La culla vuota e la più vecchia influencer del web: il mondo dopo Greta Thunberg

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Non condividevo il loro pensiero, né il comportamento, ma non sapevo come ribellarmi. Loro erano tanti e ben organizzati, mentre io ero rimasto da solo a combattere il sistema; oltretutto, i fastidi della vecchiaia non mi davano tregua, azzerando ogni mia pulsione. Ma come eravamo arrivati a questo punto? Continuo a chiedermelo senza trovare una risposta. So solo che all’inizio di tutta la faccenda il Movimento per la tutela degli anziani si era prefissato degli obiettivi encomiabili, come l’istituzione del Ministero per la Solitudine, università e Internet gratis per tutti i pensionati e la progettazione di comandi vocali per consentire agli ipovedenti l’accesso al web. Purtroppo, però, le cose avevano preso una brutta piega.

Anni fa questa città era piena di giovani, cinema, discoteche, sale giochi aperte 24 ore su 24, e campeggi. D’estate arrivavano turisti da tutto il mondo. Insomma, era una località viva, solare, forse un filo chiassosa. Ora, invece, la prima cosa che balza agli occhi entrando in città è un catafalco marrone, completamente sventrato, emblema di un’epoca ormai tramontata. La facciata è coperta di scritte e disegni fatti con le bombolette spray, il viale d’ingresso è una massa verde di erbacce. Dentro, il vuoto: hanno saccheggiato tutto, perfino i cavi di rame dell’impianto elettrico. In passato era un hotel extralusso, con tanto di centro benessere, palestra e casinò. Giravano un sacco di soldi e pare che fosse frequentato da uomini d’affari e prostitute d’alto bordo. Proseguendo verso il centro si è costretti a fare lo slalom fra una miriade di buche, crepe e avvallamenti; lo scenario non cambia neanche nella strada d’accesso all’ospedale, dove il reparto di ostetricia è chiuso da tempo. I futuri padri, i futuri lavoratori, hanno smesso di nascere: tutto questo perché il Codice comportamentale del Movimento aveva imposto agli uomini-adulti in età fertile di sottoporsi a vasectomia. Uno dei dogmi del Movimento era infatti la tutela della specie anziana attraverso il processo denatalità 0: meno bambini più attenzioni agli anziani. Ma qui altro che calo delle nascite, negli ultimi due anni non era venuto al mondo neppure un bambino. Ecco perché presi le distanze dal Movimento: questa cosa della sterilità mi sembrava una follia. Lo provai a spiegare ai miei concittadini, ma chi prima chi dopo, la quasi totalità degli adulti in età fertile si sottopose all’intervento. Più ci penso, più non mi capacito di come sia stato possibile. Erano davvero tutti rincoglioniti? Come hanno fatto a convincere così tanta gente? Dall’obbligo di contraccezione chirurgica erano stati dispensati i ragazzi di età compresa tra i 9 e 17 anni, ma l’esenzione non eliminò il rischio di una deriva sociale. Infatti, poco tempo dopo l’entrata in vigore del Codice, quasi tutti i giovani scomparvero misteriosamente o vennero trovati morti in circostanze mai chiarite. Rimasero solo Alice e Alberto, una coppia che viveva in campagna e in giro si vedeva poco. I classici fidanzatini che si erano conosciuti tra i banchi della scuola, oggi deserta. 

L’unico bar ancora aperto è bazzicato solo da anziani che giocano a backgammon, si scolano litri di vermouth o si addormentano sulle sedie russando senza ritegno. Molti perdono la bava dalla bocca, altri scatarrano sul pavimento: ci manca poco che non vomitino anche le dentiere. Non dovrei parlare così, lo so. In fondo sono anch’io un vecchio rimbambito come gli altri, ma è più forte di me: questa città mi mette tristezza. 

Quando entrai nell’atrio della casa di riposo, che un tempo era stata una scuola, mi venne incontro il solito infermiere con una spilla a forma di farfalla appuntata sul camice arancione. Avrei preferito non vederlo. Non che fosse antipatico, solo che aveva spesso l’alito che puzzava di vino e formaggio avariato. Mi sbarrò la strada con un braccio: «L’ospite della stanza 107 non si sente bene, ha bisogno di riposare. Mi spiace, oggi niente visite.» Stava per aggiungere qualcosa quando il suo cercapersone cominciò a suonare. Un’emergenza al terzo piano. Si fregò le mani soddisfatto, poi si allontanò nel corridoio.

