Falsificare il Global Warming antropico?

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Sono stato in piazza coi ragazzi. Ho accompagnato mia figlia Matilde. O meglio: l’ho accompagnata, ma subito me ne sono andato perché non volevo che i suoi amici mi vedessero. Poi sono rimasto tra gli adolescenti, a respirare quell’aria e a farmi coinvolgere dall’obiettivo più naturale che esista: cambiare il mondo.
Il primo Friday for Future a Milano, per combattere il riscaldamento globale, è stato un modo per rituffarsi nella banalità del grandioso: che ci vuole, in fondo, per dare una svolta al pianeta?
Io, per quanto mi riguarda, sto studiando da tempo la questione per costruirmi una solida base argomentativa nelle discussioni coi negazionisti, se mai ne affronterò uno.

Conservo numerose note, cui affido i miei affaticati tentativi di chiarirmi le idee sul tema del Global Warming. È noto un video di Carlo Rubbia, che parzialmente nega la certezza della responsabilità umana, ma girano anche le immagini dello scioglimento dei ghiacci del Monte Bianco. Il tutto condito, come sempre, da logiche di tifo e schieramento.
Invece non riesco a scovare l’articolo di K. Hasselmann “Meteorology over the Tropical Oceans”. Mi sono convinto che lì si nasconda qualcosa di importante.
Dai miei appunti: «La quasi totalità degli articoli che sostiene di aver trovato il cosiddetto fingerprint della responsabilità umana, basa la propria argomentazione sul fatto che un modello previsionale sia stato rispettato. Ciò che però non trovo mai a corredo è una spiegazione che vada al di là della semplice correlazione. Voglio dire: si osserva, da una parte, l’aumento della produzione di CO2 da parte dell’Uomo e dall’altra l’aumento della temperatura. Si mettono in correlazione i due fatti e si propone un modello previsionale matematico. Se viene rispettato nel corso degli anni, allora vuol dire che la correlazione è dimostrata. Potrei fare la stessa cosa mettendo in relazione il consumo di mozzarella e l’aumento delle lauree in discipline economiche nel Kazakistan

Il fatto è che, ora che la rivoluzione verde sembra possibile, io temo che stiamo perdendo un’occasione. Mia figlia scende in piazza coi coetanei, chiede scelte più rispettose dell’ambiente. Ma a chi?
«Ai governi.»
Il copione è sempre lo stesso, quando iniziamo la discussione. Io la spingo a partecipare, condivido il suo entusiasmo e  andiamo avanti per molto tempo, come mercoledì scorso, sul fatto che queste manifestazioni devono innescare un nuovo modo di vivere il mondo, da parte di tutti, soprattutto da parte della loro generazione: possono guidare la rivolta contro il superfluo, contro la produzione esasperata di beni inutili a basso costo, che si portano in dote lo sfruttamento di risorse e persone.
«Dici così perché vuoi smontare il nostro entusiasmo.»
«Ma che c’entra? Ma stai ascoltando quello che ti dico?»
«Io sì! Io…» E se ne va sbuffando.

Parliamoci chiaro: se dovessi scommettere, punterei sul fatto che la responsabilità del Global Warming sia nostra, dell’essere umano, intendo. Ma io punto alla certezza scientifica, che non sarà la Verità, ma perlomeno risponde a un metodo.
Durante il mio dottorato di ricerca in Filosofia della scienza ho imparato ad amare tutto il dibattito «post-falsificazionista», tramite lo studio dei testi di Popper, Lakatos, Feyerabend, Kuhn, Watkins, Agassi
Per questo la domanda che mi perseguita, a proposito della responsabilità umana sul Global Warming è: «Questo asserto è falsificabile?»
L’oroscopo, per esempio, non è falsificabile. Ogni previsione non è mai precisa e dettagliata. Non troverò mai una cosa come «Ariete: domani alle 18.52 vi chiamerà vostra madre.» L’oroscopo propone sempre previsioni vaghe che possono essere voltate in positivo e quindi verificate. Se mi dice: «Oggi soddisfazioni sul lavoro,» e poi vengo licenziato, posso sempre pensare che l’aver mandato a quel paese l’AD durante la discussione finale è stata, in effetti, una grande soddisfazione. È sempre verificabile, l’oroscopo. 
Più difficile è falsificare, perché non bastano migliaia di verifiche per dire che una teoria è universalmente vera – non bastano mille cigni bianchi: chi ci garantisce che il prossimo non sia nero? –, mentre basta una falsificazione per dire che è falsa (se trovo anche solo un cigno nero, l’asserto «tutti i cigni sono bianchi» diventa definitivamente falso).
La scienza è falsificabile, perché ogni teoria scientifica è in grado di preparare un esperimento che ci costringerebbe, qualora desse esito negativo, ad abbandonare la teoria stessa. E visto che si è davvero in grado di predisporre questo esperimento, si dice che la teoria scientifica ha una «base empirica». È un concetto meraviglioso, è Galileo all’ennesima potenza. Di più, è il trionfo del metodo scientifico sperimentale.
Ora: qual è l’esperimento potenzialmente falsificante per la teoria secondo la quale la responsabilità del Global Warming è da attribuire all’Uomo?

