La pandemia come “portale” verso un apparato di sorveglianza totale: dalla scrittrice indiana Arundhati Roy alla premier islandese Katrín Jakobsdóttir, esempi e testimonianze nel mondo

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In un mondo nel quale a pochi è concesso il diritto incondizionato di movimento e nel quale la maggior parte è esclusa da questo privilegio o subisce l’immobilizzazione, la gestione della pandemia per il Covid-19 ha portato a un ribaltamento: i cittadini dei paesi ricchi occidentali si sono visti dalla parte opposta della barricata. Milioni di persone che hanno sempre goduto del diritto di mobilità, sono invece rimaste immobilizzate a casa.

La circolazione umana è regolata e non ce ne accorgiamo. Per esempio, schiavitù moderna e tratta degli esseri umani sono tra i principali motori delle economie moderne. Altrettanto, le coercizioni sulle migrazioni (che siano attraverso tecniche militari, poliziesche o di tipo burocratico e amministrativo) sono un altro mezzo di controllo della circolazione degli esseri umani.

Ma la pandemia ha messo in luce molto altro. Il virus è entrato nelle società di tutto il globo e ha amplificato tutte le infermità e malattie strutturali; ha amplificato ingiustizia, razzismo e soprattutto, disuguaglianza di classe.

E ci ha mostrato un altro aspetto legato ai meccanismi delle società tecnocratiche capitalistiche: la specie umana viene incarcerata e la terra ci mostra, in quell’attimo, la sua potenziale capacità di guarire, che c’è quella possibilità se solo noi lo scegliessimo.

In un articolo su Progressive International, la scrittrice e attivista Arundhati Roy ci fornisce una prospettiva interessantissima sulla pandemia: «Gli stessi poteri statali che sono stati indifferenti alla sofferenza ora devono affrontare il fatto che la malattia tra i poveri è una vera minaccia per i ricchi. Al momento non esiste alcun firewall. Ma un firewall apparirà presto. Forse sotto forma di un vaccino. I potenti si dirigeranno verso la testa del rubinetto e il vecchio gioco ricomincerà da capo: la sopravvivenza dei più ricchi. Il mondo sta già assistendo a perdite di posti di lavoro su una scala inimmaginabile. Lo scrivo in occasione della Giornata Internazionale del Lavoro, cento trentuno anni dopo il massacro di Haymarket a Chicago e la lotta dei lavoratori per la giornata lavorativa di otto ore. Oggi l’industria indiana sta facendo pressioni sul governo affinché smantelli quel poco che resta dei diritti del lavoro e consenta una giornata lavorativa di dodici ore

La scrittrice PI Council Member ci ricorda ancora quale ottima palestra sia la pandemia per gli stati di potere e quale “dono” per gli stati autoritari. In Bolivia, Filippine, Hong Kong, Turchia, India, Algeria, Israele – solo per citarne alcuni – i governi stanno usando il lockdown contro i loro oppositori. In India, studenti, attivisti, accademici e avvocati che hanno partecipato come portavoce nelle proteste antigovernative sono stati arrestati ai sensi di una legge antiterrorismo. A inizio maggio, il governo turco ha bloccato le forniture d’acqua alle zone curde occupate dal suo esercito, presso una stazione che rifornisce acqua ai campi profughi curdi di Hol, Washokani ed Erisha, nonché al distretto di Til Temir e alla città di Hesekê.

In Algeria, dall’arrivo della pandemia si è registrata una nuova ondata di arresti di militanti, attivisti e giornalisti: giovani youtubers, militanti sulle reti sociali, e del giornalista attivista Khaled Drareni. Se prima erano sotto il mirino persone come Fersaoui o Karim Tabou, ovvero personalità politiche conosciute, nei giorni della pandemia la repressione si estende a chiunque disapprovi sui social, poiché le manifestazioni per strada non sono più avvenute.

Il governo Israeliano, con la scusa delle restrizioni per la pandemia, ha precluso la libertà di movimento dei palestinesi attraverso una complessa combinazione di circa 350 posti di blocco fissi, posti di blocco mobili, strade per soli residenti e vari altri ostacoli fisici.

