Come e perché il mercato delle armi ha avallato la Brexit

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Il Fondo di difesa europeo

La storia, almeno quella conclamata, inizia nel 2016, stesso anno del referendum pro-Brexit, quando il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker annuncia la proposta di un fondo europeo della difesa (EDF), sostenuto dal Consiglio europeo pochi mesi dopo. Tra il 2017-2020, verranno pagati in totale 590 milioni di euro all’industria militare per progetti pilota. Viene costituito un gruppo di consulta, noto come Group of Personalities (GoP), che si occupa di sviluppare la proposta. Il GoP viene composto da sedici membri e capeggiato da dirigenti dell’industria delle armi. L’organico dei programmi UE prevede un accordo tra gli Stati membri, della Commissione e dell’Euro Parlamento.

Tuttavia, il supporto finale alla consulta arriva solo quando il Parlamento vota il 18 aprile, con 328 voti a 231, per sostenere un budget di 13 miliardi di euro per il EDF, ovvero per ricerche militari condivise e di sviluppo, previste tra il 2021 e il 2027. La mozione del Parlamento specificamente menziona “disruptive technologies” – tecnologie dirompenti – come principale obiettivo. Di cosa si tratta? Armi e tecnologie che «possono cambiare radicalmente i concetti e la condotta di guerra», come per esempio la cosiddetta intelligenza artificiale. Il risultato atteso dal EDF è che rafforzerà la capacità dell’industria militare per esportare al di fuori dell’Unione.

Brexit 

Ma l’EDF si coordina con il Regno Unito, nonostante il paese britannico venda un’altra faccia sui giornali. La Political Declaration del novembre 2018 che governa le relazioni post Brexit precisa che il Regno Unito parteciperà a progetti di competenza attraverso l’EDF.

La scelta è la seguente: il governo del Regno Unito e le aziende d’armi vogliono mantenere i legami industriali militari con i paesi dell’Unione. Le intenzioni da entrambe le parti sono chiare: se il Regno Unito lascia l’Unione sarà, comunque, un membro associato.

L’opposizione

Nel 2018, European Network Against Arms Trade (ENAAT) si oppone ai finanziamenti di progetti militari. A giugno 2018, la Commissione europea viene richiamata dal EDF poiché a «rischio di reputazione» a causa di «difficoltà attese con alcune ONG che contestano [la sua] logica». Dall’altra parte le ONG accusano l’Unione, che deve «giustificare l’esistenza e il funzionamento» del EDF. Di lì a poco, l’ENAAT, nella voce del suo membro fiammingo, Vredesactie, denuncia la segretezza che circonda il GoP. Nel febbraio successivo, viene reso noto che la Commissione Europea accoglie l’Ombudsman’s recommendation e applicherà le regole di trasparenza per i gruppi consultivi ad hoc.

Aprile 2019. 1000 scienziati e ricercatori di vario titolo avvertono circa il pericolo e le conseguenze epocali di una ricerca militare nel programma di finanziamento della UE. Secondo Stuart Parkinson di Scientists for Global Responsibility questa ricerca «punta verso un modello senza precedenti nell’accelerazione di una militarizzazione dell’UE. Investire fondi UE in ricerca militare non solo dirotterà risorse da aree pacifiche, ma probabile alimenterà la corsa agli armamenti, minando la sicurezza in Europa e altrove».

Gli investimenti

Nel frattempo il mercato d’armi si intensifica su vari fronti e i finanziamenti salgono alle stelle come non è mai accaduto da decenni. La Metropolitan Police ha triplicato la sua spesa in proiettili di plastica. Secondo un’indagine del The Guardian, questa forza di polizia avrebbe speso oltre 500.000 sterline in munizioni nel 2017 – più di tre volte la spesa media annua per i cinque anni precedenti. Anche altre forze di polizia nel Regno Unito hanno aumentato le spese. 

In un’analisi del Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), il volume dei trasferimenti internazionali di armi di maggiore portata nel periodo 2014-2018 è stata superiore al 7,8% rispetto al precedente quinquennio. I cinque maggiori esportatori sono stati: Stati Uniti, Russia, Francia, Germania e Cina.

La corsa agli armamenti, e il finanziamento a suo favore, segue, infatti, un’orchestrazione precisa, spesso nascosta e mantenuta segreta, tra gli stati membri UE e il Regno Unito. Secondo un’analisi della società di ricerca IHS Markit, il Regno Unito sarà un importatore netto di equipaggiamento militare entro il 2024. Il rapporto basa le sue conclusioni sulle tendenze a lungo termine, sugli ordini esistenti e sul portafoglio di importazioni del Regno Unito. 