Aspettai che sparisse dietro una porta scorrevole prima di incamminarmi verso l’ascensore. Odio quelle scatole di latta, ho paura che si blocchino, ma la prospettiva di salire cinque rampe di scale a piedi era scoraggiante. Le mie ginocchia non avrebbero certo gradito. D’altro canto non vedevo Giacomo da mesi e desideravo accertarmi delle sue condizioni. Da quando era rimasto solo al mondo, ogni tanto andavo a fargli visita. I nostri nonni avevano fatto la seconda guerra mondiale insieme.

La porta era appena socchiusa e da dentro arrivavano dei lamenti. Sporsi la testa e vidi Giacomo sulla sedia a rotelle vicino alla finestra. «Ciao pigrone, come te la passi?»

«Parla piano, non farti sentire.» Non mi salutò neppure.

Mentre mi avvicinavo, notai il braccio sinistro fasciato e un labbro tumefatto. «Cosa ti è successo?» 

Lui mise un dito in croce sulla bocca per dirmi di tacere: «Portarmi via, ti prego,» si lasciò andare a una smorfia di dolore. «Guarda qua,» mi mostrò altri segni: sulle mani, sul collo. Era tutto un livido.

«Mi hanno preso a bastonate. Ho creduto di morire.» Poi si zittì, il respiro corto. 

«Chi è stato?»

«Gli infermieri pisciano addosso al mio compagno di stanza,» aveva le lacrime agli occhi, ansimava tanto che percepivo a fatica le sue parole. «Lo riempiono di schiaffi, spintoni e sputi, a volte lo svegliano all’improvviso mentre dorme con una secchiata d’acqua in faccia. E poi lo insultavano di continuo: «Fai schifo, sei un paralitico di merda. Ma quando muori?» 

Distolsi lo sguardo: avevo paura di non riuscire a sentire altro.

«La scorsa settimana l’hanno trasferito al terzo piano e non so più niente di lui.» Fece una pausa, forse per prendere fiato: «Da un anno a questa parte indossava sempre la stessa vestaglia nera, le stesse pantofole, non riceveva più telefonate e nessuno veniva a trovarlo.»

In quella struttura i maltrattamenti erano una costante e a turno toccavano un po’ a tutti. Chi era privato del letto perché parlava troppo, chi veniva chiuso in una stanza al buio perché chiedeva di andare in bagno; altri ancora erano immobilizzati mani e piedi per il solo gusto di farlo.

Feci per sedermi, poi ci ripensai. «Vado alla polizia.»

«Portami via con te. Altrimenti rischi di non trovarmi più, dico sul serio.»

«Ma come faccio? E dove ti porto? Hai bisogno di cure.» 

Giacomo scrollò le spalle: «Siamo tutti soli a questo mondo.» 

«Le avevo detto niente visite!» 

Non osai voltarmi, ma non potevo neppure stare fermo. «Ho pensato che il mio amico avesse bisogno di qualcosa.» Non so perché ma non riuscii a dire altro. 

«Se ne vada prima che chiami la sicurezza.» 

Giacomo ruotò la sedia a rotelle verso la finestra. 

Avrei dovuto fare qualcosa, come parlare al direttore, invece scesi in strada e mi diressi verso il Distretto, convinto che fosse la cosa migliore. Poi, però, mi ricordai che a causa della carenza di organico era aperto solo la mattina, dalle dieci a mezzogiorno. Ormai funzionava tutto a singhiozzo. Girovagai per le vie del centro, finché mi decisi a rimettere piede da Michelino.

«Era un po’ che non ti facevi vedere da queste parti; ormai pensavo fossi morto,» Antonio posò il bicchiere di bianco sul tavolo.

In effetti non uscivo da un mese. Non mi andava di condividere i pensieri e la solitudine con altra gente. «Giacomo è in grave pericolo, dobbiamo aiutarlo.»

«Lascia perdere, quell’uomo sta meglio di me e te messi insieme.»

«Gli infermieri della casa di riposo lo picchiano.»

«Racconta un sacco di palle. Era così anche da giovane.»

Perché insistere? Qualunque cosa dicessi, Antonio ribatteva colpo su colpo. In fondo dovevo immaginarlo: non erano mai andati d’accordo. Lo guardai: «Hanno tolto anche l’autobus delle sedici e trenta. Per venire qui ho dovuto attendere un’ora su una panchina gelata.» 

«Non ci sono più autisti, perciò hanno ridotto le corse.» Aveva la voce catarrosa e gli tremavano le mani. Tirò fuori un fazzoletto sporco di muco e lo distese sul tavolo. Faceva ribrezzo, un vero schifo. 

