Se la plutocrazia si allea con gli ultimi e la sinistra si è trasformata nel partito degli istruiti benestanti, chi paga la crisi di sistema?

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Qualcosa si muove. Capitale e ideologia (2020, La nave di Teseo) di Thomas Piketty è una monumentale storia totale del patrimonio che fa seguito al Capitale del XXI secolo (Bompiani, 2014).

La tesi di fondo dell’economista francese è arcinota: esiste un bug nel capitalismo che se ne frega dell’ottimo paretiano e della mano invisibile di Adam Smith. Il patrimonio crea ricchezza in modo non proporzionale all’aumento del reddito. Cioè chi detiene un patrimonio (mettiamo oltre i cinque milioni di euro tra finanziario e immobiliare) è destinato ad aumentare sempre di più la forbice rispetto a chi non ha rendite ma solo reddito da lavoro. Metodologia e uso dei dati da parte di Piketty sono stati aspramente criticati, ad esempio qui. Eppure anche lui bersagliato dai think tank di destra riesce a notare una distonia valoriale negli schieramenti politici. “I partiti e i movimenti politici della sinistra” scrive “sono diventati quelli maggiormente votati dagli elettori più istruiti e – in alcuni contesti – stanno per diventare i partiti con gli elettori più ricchi in termini di reddito e di patrimonio”.

Chiederei cosa ne pensa a Christian Raimo. Recentemente, Marco D’Eramo, con il suo documentatissimo e brillante Dominio (2020, Feltrinelli) racconta la strategia vincente di poche famiglie ricchissime americane per imporre l’ideologia neoliberista di Stato minimo e tagli delle tasse (per i più ricchi ovviamente). D’Eramo si schiera decisamente dalla parte dei sudditi, per lui tutti i lavoratori salariati, d’intelletto o di fatica, creativi e routinari. Eppure trapela una certa nostalgia per le lotte operaie e in certi passi della sua possente oratoria si intuisce una presa di posizione encomiabile per gli ultimi.

Gli ultimissimi della terra sono anche il focus dell’attenzione di quella corrente di pensiero che da Amartya Sen arriva alla Nussbaum, per una economia politica della capacitazione. Nei paesi extra europei questa preoccupazione è più che legittima, per una polarizzazione della ricchezza intollerabile dovuta alla scomparsa o alla mancata crescita della classe media. Che non sia questo il destino di tutti i paesi della Terra? Ecco, non vorrei mai trovarmi ad assistere alla saldatura degli interessi dei due poli sociali. I plutocrati e i “poveri”. Sia detto per inciso, la categoria di “poveri” è tornata d’attualità proprio con Milton Friedman (nome che per la sinistra è una parolaccia) e l’affermazione del neoliberismo. D’Eramo fa notare come l’idea di negative tax nasca proprio dall’opera del discusso economista americano (leggi: reddito d’inclusione o reddito di cittadinanza): il sostegno al reddito affronta il sintomo ma non la causa e rischia di distrarre risorse dai servizi come sanità, istruzione, formazione, servizi per il lavoro, per garantire una sussistenza minima, senza davvero operare per la soluzione del problema. Ma se la plutocrazia (che gode del bug del capitalismo: vede la propria ricchezza crescere in modo non proporzionale al PIL delle nazioni e ottiene incredibili vantaggi fiscali per i privilegi leciti e per i sotterfugi illeciti) si allea con gli ultimi, chi paga? Già nel 2019 OCSE evidenziava che la progressività della tassazione colpiva in modo significativamente maggiore la classe media: le fasce a più basso reddito sono esenti (quando non beneficiarie di sostegni al reddito monetari come il RdC), le fasce più ricche godono di rendite (tassate radicalmente meno del lavoro) e sono in grado di inventarsi ‘scappatoie’ (ad esempio patrimoni nei paradisi fiscali). Ricordo che solo il 9% degli italiani (redditi sopra i 35.000) è contributore netto (rispetto ai servizi che riceve) e paga il 58% di IRPEF (elaborazione Itinerari Previdenziali, 2019). Adesso alla fine del ragionamento torno al Piketty, che riconosce un mutamento di pelle: “La sinistra, che era il ‘partito dei lavoratori’, si è trasformata nel ‘partito dei laureati’ (che propongo di chiamare la ‘sinistra intellettuale benestante’)”. Il partito dei laureati si esprime con una avvincente retorica filo pauperista, encomiabile sia chiaro. Finisco con il pensare che il conflitto tra classe media (populista, egoista, razzista, intollerante, ma anche tartassata e senza potere reale) e ultimi del paese (che scatenano profonda empatia: riders, sfruttati dai caporali, senzatetto, poor workers, e anche loro senza potere reale) sia un conflitto promosso e deciso da chi il potere, invece, ce l’ha.


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