Ci sono, poi, forze speciali armate del Regno Unito che agiscono segretamente. Secondo il Dailymail, almeno cinque commandos delle forze speciali del Regno Unito sono stati feriti durante l’operazione militare nello Yemen; ma il governo britannico nega che il personale britannico abbia un ruolo militare in questo paese.

Su scala europea, i giochi si fanno più raffinati, in uno schema di vendite e passaggi organizzati sottobanco. Il governo tedesco ha esteso il suo divieto di esportazione di armi in Arabia Saudita fino al 30 settembre 2019. Tuttavia, ha fatto concessioni per consentire ad altri esportatori di armi la spedizione di armi prodotte in collaborazione con società tedesche. Già nel gennaio 2019, la più grande compagnia di armi del Regno Unito, BAE Systems, vende grossa parte di un pacchetto azionario Land UK tank and combat vehicle division a una società tedesca di armi, Rheinmetall (la compagnia tedesca rivale), per 28,6 milioni di sterline.

A livello globale, le armi si perfezionano e il finanziamento dell’industria militare diventa essenziale per apportare gli sviluppi tecnologici voluti. Il processo emerge, tuttavia, solo attraverso fonti indirette. Come nel caso di un gruppo di lavoratori Microsoft che si è opposto alla decisione dell’azienda di fornire all’esercito americano cuffie HoloLens che secondo loro potrebbero trasformare i campi di battaglia del mondo reale in un videogioco. I display HoloLens di Microsoft montati sulla testa utilizzano la realtà aumentata: ovvero, l’osservatore può vedere immagini virtuali sovrapposte allo scenario frontale.

Ma il Warfare non si ferma qui, ha anche una natura “psicologica”. Infatti, il finanziamento alla ricerca militare allarga i suoi confini in territori inimmaginati. Secondo i documenti trapelati attraverso un’inchiesta del The Guardian, l’esercito del Regno Unito recluterebbe filosofi, psicologi e teologi alla ricerca di nuovi metodi di guerra psicologica e manipolazione comportamentale. L’Università di Cambridge sarebbe stata tra le istituzioni selezionate, per un valore massimo del finanziamento del Ministero della Difesa di 70 milioni di sterline. L’Università di Cambridge avrebbe successivamente ritirato la sua partecipazione per motivi che non sono stati resi pubblici.

Vendita di armi alla Turchia e la guerra in Siria

Mentre aumentano le evidenze dell’uso di armi al fosforo nell’invasione turca nel nord-est della Siria contro i curdi, sulle isole britanniche si diffonde la preoccupazione che i prodotti al fosforo siano stati venduti proprio dalla Gran Bretagna alla Turchia. Secondo un’inchiesta de The Times, i ministri avrebbero rilasciato oltre settanta licenze di esportazione di prodotti militari che avrebbero contenuto fosforo diretti ad Ankara, negli ultimi due decenni.

Per la BBC, i principali fornitori della Turchia sono stati tradizionalmente gli Stati Uniti e l’Europa, ma più recentemente la Russia per l’acquisto di un sistema di difesa antimissile. Solo poche settimane fa, il segretario agli Esteri britannico Dominic Raab ha affermato che la Gran Bretagna continuerà a vendere armi alla Turchia ma non concederà nuove licenze di esportazione per le armi che potrebbero essere utilizzate in operazioni militari in Siria. Tra i paesi dell’area europea, Francia, Spagna e Regno Unito rimangono i principali fornitori.

Brexit, le fiere d’armi e gli accordi con paesi terzi

Ma arriviamo a settembre di quest’anno. Mentre il dibattito sulla Brexit continua il suo teatrino, la fiera di armi della Defence & Security Equipment International (DSEI) porta migliaia di trafficanti di armi e acquirenti militari a East London. DSEI è una delle più grandi fiere al mondo. Esiste solo per un motivo: promuovere la vendita di armi – fucili, carri armati, caccia e corazzate. I compratori socializzano con le più grandi compagnie di armi del mondo. Sono presenti tutti i dieci maggiori produttori di armi. 