Ancora in Israele, un decreto militare ha proibito alle banche palestinesi di elaborare i controlli previdenziali che l’Autorità nazionale palestinese distribuiscono alle migliaia di famiglie di prigionieri politici incarcerati nelle carceri israeliane, come anche alle famiglie dei caduti (noti come shahids) morti nella lotta nazionale contro l’occupazione. Ancora, le demolizioni e le minacce di trasferimento forzato di questo mese, in linea con i piani del governo israeliano di annettere unilateralmente gran parte della Cisgiordania, hanno messo a repentaglio la salute e la sicurezza di migliaia di palestinesi. Da quando Israele ha confermato il suo primo caso di Covid-19 il 21 febbraio, le Nazioni Unite hanno riferito che l’Amministrazione civile israeliana (ICA) ha demolito 69 strutture in Cisgiordania, compresa Gerusalemme est. Ciò ha costretto a sfollare 63 persone e ha colpito altre 417. Le strutture comprendevano 28 proprietà residenziali e sette strutture idriche e igieniche. Oltre a queste, sono state demolite anche 28 strutture agricole e di sostentamento ai palestinesi nell’area C.

Di queste, un terzo erano state fornite da stati donatori come aiuto umanitario. Solo qualche giorno fa, la notizia da Tel Aviv di un giovane palestinese ucciso dalla polizia israeliana, di fronte alla madre, dopo che altri giovani erano stati uccisi nei giorni precedenti.

Ancora le parole della scrittrice Arundhati Roy: «Le pandemie non sono nuove. Ma questo è il primo nell’era digitale. Stiamo assistendo alla convergenza di interessi dei dittatori a livello nazionale con i capitalisti di disastri internazionali e i minatori di dati. Qui in India, tutto sta accadendo a grande velocità. Facebook ha stipulato contratti con la più grande rete di telefonia mobile dell’India, Jio, condividendo così i suoi 400 milioni di utenti WhatsApp. Bill Gates profonde lodi al Primo Ministro Modi, senza dubbio sperando di accumulare profitti da qualsiasi protocollo che venga lanciato. Su raccomandazione di Modi, l’App di sorveglianza/salute Arogya Setu è già stata scaricata da oltre 60 milioni di persone. È stato reso obbligatorio per i dipendenti pubblici. È stato, inoltre, reso obbligatorio per i funzionari statali donare un giorno di stipendio al misterioso fondo PM CARES, che non sarà sottoposto a revisione pubblica.»

Ma cosa è accaduto in India dallo scoppio della pandemia? Ce lo racconta la stessa Arundhati Roy in un articolo che ha fatto il giro del mondo: “La pandemia è un portale”. La repressione verso i musulmani: bande armate di vigilantes indù, appoggiate dalla polizia, hanno attaccato i musulmani nei quartieri popolari della Delhi nord-orientale. Case, negozi, moschee e scuole sono state bruciate. Migliaia di persone sono state costrette a trasferirsi nei campi profughi presso i cimiteri locali.

Ma torniamo indietro, all’inizio della pandemia in India. Alla fine, il 19 marzo, il primo ministro indiano si rivolge alla nazione: parla della necessità di un “allontanamento sociale” e di una giornata di “coprifuoco” il 22 marzo. Non fa menzione, però, del fatto che l’India continuava a esportare equipaggiamento protettivo e attrezzatura respiratorie, piuttosto che conservarle per gli operatori sanitari e gli ospedali indiani che di certo ne avrebbero avuto grandissimo bisogno.

Il 24 marzo, alle 20:00, Modi appare di nuovo in TV per annunciare che, da mezzanotte in poi, tutta l’India sarebbe stata chiusa. Nei giorni successivi, molti lavoratori cacciati dai proprietari terrieri, milioni di poveri, gente di tutte le età, giovani, vecchi, bambini, malati, uomini, donne, disabili, senza nessun altro posto dove andare, senza mezzi pubblici disponibili, hanno cominciato una lunga marcia verso i loro villaggi. Alcuni sono morti sulla strada. Pochi giorni dopo, il Primo Ministro, preoccupato che la popolazione in fuga avrebbe diffuso il virus nei villaggi, ordina di chiudere i confini statali. Le persone che camminavano da giorni venivano fermate e costrette a tornare nei campi nelle città da cui erano appena stati costretti a scappare.

A oggi, in India, paese esemplare del decorso della pandemia, le catene di approvvigionamento non vanno avanti, le medicine e le forniture essenziali si stanno esaurendo. I raccolti abbandonati. Nel frattempo, i media principali incorporano alla storia del Covid la campagna anti-musulmana: un’organizzazione chiamata Tablighi Jamaat, che ha tenuto una riunione a Delhi prima che fosse annunciato il blocco, si è rivelata un “super spargitore”. I musulmani avrebbero inventato il virus e lo avrebbero deliberatamente diffuso come una forma di jihad.

