«Sono femminista, ma» dice Cristina Chinaglia ed è subito scandalo: quando il politicamente corretto colpisce l’avversativa e il contraddittorio

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Per quanto tu sia femminista, troverai sempre qualcuna più femminista di te. Di questo mi sto convincendo, dopo aver passato metà della vita a sentirmi accusare di esserlo troppo, e ora, sempre più spesso, di non esserlo abbastanza. Sarà forse che oltre a nascere incendiari e morire pompieri, a volte si nasce femministe e si muore patriarcali?

Eppure sento che qualcosa non torna, leggendo le troppe accuse di misoginia rivolte all’ultimo monologo di Cristina Chinaglia, recitato durante la trasmissione Stati generali di Serena Dandini, su RAI3.

«Sono assolutamente solidale con il femminismo,» inizia l’attrice. Poi però fa qualcosa di imperdonabile, pronuncia un «ma». E da «non sono razzista, ma» in avanti, i «ma» non si possono più dire. Poco importa che ogni avversativa del pensiero non possa nascere che da un «ma», e che senza contraddittorio muoia la riflessione.

Primo bersaglio del monologo, quelle donne che sui social accompagnano foto sexy a frasi letterarie, tette e culi esibiti a versi leopardiani. Immediata la rivendicazione femminista: che c’è di male nel mostrare il proprio corpo? Nulla, infatti. Anzi, esistono foto di nudo splendide, sia maschili che femminili, e anche quelle meno belle possono comunicare una loro verità. Solo che la Chinaglia sta dicendo altro. Da umorista, sta scoperchiando alcune contraddizioni, e come diceva già Pirandello, cos’è l’umorismo, se non «il sentimento del contrario»?

L’attrice non risparmia nessuno dei due sessi, entrambi tesi a mascherare dietro finti intellettualismi i loro istinti, esibizionistici o sessuali che siano. Il senso di straniamento – per continuare con i termini pirandelliani – è evidente sia nelle foto sexy con citazione colta, sia nelle risposte degli utenti maschi, che spesso si profondono in improbabili elogi della levatura culturale della discinta. Quando arriva poi il commentatore irriverente, pronto a squarciare il velo di Maya con il suo «ma di preciso Leopardi con le tette che c’entra?», viene di norma trattato come un bigotto incolto, che vede malizia dove non c’è.  Quasi a negare la banale realtà che se mostri le tette, ti guarderanno le tette.

Mentre abbandono anch’io ogni pretesa di riferimento dotto, oserei dire che nel mondo social, putrida cloaca e al tempo stesso sublime caleidoscopio di umanità, non mancano donne che troieggiano e uomini che porcheggiano: il livello zero della seduzione, eppure esiste e prospera. Perché ammantare di letteratura e romanticismo questioni così squisitamente basiche?

Se una donna (ma vale anche per un uomo) ha tutto il diritto di mostrare il proprio corpo, a scopo narcisistico o seduttivo, perché pararsi il culo – tra l’altro di norma in questi casi già ben scoperto – con una superflua ricerca del «però sei anche intelligente»? Se pure lo sei, non è in quel momento che lo stai dimostrando. E di più ancora, appare assurdo lanciare un messaggio sessuale e stupirsi, o addirittura offendersi, nel ricevere una risposta sessuale, attribuendo tutta la malizia al fruitore e nulla a sé. E poi, di nuovo sull’umile terra, che gusto c’è a troieggiare, se nessuno porcheggia?

In questo episodio, di per sé parva cosa, ritrovo molte contraddizioni dell’attuale femminismo. Dopo quello storico, che ha lottato per la parità di diritti nel lavoro e in famiglia – invero non sempre, non ovunque e non del tutto raggiunta nei fatti – e che ringrazio ogni giorno della mia vita, oggi troviamo un femminismo impazzito e isterico, che si dibatte tra esigenze non sempre conciliabili, finendo per chiudere ogni discussione con l’autoindulgenza plenaria: «Una donna deve poter fare quel che vuole.» Principio sacrosanto, finché non si pretende di essere guardate e insieme di colpevolizzare chi guarda, mostrare le tette ed essere elogiate per l’intelligenza. Ma in questo caso si arriva a qualcosa di peggio: condannare una donna per il peccato imperdonabile di fare ironia – anche – sulle donne, dimenticando che sorridere di sé stesse e delle proprie contraddizioni è anch’essa una libertà inestimabile.

*** *** ***

Fotografia a corredo di Michela Bin, per gentile concessione dell’autrice. Nata a Trieste nel 1972, Michela Bin è laureata in archeologia medievale presso l’Università di Trieste; appassionata di fotografia da sempre, ha approfondito le sue conoscenze, tra gli altri, con Graziano Perotti.


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