«Scarseggiano anche gli autisti.» 

«È normale: dobbiamo centellinare le risorse,» Antonio ordinò un altro bianco al barista, un ottuagenario che indossava una felpa con la faccia di Elettra, la leader del Movimento per la tutela degli anziani e nostra onorevole concittadina. Quella donna aveva quasi novant’anni ed era un mito: le sue parole erano istruzioni per la coscienza, tutti la adulavano qualunque cosa facesse. Il suo profilo social vantava 10 milioni di follower e per ogni post sponsorizzato guadagnava 90 mila euro. Si faceva immortalare in look stravaganti mentre inghiottiva pillole miracolose che allungavano la vita o davanti a qualche locale alla moda. Per farla breve, era la nonnetta più trendy del web. Tra i suoi fan c’erano il Sindaco, il Vice-Sindaco e tutti gli industriali di zona. «Forse non lo sai, ma finalmente è stato istituito il Ministero della Solitudine.»

Possibile che non capisse la gravità della situazione? 

«Il Movimento sta lavorando per noi, soprattutto Elettra.»

Abbassai lo sguardo sulle piastrelle grigio-sporche. Da quanto non lavavano il pavimento? «Senza i giovani, però, il sistema pensionistico non regge.» Non ci voleva uno scienziato per capirlo. Il tutto, poi, era aggravato da un allungamento dell’aspettativa di vita che creava costi non più sostenibili.

«Non dover investire denaro sui neonati significa poter spendere più soldi per gli anziani. E poi i giovani sono molto meno produttivi dei lavoratori di mezza età.» Antonio alzò gli occhi sul vecchio orologio fissato sopra il bancone. 

«Ne risentirà anche la sicurezza nazionale: in futuro non ci saranno più risorse per la difesa militare.»

«Come sostiene Elettra, un giorno le guerre finiranno.» 

Era veramente ottuso.

«In giro, qua da noi, sono rimasti solo due giovani. Se spariscono anche loro è la fine. La fine di tutto.» Mi sentivo amareggiato, impotente. Avevo fatto il maestro per più di trent’anni, dedicandomi con passione agli alunni: tenevo soprattutto a quelli più fragili, io li chiamavo così. In realtà erano i bambini meno dotati, o privilegiati, che non facevano i compiti, oppure li copiavano dai compagni più volenterosi. La mia missione era quella di non lasciare indietro nessuno e in un modo o nell’altro ci riuscivo quasi sempre. A quei tempi, oltretutto, le classi erano sovraffollate: in media avevo venti alunni. 

«Tu pensi troppo. Rilassati.» Mi guardò negli occhi poi sputò sul pavimento un intruglio gelatinoso. 

Mentre l’ascoltavo, un pensiero attraversò la mia mente: com’era possibile che il Movimento per la tutela degli anziani non sapesse nulla di ciò che accadeva nella casa di riposo?

Fu allora che entrò Elettra. Portava, a tracolla, una borsa tecnicolor da cui spuntava un fascicolo arrotolato.

Antonio fece leva sul bastone e si alzò: «Facciamo una foto insieme?» E le zoppicò incontro.

Elettra sorrise: sfoggiava denti bianchissimi, così luccicanti da sembrare falsi; poi tirò su i collant color carne che le fasciavano le gambe un po’ incurvate. «Non ho mai fatto tante foto come in questi due anni. Mi sento una star del cinema.» Come darle torto, era entrata nei guinness dei primati come l’influencer più anziana di tutti i tempi. «Eppure, se dovessi dar retta alle donne della mia età, sarei in una casa di riposo a fare la maglia.» Dopo essersi sistemata il rossetto sulle labbra, si fece un selfie con Antonio.

«Propongo un brindisi per Elettra.» La nuca del barista aveva delle macchie nere, che formavano una specie di scacchiera. «Venite pure nel mio ufficio,» diede un colpo di tosse così forte che per poco non si strozzò. Era stato sposato per quarant’anni, ma non aveva avuto figli. Qualcuno sosteneva che non potesse averne, altri, invece, ritenevano che non li volesse per partito preso. 

Elettra gli fece l’occhiolino. «Ora veniamo.»

Che se la intendesse col barista? 

La regina del web si avviò verso il retro del bancone, lasciando dietro di sé una scia di profumo che per poco non mi fece soffocare. Di colpo sembrava impaziente, molto. Antonio si passò una mano sulla bocca, poi la seguì guardandosi alle spalle, come se aspettasse qualcuno.

