Nel “casinò cosmico”: i paradogmi del nuovo populismo sanitario e la tenuta democratica

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Molti degli elementi politologici di questa fase emergenziale possono essere sovrapposti a quella che Carl Schmitt ha identificato come «dittatura commissaria». La leadership è nominata da un potere costituito e viene investita di poteri speciali così da consentirle una sospensione della normativa ordinaria o costituzionale vigente, ma non abrogarla. La democrazia, così come Domenico Fisichella riporta, «può tendere a mutuare elementi della dittatura commissaria». Secondo l’autore la «democrazia è tanto in grado di resistere e affrontare al meglio le emergenze quanto più il grado della sua legittimità politica è forte». Allora, la domanda che dovremmo farci, al netto di polarismi isterici, è la seguente: quanto è forte la legittimità politica della nostra democrazia?

Si noti come politica e media agiscono in nome e per mezzo di “paradogmi”.

Se un paradigma è un complesso sistema di teorie, leggi e relazioni tra di esse in un determinato contesto, il paradogma potrebbe essere definito come un sistema di potere etico-politico fondato su un insieme di regole (in larga parte assiomatiche) di breve durata, rimodulabili all’infinito; il paradogma ha la capacità di stimolare una risposta emotiva tanto rapida quanto efficace. La locuzione para tende a stabilire però una certa dimensione di finitezza in quanto con un dogma sempre fresco, il dogma precedente risulta falsificato.

Prendiamo il paradogma della sicurezza in stile populista di destra: «Meno partenze, meno morti.» Ovviamente non c’è nulla che provi la diminuzione di morti, specie se si ostacolano o impediscono i soccorsi in mare, per non parlare della presenza di rotte via terra. Ma questo non ha importanza. L’importante è la “soluzione temporanea” (nel senso che non risolve l’emergenza – e come potrebbe? –, ma la ripropone all’infinito) che il paradogma ha già esplicitato con il suo stesso porsi: lockdown dei porti. L’emergenza e la soluzione coincidono, poiché nel paradogma – che è a tutti gli effetti uno slogan e basta –, gli atti verbali sono più rilevanti della loro capacità di incidere sul reale e risolvere il problema. Il campo da gioco di un paradogma è di natura esclusivamente simbolica e infatti il suo compito non è risolvere il problema, ma istituire un dogma semantico capace di occultarlo nel momento stesso in cui lo alimenta.

Cambia il governo, non cambia il premier, e subito un nuovo paradogma assorbe e sublima il precedente: «Meno movimenti, meno morti.» Qualcuno ha le prove scientifiche di questo paradogma? No. Infatti non è un paradigma scientifico, la scienza epidemiologica contemporanea ha fin qui sempre lavorato sull’idea di «epicentro» e quindi su un contenimento settoriale (per questo la falsa soluzione del lockdown totale non è mai stata fatta propria dal CTS). La curva epidemica si sviluppa in tutti i Paesi in modo sovrapponibile – a parte (forse) la Cina, dittatura da cui nasce il paradogma –, a prescindere dalle diverse forme di contenimento adottate, fa il suo picco e la sua strage negli ospedali, in famiglia e nelle Rsa, quindi passa (per poi, ovviamente, tornare secondo quello che sembrerebbe il tipico movimento dell’influenza di stagione). I politici lo sanno e per non disturbare il paradogma, durante la seconda ondata, applicano il lockdown soft quando la curva mostra i primi segnali di discesa, in modo da intestare il risultato al paradogma stesso, anche se questo paradogma è già cambiato col mutare del sentimento dell’opinione pubblica e con gli effetti devastanti del paradogma precedente.

