Brexit: il volto xenofobo del Regno Unito

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L’articolo è stato ospitato da TerreLibere. Riportiamo di seguito il contenuto e qui il link alla fonte.

Racial profiling: l’atto di sospettare o prendere di mira una persona sulla base di una sua appartenenza a una supposta razza. La considerazione è basata su determinate caratteristiche esteriori o di comportamento, che si presumono tipiche di un certo gruppo etnico e che vengono prese di mira dalle forze dell’ordine. In particolare, è l’uso illegittimo del potere da parte di apparati della polizia, a livello locale, statale e federale, su base razziale discriminatoria.

I negoziatori dell’UE hanno fissato una scadenza al Regno Unito per le decisioni in merito al backstop irlandese. Ma, secondo Úna Boyd, coordinatrice del progetto immigrazione del CAJ (Committee on the Administration of Justice) «il confine duro [la linea di separazione con l’Irlanda] esiste già per coloro che sono presi di mira a causa di fattori come il colore della pelle o l’accento. Agevolare i controlli sui passaporti sull’isola d’Irlanda facilita la preesistenza di un confine duro in un momento in cui una Brexit “no-deal” [senza accordo] sembra possibile. Tale argomento è motivo di estrema preoccupazione per molte persone».

Il 17 Settembre, il  CAJ ha denunciato una violazione ripetuta del piano di uguaglianza (Equality Scheme) contro Translink (Northern Ireland Transport Holding Company): la società di trasporti Nord irlandese faciliterebbe controlli discriminatori dei passaporti sui suoi servizi di frontiera. La denuncia è stata presentata per conto di 17 passeggeri direttamente interessati. Da alcuni anni, infatti, gli ufficiali del Garda National Immigration Bureau (polizia della Repubblica d’Irlanda) effettuano il blocco degli autobus che attraversano la frontiera terrestre per condurre controlli sui passaporti. Sull’altro fronte, gli ufficiali del Ministero degli Interni nel Regno Unito conducono controlli simili sui passeggeri che sbarcano dai servizi di autobus transfrontalieri o arrivano ai porti marittimi e agli aeroporti dell’Irlanda del Nord.

Le testimonianze sono chiare: testimoni e vittime raccontano che questi controlli sono spesso condotti sulla base di profilazioni razziali – la forma di discriminazione è chiara: le persone vengono individuate sulla base del colore della pelle o di altri attributi etnici.

Il cosiddetto hostile enviroment – ambiente ostile – ha ancora molte altre facce. Nel marzo 2019 un articolo dell’Independent svelava che le donne dei paesi dell’UE che risiedono nel Regno Unito vivono nella paura delle discriminazioni post Brexit. Il motivo è semplice e quasi ridicolo, ma è il risultato della politica del governo Tories: il sistema di registrazione che consentirebbe loro una residenza permanente è confuso dai cognomi da nubili: molte donne rischiano così il lavoro, un alloggio o i servizi di salute pubblici, anche dopo aver ottenuto il permesso di residenza. A questo pericolo sono più suscettibili le donne che lavorano a tempo parziale o hanno preso dei break (maternità, per esempio) dalla loro carriera, come risulta dalla denuncia di alcuni attivisti alla Commissione per gli Affari Interni: perfino i bambini di cittadini dell’UE rischiano di perdere il diritto di rimanere nel Regno Unito, dopo la Brexit, a causa di difetti nel sistema di domanda e per la mancanza di “garanzie in atto”; l’allarme è stato sollevato per tutti quei minori che non hanno fatto domanda per questo permesso di residenza e per i quali si potrebbe prefigurare un nuovo Windrush scandal (ovvero, lo scandalo politico avvenuto nel 2018 in Regno Unito per l’illegale detenzione di persone a cui sono stati negati i più basilari diritti alla difesa, sotto minaccia di espulsione; i casi registrati ammontano a 83).

Già nell’ottobre 2018, quando era ancora Theresa May a contrattare un Deal pro-Brexit, il quotidiano Independent titolava “La polizia si prepara a un nuovo picco nel crimine d’odio”, previsto non appena la Gran Bretagna avesse lasciato l’Unione Europea. Già il periodo successivo al referendum sulla Brexit del 2016 aveva visto numerosi assalti fisici e verbali ai cittadini europei, tra cui quello dello studente polacco che era stato pugnalato al collo.

