeta o impegnarci a trovare lavoro a chi non ce l’ha.

Noi siamo imperdonabili perché abbiamo il coraggio di svelare le cose nascoste. Gridiamo ciò che è sotto gli occhi di tutti, perché ci impegniamo a costruire un mondo onesto.

Vogliamo un mondo in cui la letteratura superi le logiche del mercato. Non ci vergogniamo a cercare modi nuovi, a inventarci idee per rendere la letteratura libera e libertaria.

Vogliamo un mondo dove l’immaginario non svaluti il lavoro come un temporaneo contrattempo che toglie energia per un destino di narcisistica gratificazione (scrittori, fotografi, pittori, attori e registi), ma che lo racconti per quello che è, come parte essenziale delle nostre vite. Come positivo contributo al bene del mondo.

Vogliamo che diventi cultura comune l’importanza del lavoro come responsabilità e confronto con gli altri e diventi comprensibile, senza vergogna o negazioni, il dramma che significa per ciascuno di noi perderlo.

Un mondo dove ci si aspetta di non dovere sporcarsi le mani, perché tanto c’è qualcun altro che lo farà per noi, è un mondo fascista. Noi imperdonabili non vogliamo farne parte.

*** *** ***

La fotografia a corredo è di Fulvio Orsenigo (1961), fotografo di architettura e di paesaggio. Al centro del suo lavoro, il rapporto tra rappresentazione spaziale e processi percettivi, che viene esplorato nei progetti sull’architettura e sul paesaggio con strategie di volta in volta diverse. Cofondatore del collettivo di fotografi “Fuorivista”, ha esposto alla Biennale di Venezia, alla Biennale di Architettura e alla Triennale di Milano; ha realizzato diversi progetti e volumi, insegnando fotografia presso la facoltà di Architettura dell’Università di Venezia.


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