Tuttavia gli accordi discussi durante la DSEI sono mantenuti segreti, come anche il tipo di armamenti che vengono venduti. Non c’è alcun accordo che renda trasparente a chi vengano vendute o contro chi verranno usate. I trafficanti di armi e le delegazioni militari sono affiancati da decine di dipendenti pubblici, che agevolano ogni fase del processo. Il governo non si limita a facilitare lo svolgimento della DSEI: è un partecipante attivo. L’evento, che è supportato dal Ministero della Difesa e dal Dipartimento del Commercio Internazionale, prevede talks di ministri del governo. Quest’anno migliaia di attivisti da tutto il paese hanno tentato di bloccare la fiera. Almeno 116 dimostranti sono stati arrestati e la fiera, nonostante le contestazioni, quest’anno è cresciuta del 7% grazie alla partecipazione del Ministero e di alti funzionari britannici.

La Brexit ritarda ma è un processo che non si arresta in alcun modo, sia in presenza dei Tories che dei Labours, e questa è una buonissima notizia per chi investe nel mercato delle armi. 

Non meno di sei cabinet ministers hanno partecipato al World Economic Trade Forum di Davos, dando luogo al primo potenziale accordo commerciale post Brexit della Gran Bretagna con Israele. E proprio il giorno dopo l’annuncio del segretario straniero che 2,5 milioni di sterline sarebbero state impegnate a sostenere il processo di pace delle Nazioni Unite in Yemen, si pregusta una sciccosa “cena tra trafficanti di armi” presso Park Lane a Londra con molti ospiti, nella lista, favorevoli al bombardamento a guida saudita dello Yemen.  E così, mentre il motore della Brexit romba, si riscalda anche uno degli aspetti più controversi e inquietanti della Brexit Deal: i rapporti dell’industria delle armi del Regno Unito con i cosiddetti regimi senza scrupoli; accordi di libero scambio al di fuori dell’UE significano meno regolamentazione, meno trasparenza.

I legami sempre più stretti del Regno Unito con Israele includono, ovviamente, l’aumento di vendita di armi. Nel 2017, il governo ha rilasciato 221 milioni di sterline in licenze di armi alle società di difesa britanniche che esportano missili, fucili di precisione e altre attrezzature al regime. Questi accordi sono stati stipulati di fronte alle convenzioni internazionali che condannano le violazioni dei diritti umani di Israele contro la sua popolazione palestinese e in Cisgiordania e Gaza.

Nei 12 mesi successivi al referendum UE 2016, la Gran Bretagna ha autorizzato licenze di esportazione per un valore di 2,9 miliardi di sterline in 30 paesi con regimi oppressivi – come il Bahrain, l’Azerbaigian e l’Uzbekistan – fino a quasi un terzo rispetto all’anno precedente, in cui le licenze di esportazione erano state concesse a soli 17 di questi paesi, secondo una ricerca di una campagna contro il commercio di armi. Già nel 2017 il commercio di armi del Regno Unito è valso un totale di £ 74 miliardi, con esportazioni che hanno raggiunto £ 41 miliardi, fornendo lavoro diretto a 380.000 persone.  

A gennaio 2019, il Segretario di Stato per gli affari esteri e del Commonwealth, Jeremy Hunt, ha aggiunto che la Gran Bretagna sosterrebbe il «dispiegamento e il coordinamento della capacità di sminamento e di smaltimento degli  esplosivi nella città di Hodeidah (Al Hudaydah)». Gli esplosivi non sarebbero potuti, o non avrebbero dovuto, essere venduti al regime saudita dal Regno Unito. Ma, grazie a un sistema di licenze opaco, tutto questo è praticamente impossibile da accertare.

La Brexit cresce su un terreno che è stato reso fertile già da molti anni. Gli elementi fondamentali alla sua realizzazione sono stati almeno due: la creazione di un hostile environment nelle politiche di immigrazione (con un target specifico sul tipo di cittadini stranieri accolti in territorio britannico) e gli investimenti militari. La Brexit è diventata così un processo che doveva in ogni modo avvenire, vista la posta in gioco in termini di accordi miliardari sottobanco già stipulati.

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La fotografia a corredo è di Fulvio Orsenigo (1961), fotografo di architettura e di paesaggio. Al centro del suo lavoro, il rapporto tra rappresentazione spaziale e processi percettivi, che viene esplorato nei progetti sull’architettura e sul paesaggio con strategie di volta in volta diverse. Cofondatore del collettivo di fotografi “Fuorivista”, ha esposto alla Biennale di Venezia, alla Biennale di Architettura e alla Triennale di Milano; ha realizzato diversi progetti e volumi, insegnando fotografia presso la facoltà di Architettura dell’Università di Venezia.


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