Si parla di regole assiomatiche alludendo a una doppia valenza: nel primo caso siamo di fronte a istanze che la maggioranza dell’opinione pubblica assume per vere, in maniera del tutto acritica; nell’altro caso i postulati del potere vengono distesi sopra uno sfondo di valori dalla bontà universalistica rendendoli di fatto difficili da criticare. Ma c’è di peggio. Anche la critica al paradogma finisce in buona dose a servizio del pensiero maggioritario: viene di fatto resa funzionale al paradogma stesso. In questo senso, con le dovute differenze, sono d’aiuto le parole di Ernst Jünger sull’elemento minoritario di una dittatura:

“La propaganda ha bisogno di una situazione nella quale il nemico dello Stato, il nemico di classe, il nemico del popolo sia già stato messo fuori combattimento e quasi ridicolizzato, e però non sia ancora scomparso del tutto. Il semplice consenso non basta alle dittature: per vivere esse hanno bisogno altresì di incutere odio e, per conseguenza, di seminare il terrore.”

tratto da “Trattato del ribelle” di Ernst Jünger

Non solo. I media hanno acquisito “l’abitudine disorientante di apparire dal nulla e di svanire nel nulla”, con un ulteriore inganno: l’impossibilità di contrastare e contestare quanto accade poiché le regole cambiano e continuano a cambiare prima che il gioco finisca. George Steiner definisce questo aspetto particolare della nostra società postmoderna «casinò cosmico». All’interno del casinò si innestano i mezzi di comunicazione con lo scopo di operare «per il massimo impatto e l’istantanea obsolescenza». Nel mondo ormai saturo d’informazione l’attenzione si rivolge alle risorse più brevi e solo un messaggio scioccante, e più scioccante degli altri, può avere la possibilità di trattenerla (fino al prossimo shock). Per farne cosa? Per vendere la nostra attenzione al miglior offerente (inserzionista, attore politico) come abbiamo spiegato in questo pezzo sul giornalismo ai tempi del SEO (ottimizzazione per motori di ricerca).

Si è detto che a fare da fondamenta a un paradogma troviamo quell’insieme di approvvigionamenti etici che presi a sé significano poco: “Vogliamo bene ai nonni?” “Teniamo alla salute dell’altro?” “Vogliamo un mondo sostenibile?”

Ma la somma degli individui, come direbbe Durkheim, è qualcosa di più dell’insieme dei singoli individui.

Per raggiungere livelli più elevati di crescita si è fatto ricorso, sin dall’epoca post-industriale, al concetto di “obsolescenza dinamica”: instillare nella mente del consumatore un grado crescente e periodico di insoddisfazione così da indurlo ad abbandonare un determinato prodotto in favore di una sua evoluzione o sostituto. L’obsolescenza dinamica comprime il ciclo produttivo con lo scopo di favorire un consumo sempre più frenetico, ancorché sempre più frustrante.

Abbiamo sperimentato sulla nostra pelle che in una pandemia esiste un altro tipo di consumo: quello delle parole. La comunicazione politica già impiega le parole come merce poiché il messaggio è il principale oggetto del suo studio. Ma la novità è che se la politica è interessante solo per una parte dell’opinione pubblica, allargata dai social, la salute – che assorbe e sublima in sé il concetto di sicurezza –, interessa tutti.

I mezzi di comunicazione, rinvigoriti da un nuovo florido mercato, sembrano procedere confezionando parole e neologismi sempre diversi. Un breve elenco: paziente zero, pandemia, panzoozia, negazionista (il vecchio “untore”), salto di specie, malato asintomatico, vaccino – inutile dirlo – “a Rna messaggero”. I media, infatti, consapevoli che ogni messaggio nuovo possiede un potenziale mesmerico, un plusvalore simbolico, procedono a onde di rimbalzo in risposta alle onde paradogmatiche del potere politico. E viceversa.

Risultato: la legittimità politica della democrazia, che è un tutt’uno con la credibilità delle sue istituzioni, in questo «casinò cosmico» appare sempre meno salda.

BIBLIOGRAFIA
“Trattato del ribelle”, Ernst Jünger
“La società dell’incertezza”, Zygmunt Bauman.“Lineamenti di Scienza politica: concetti, problemi, teorie”, Domenico Fisichella
“Brand new world. Il consumo delle marche come forma di rappresentazione del mondo”, Nello Barile
“L’uomo artigiano”, Richard Sennet
“Le regole del metodo sociologico. Sociologia e filosofia”, Émile Durkheim
“La dittatura”, Carl Schmitt



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