Ritorno a estrapolare dai miei appunti: «Ho posto la domanda sulla falsificabilità su tre gruppi di Facebook: Italia Unita per la Scienza, Filosofia della Scienza e Climate Change Science and Environment News. Nella migliore delle ipotesi mi hanno detto che nemmeno le teorie contrarie sono falsificabili. In altri casi mi hanno trattato come un eretico. Nei casi peggiori mi hanno risposto (più volte!) con la frase: “È l’unica teoria che lo spiega.” Quando Isaac Newton si trovò a dover giustificare l’azione a distanza nell’ambito della teoria della gravitazione universale, parlò di azione della forza di gravità attraverso un mezzo che ne permettesse la trasmissione: l’etere. Alla richiesta di spiegare che cosa fosse l’etere, Newton rispose: “È il sensorio di Dio.” Era l’unica spiegazione disponibile. Ma non falsificabile. È questo che stiamo cercando?»
La mia amica Arianna, scienziata, mi bacchetta: «Ho visto il tuo nuovo post su Facebook. Rimango dell’idea che stai proponendo una discussione basata su domande mal poste. Non esiste un singolo esperimento per confutare una teoria globale come il cambiamento climatico. Ci sono tanti esperimenti possibili (e in corso) per verificare che certi aspetti salienti siano interpretati correttamente. Chiedere se esiste un singolo esperimento che fa crollare tutto è non solo mal posto, ma anche evidenza di un bias interno contro il metodo scientifico, che tipicamente procede passo passo e propone teorie dopo investigazioni di anni.»

La polarizzazione dell’informazione e della polemica è all’apice. Lo scenario politico soffre di continue contrapposizioni fittizie costruite sapientemente per autoalimentare gli opposti. Avete presente Salvini al governo nei mesi scorsi? L’emergenza migranti da una parte e l’emergenza fascismo dall’altra?
Non solo la politica, però. Ogni singolo evento di cronaca viene vissuto, per induzione, come la prova di una teoria generale, ma soprattutto un impulso necessario allo schieramento, alla contrapposizione, allo slogan.
Con Greta Thunberg è lo stesso: una reincarnazione di Giovanna d’Arco per gli uni, una ciarlatana con certificati disturbi mentali per gli altri. E io, con pochi perplessi, in mezzo.

Matilde, ancora ieri: «Perché dici che non è certo che sia colpa dell’uomo?»
«Perché è così. E non lo dico io, lo dicono degli scienziati. La Società Italiana di Fisica, nel 2015, si tirò fuori dal documento condiviso della Conferenza mondiale sul clima COP21.»
«Ma la grande maggioranza degli scienziati sostiene che sia vero!»
«Lasciami parlare!»
«Lasciami parlare tu!»
Come spiegarle che io amo vedere quei ragazzi in piazza? Guidati dagli slogan, certamente, ma gli slogan servono proprio a incanalare il movimento, a facilitarlo. Ed è anche logico che il tema dell’emergenza, questa volta, sia centrale e non fittizio. Ma santiddio – se ci penso ne vado matto –, per quale ragione nessun articolo divulgativo cerca di spiegare ai profani come me la radice del problema? Indizi, correlazioni, modelli previsionali verificabili. 
Be’, non è sufficiente il già disponibile? No, non lo è. La dimostrazione scientifica è una cosa diversa: mette in correlazione causa ed effetto, ne dimostra il legame, lo confronta con l’esperimento e si rende falsificabile. Nei pezzi sensazionalistici, nei post umorali, manca tutto questo. Perfino a ogni articolo di fisica relativistica viene riservato uno sforzo divulgativo vagamente degno di questo nome. Sul clima, no.