Vogliamo e dobbiamo davvero tornare alla normalità? La risposta di Arundhati Roy è brillante e illuminante: «Qualunque cosa sia, il coronavirus ci ha portati in ginocchio e ha fermato il mondo come nient’altro poteva fare. Le nostre menti continuano a correre avanti e indietro, desiderando un ritorno alla “normalità”, cercando di ricucire il nostro futuro sul nostro passato e rifiutando di riconoscere la rottura. Ma la rottura esiste. E nel mezzo di questa terribile disperazione, ci offre la possibilità di ripensare la macchina del giorno del giudizio che abbiamo costruito per noi stessi. Niente potrebbe essere peggio di un ritorno alla normalità. Storicamente, le pandemie hanno costretto gli umani a rompere con il passato e immaginare di nuovo il loro mondo. Questo non è diverso. È un portale, un gateway tra un mondo e l’altro. Possiamo scegliere di attraversarlo, trascinando dietro di noi le carcasse dei nostri pregiudizi e dell’odio, della nostra avarizia, delle nostre banche dati e idee morte, dei nostri fiumi morti e cieli fumosi. Oppure possiamo camminare con leggerezza, con poco bagaglio, pronti a immaginare un altro mondo. E pronti a lottare per questo.»

Un’altra voce ci indica l’importanza di cogliere questa pandemia come una possibilità di cambiamento e svolta. La prima ministra islandese Katrín Jakobsdóttir intervistata da Progressive International dice: «Abbiamo già assistito a vari tentativi di sfruttare la pandemia per indebolire i poteri del parlamento e governare attraverso decreti. Ciò include la presenza in strada di forze di polizia o militari pesantemente armati, minacce di incarcerazione per violazione della legge e poteri esecutivi straordinari. Sono state adottate nuove leggi che limitano le libertà di espressione, con un aumento nell’uso di tecnologie di sorveglianza altamente sofisticate sponsorizzate dallo Stato, strumenti che rappresentano una potenziale minaccia per le libertà civili. Che la pandemia richieda un’azione urgente del governo e la mobilitazione di tutti i settori della società è ovvio. Ma importa come viene fatto, e non è meno importante cosa seguirà da questi interventi. Resta da chiedersi se le misure di emergenza, che sono state adottate da molti governi, saranno rapidamente ripristinate una volta che la crisi si placherà – o se sconvolgeranno permanentemente l’equilibrio tra potere statale e diritti civili, tra i rami esecutivo e legislativo del governo

La prima ministra poi riporta come l’attuale crisi stia alimentando politiche sessiste: per esempio i tentativi di limitare l’accesso agli aborti classificandoli come operazioni non essenziali. Oppure l’impennata della violenza domestica (tantissimi casi in Italia). Ancora, i blocchi alle frontiere e altre misure estreme di reclusione si sono trasformate in una minaccia per tutti i migranti e gruppi etnici in tutto il mondo. «È sempre più importante sostenere le leggi internazionali sui diritti umani – che sono radicate in una serie di principi, inclusa la non discriminazione – come contrappeso alla tentazione nazionalista sempre presente di escludere gli outsider.» (…) «In un momento di emergenza, dobbiamo urgentemente creare solidarietà globali e collaborazione tra forze progressiste oltre ogni confine e contro un diritto autoritario e populista deciso a usare la crisi per far avanzare la sua agenda regressiva. Un’Internazionale progressiva offre la piattaforma per costruire movimenti, creare politiche e scambiare idee sui cambiamenti sociali necessari. Per questo motivo, il movimento islandese di sinistra verde prende parte. Se c’è mai stato un momento per agire – per fare la storia – è ora.»

In questi mesi che verranno a cosa torneremo? «Pre-corona, eravamo come se stessimo camminando nel sonno in uno stato di sorveglianza, ora stiamo correndo in preda al panico tra le braccia di uno stato di super sorveglianza in cui ci viene chiesto di rinunciare a tutto – la nostra privacy e la nostra dignità, la nostra indipendenza – e consentire a noi stessi di essere controllati e sottoposti a una “microgestione”. Anche dopo l’eliminazione dei blocchi, a meno che non ci muoviamo velocemente, saremo incarcerati per sempre


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