Feci per andarmene, ma mentre mi dirigevo verso la porta inciampai nella borsa colorata. Praticamente la calpestai. Come era finita lì? Mi inginocchiai per raccoglierla con uno strano senso di pesantezza alla testa. Forse avevo la pressione bassa. Mentre ero ancora accovacciato, mi accorsi che sulla copertina del fascicolo era stampigliata una farfalla con la scritta ad extremum terrae. Incuriosito, scorsi alcune pagine e scoprii che il fascicolo conteneva le fotografie di ragazzi scomparsi. Tutte le foto erano contrassegnate da una croce. 

«A quanto pare le piace ficcanasare nei fatti altrui.» La sua voce mi ricordò i lamenti di mia madre in punto di morte. Erano incessanti. «Suvvia, non stia lì, beva un sorso anche lei, è ora di festeggiare.» Mi allungò un bicchiere con dentro del liquido ambrato. 

«Non ho sete, grazie.» Posai lentamente il fascicolo e indietreggiai con le mani sui fianchi. 

«Eh, no, caro mio, un brindisi non si nega a nessuno, tantomeno agli amici. E qui siamo tutti amici. Giusto?»

Volevo scappare, ma non avevo il coraggio. O forse non volevo contrariarla. Afferrai il bicchiere, ne tracannai il contenuto per togliermi il pensiero. L’aria divenne pesante, vischiosa, quando il pavimento prese a roteare. «Mi sento male.» 

Svenni. 

Quando ripresi coscienza ero legato a una sedia. Di fronte a me, disteso su un letto con le sbarre, c’era Alberto, nelle mie stesse condizioni. Però era nudo dalla vita in giù e non capivo se fosse vivo o morto.

«Grazie a noi, la nostra amata terra sarà salva.» La bocca della vecchia si muoveva lenta, lentissima, quasi al rallentatore.

«Un taglietto qui, un taglietto là e anche questo ragazzo non potrà più uccidere il pianeta.» Antonio indossava dei guanti e teneva tra le mani un bisturi appuntito. «Prima faccio due incisioni all’altezza dello scroto, poi lego i dotti deferenti. La vasectomia è un giochetto da ragazzi. Fatto lui, non ci saranno altri esseri umani in grado di concepire.»

«Fermatevi, vi prego! Fermatevi.» Sentivo qualcosa nello stomaco, qualcosa che mi rosicchiava. 

Elettra mi si piazzò davanti. «Lei è solo uno spettatore. Io decido, io scelgo per tutti. Voi non siete in grado di pensare.» Si allontanò di qualche passo, poi tornò indietro: «Sa perché non abbiamo fatto nulla per fermarla? Glielo dico io: lei è sterile e noi lo sapevamo da un pezzo. Sappiamo tutto. Lei non rappresentava alcun pericolo. Anzi, senza volerlo, era già uno di noi.»

Provai a liberarmi, ma fu inutile. 

Antonio mi posò una mano sulla spalla: «Non ti agitare, lascia perdere.» 

«Vuole farmi una domanda, lo so. Una sola.» All’improvviso, sembrava gentile. «Chieda pure.»

«Perché?» 

«Si offende se le dico che mi aspettavo una domanda più intelligente?» Controllò il cellulare, poi rise forte. «È come tutti gli altri. Siete uomini stupidi, facilmente influenzabili.» Si mise a sedere e sorseggiò qualcosa da un bicchiere di plastica: «Mi ascolti bene. Non esiste alcun Movimento per la tutela degli anziani. Esiste invece il Movimento per l’estinzione umana volontaria. Visti i disastri ambientali causati dalla razza umana e la continua opera di distruzione dell’ecosistema, la migliore difesa possibile del pianeta è l’estinzione del genere umano.» Per ottenerlo, il gruppo non riteneva indispensabile una guerra o uno sterminio di massa. Era sufficiente smettere di mettere al mondo dei figli. «Non siamo dei disadattati che non riescono a inserirsi nella società, siamo semplicemente più altruisti degli altri. Quando l’ultimo essere umano abbandonerà la Terra, un nuovo raggio di speranza si accenderà nel buio.» Guardò il soffitto, solcato da crepe spesse come le rughe che le scavavano la fronte: «Antonio, procedi.»

*** *** ***

Fotografia a corredo di Michela Bin, per gentile concessione dell’autrice. Nata a Trieste nel 1972, Michela Bin è laureata in archeologia medievale presso l’Università di Trieste; appassionata di fotografia da sempre, ha approfondito le sue conoscenze, tra gli altri, con Graziano Perotti.


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