«Cara Arianna, ho letto gli articoli che mi hai passato. Ringrazia i tuoi colleghi climatologi per il tempo che hanno dedicato a questo rompiballe italiano. Ho ovviamente fatto una gran fatica a comprendere i testi. Mi manca la preparazione necessaria, ma credo comunque di essere riuscito a farmi un’idea. Il primo saggio, “Modeled Arctic sea ice evolution through 2300 in CMIP5 extended RCPs” mostra come i ghiacci artici perenni stiano progressivamente scomparendo. E dimostra che la tendenza potrebbe essere invertita grazie alla drastica diminuzione dei gas serra. Il secondo saggio, “Critical insolation–CO2 relation for diagnosing past and future glacial inception” è un modello previsionale sull’allontanamento della prossima era glaciale. Il terzo e il quarto (“Climate damages and adaptation potential across diverse sectors of the United States” e “Climate Change, Human Impacts, and the Resilience of Coral Reefs”) si concentrano sugli effetti economici del Global Warming nel territorio degli Stati Uniti e sul resto del mondo. Il quinto, “Model-based assessments for long-term climate strategies”, un insieme di strategie politiche possibili. Poi c’è “Contributions of GRACE to understanding climate change”, che mette in relazione le anomalie gravitazionali del campo terrestre con i movimenti delle masse climatiche e “Consequences of twenty-first-century policy for multi-millennial climate and sea-level change”, che invece propone un modello previsionale a medio-lungo termine.»

Non sto subendo il fascino delle posizioni «negazioniste», no davvero. Alcune argomentazioni sono stimolanti, lo riconosco («L’aumento di CO2 potrebbe essere un effetto, non la causa, dell’innalzamento della temperatura»; «L’entità dell’irradiazione dei gas serra non è ancora confermata»), ma per indole non devo necessariamente andare contro corrente per sentirmi libero. Quando però mi viene risposto che farei bene ad accettare acriticamente la concordanza del 97% degli scienziati sulla responsabilità dell’Uomo nel Global Warming, be’, ecco, non posso fare a meno di pensare che tutto questo movimento, tutto questo allarme, tutta questa contrapposizione tifoide sia solo una «tradizione di soluzione di rompicapo», un «paradigma di comportamento e risposta», come ci insegnava Kuhn nel suo La struttura delle rivoluzioni scientifiche. Cosa c’è di male? Nulla: basta esserne consapevoli. È sufficiente divulgare nel modo corretto per evitare un altro rischio.

Forse è già successo l’evento climatico, il dibattito scientifico, la mobilitazione di massa che chiarirà definitivamente la questione, forse capiterà nei prossimi mesi. O forse aveva ragione il mio ex collega di dottorato, [omissis]: «A me l’idea di distribuire patenti di scientificità sulla base di situazioni di principio sembra, quando va bene, una lisciata di pelo agli scienziati, quando va male un Aventino.»
In ogni caso, basare la necessità dell’intervento sulla percezione dell’emergenza e sull’emotività ha creato un pericoloso singe-point-of-failure (come si dice in ambito informatico) per tutto il movimento ecologista. 
E ora? Guardateci: forse basteranno un po’ di mesi di diminuzione delle temperature per distruggere anni di lavoro, usando argomentazioni idiote tipo quelle di Feltri. Ragionare su fondamenta più solide e meno emotive, estendere l’ambito di protesta anche al versante sociale («l’ambientalismo, senza lotta di classe, è giardinaggio» diceva Chico Mendes) differenzierebbe gli argomenti. Invece, morta la percezione dell’emergenza – poniamo con un’inversione di rotta delle temperature –, morirebbe anche la rivoluzione. 
Magari nei prossimi mesi riuscirò a trovare il famoso articolo di Hasselmann. Probabilmente ci capirò poco, quasi nulla, ma sono sicuro delle implicazioni. Lo sto cercando perché ho finalmente tratto, da una notizia del 2013 molto diffusa in rete, le fonti corrette. La sostanza della notizia era: «Uno studio di Benjamin Santer, ricercatore presso il Lawrence Livermore National Laboratory, prova che il Global Warming è colpa dell’Uomo al 99,9999%.» Ovviamente nessun articolo si assicura di spiegarne il perché. 

Ho trovato lo studio di Santer e ho letto che la percentuale è riferita al fatto che sono state confermate, con quel grado di certezza, le previsioni di due articoli degli anni Settanta, capofila della ricerca sul Global Warming: Charney, J. G. et al., Carbon Dioxide and Climate: A Scientific Assessment (Climate Research Board, National Research Council, 1979) e Hasselmann, K., Meteorology over the Tropical Oceans, pp. 251–259 (Royal Meteorological Society, London, 1979).
Il primo, sostanzialmente, descrive un modello matematico che non presenta una chiara correlazione causa effetto, ma solo l’usuale parallelismo tra l’innalzamento di CO2 e di temperatura.
Il secondo, l’articolo di Hasselmann, be’, magari lo conoscerete tutti, prima o poi.

*** *** ***

Fotografia a corredo di Michela Bin, per gentile concessione dell’autrice. Nata a Trieste nel 1972, Michela Bin è laureata in archeologia medievale presso l’Università di Trieste; appassionata di fotografia da sempre, ha approfondito le sue conoscenze, tra gli altri, con Graziano Perotti.


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