Ma un reportage della BBC, realizzato poco prima dell’estate 2019 e aggiornato in questi giorni, illustra un trend che sì, è iniziato durante il referendum pro-Brexit, ma perdura tutt’oggi con cifre preoccupanti. I dati vengono riportati anche dalla maggior parte delle altre testate giornalistiche nazionali del Regno Unito (The Guardian, Independent).

Il razzismo e i cosiddetti hate crimes (tutti quei crimini mossi dall’odio razziale) sono raddoppiati dal 2011 a oggi (corpi ufficiali della polizia specifici sono incaricati di affrontare le “tensioni” che ne risultano).

Source: Home Office

I dati dimostrano anche che circa due terzi dei Comuni si stanno preparando ai possibili disordini civili e all’aumento delle tensioni in caso di una Brexit senza accordi (No Deal). Il Risk Advisory Group, una società di consulenza sui rischi politici, ha lanciato l’allarme non solo per i crimini di odio, ma per «atti di violenza programmati a impatto più elevato». Tre delle quattro forze di polizia gallesi hanno riferito di aumenti, sempre negli ultimi cinque anni. «Gli episodi di razzismo sono cresciuti in tutto il Regno Unito e in Galles da quando è cominciata la campagna pro Brexit,» ha affermato Eryl Jones, dell’organizzazione Show Racism the Red Card, ai microfoni della BBC News: «La sensazione è che molte persone credono di avere il diritto di esprimere i propri sentimenti razzisti o di mostrare odio.» Durante il referendum, 854.572 (52,5%) elettori in Galles hanno scelto di lasciare l’UE, rispetto a 772.347 (47,5%) a sostegno del Remain. Le cifre di Home Office mostrano crimini di odio in Inghilterra e Galles in aumento negli ultimi cinque anni. Queste le ultime cifre rilasciate da Home Office (altri dati qui): – Galles del Nord Wales, 416 crimini nel 2014, 476 nel 2016 e 858 nel 2018; – Gwent (Galles Sud orientale), 374 casi nel 2015-16, 651 nel 2018-19; – Galles del Sud, 879 incidenti nel 2013-14, 1102 nel 2014-15, 1232 nel 2015-16 e 1244 nel 2017-18.

Uno studio condotto da alcuni ricercatori di Southampton mostra come gli atteggiamenti anti-immigrazione e xenofobi nel Regno Unito hanno raggiunto un picco durante la campagna referendaria sulla Brexit e hanno portato a cambiamenti significativi nella vulnerabilità dei cittadini dell’UE nel Regno Unito negli anni successivi. I cambiamenti, dicono i ricercatori, non sono solo nella cosiddetta «vulnerabilità oggettiva» (ovvero, collegati a episodi di odio o discriminazione esplicitamente basati sull’origine nazionale dell’individuo), ma anche nella «vulnerabilità soggettiva» (ovvero, sentimenti di ansia, paura e insicurezza degli individui dovuti alle preoccupazioni di sperimentare episodi di odio motivati ​​dalla razza o discriminazioni istituzionali.

C’è una pagina Wikipedia dedicata al «razzismo in Regno Unito» e un paragrafetto specifico per il Nord Irlanda, la regione di suolo britannico che verrebbe tagliata dal resto dell’isola di Irlanda dall’hard border (confine duro): «L’Irlanda del Nord ha registrato il maggior numero di episodi di razzismo per persona nel Regno Unito. Gli stranieri hanno tre volte più probabilità di subire un incidente razzista nell’Irlanda del Nord rispetto ad altre parti del Regno Unito. […] Secondo la polizia, la maggior parte degli incidenti razzisti si verificano nelle aree protestanti lealiste e membri di gruppi paramilitari lealisti hanno orchestrato una serie di attacchi razzisti volti a “ripulire etnicamente” queste aree”.»

Proprio in questi mesi riappaiono minacce di violenza da parte di gruppi terroristici filo-britannici – o «paramilitari», come la stampa britannica preferisce chiamarli in contrasto con i «terroristi» irlandesi – se dovesse essere raggiunto un accordo di compromesso tra il Regno Unito e l’Unione Europea.

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Immagine a corredo del testo per gentile concessione di Diego Barsuglia: nato a Pisa nel 1978, è fotografo professionista dal 2006. Da qualche anno si occupa principalmente di inquinamento, salute e consumo del suolo. I suoi lavori sono stati pubblicati tra gli altri su Sette, Repubblica, l’Espresso, El Mundo, El Paìs, Rai e Sky. 


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