Decimo manifesto degli imperdonabili. Perché gli stronzi del piano B hanno lo sguardo nuovo

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Anni fa un incauto conversatore mi domandò: «E nel tempo libero cosa ti piace fare?» «Scrivere!» risposi fiera. «Beh, non c’è mica niente di male!» Non mi riteneva imperdonabile, quindi. Innocua piuttosto, inoffensiva. Sempre meglio che drogarsi o bruciare i cassonetti, avrei voluto rispondergli, ma mi mancò la prontezza. Ero più giovane e molto più educata.

Il fatto è che a volte, noi scrittori del tempo libero, imperdonabili ci sentiamo davvero. Ma non per il fatto di scrivere, o di desiderare farlo, anzi. Ci sentiamo imperdonabili perché lo sappiamo bene, che noi siamo quelli là, i più bastardi, i più vigliacchi. Quelli con il culo al caldo e i piedi in due scarpe. Gli stronzi del piano B

I codardi con il posto fisso – o quasi, che proprio fisso ormai non esiste più – che il rischio di vivere e morire in povertà come Edgar Allan Poe e Valentino Zeichen non hanno voluto correrlo. Quelli che alla letteratura non si sono immolati, che con l’inchiostro non si sono sporcati abbastanza il cuore, e quindi di non diventare mai veri scrittori tutto sommato se lo meritano. Imperdonabili senza nemmeno la soddisfazione dell’eroismo e del martirio. 

Altre volte invece no, sentiamo di aver preso la decisione giusta, quel giorno in cui ci siamo detti: nella vita ci vuole un piano B. E siamo diventati ingegneri, informatici, medici, impiegati, insegnanti. Sempre con il pensiero: poi scriveremo. Non per soldi, con il nostro lavoro abbiamo già di che vivere dignitosamente. Scriveremo per vera passione.

Solo che quando poi arriva il momento di scrivere davvero, ti rendi conto che nel frattempo  il piano B è diventato piano A. Perché il piano B è insidioso, ha in sé il germe della rinuncia. É un paracadute che rallenta la caduta, ma al tempo stesso inibisce il volo. E il piano B, più che un attico, si rivela un sottoscala. Perché ti rendi conto che sei fuori dall’ambiente. E questo è imperdonabile

A un certo punto capisci che le buste piego di libro amorevolmente confezionate e l’elenco di indirizzi di grandi case editrici che hai meticolosamente redatto non ti serviranno a nulla, perché nessuno di loro ti leggerà. Sei fuori dall’ambiente, quindi non sai chi mettere all’attenzione, chi cercare, chi blandire. Non conosci le leggi non scritte, i linguaggi, i codici, tutto il non detto. Non hai nulla da scambiare.

Alla fine, se sei bravo e se insisti, con un po’ di fortuna trovi una piccola casa editrice imperdonabile e poi aderisci al manifesto di Tomassini, Milani e Brullo. Più spesso, finisce che oltre che imperdonabile, diventi spennabile. Il perfetto candidato allo spiumaggio editoriale.

Se non è pubblicazione a pagamento, è acquisto di copie. O altre forme più o meno mascherate. Poi c’è l’editing, perché non sei un professionista. Naturalmente è a pagamento, e per carità, è giusto che lo sia. È lavoro, e va pagato, esattamente come il tuo in ufficio o a scuola o in ospedale. Inizi ad organizzare presentazioni, a tue spese, pure alla sagra del pesce azzurro. Ma non basta. Finché qualcuno – che sia maledetto! – ti dice che per vendere bisogna far credere di vendere. E allora inizi a comprarti le copie, per scalare le classifiche. Ma anche questo non basta, perché le classifiche sono come l’Everest, e per uno che arriva in cima tanti ci lasciano la vita. Poi arriva qualcun altro – lo divorino le fiamme dell’inferno! – e ti dice che dovresti usare di più i social. I social sono democratici. Chiunque può avere successo grazie ai social. Ma non basta qualche post, devi creare una pagina e promuoverla. Allora lo fai. Ma la pagina non ha abbastanza successo, quindi, ormai in preda a un furore inestinguibile, inizi a comprare i like. Non tutti lo sanno, ma si può fare anche questo. 

Comprarsi i like è l’ultimo stadio della degenerazione dello scrittore del tempo libero. Non tornerai quello che eri prima, mai più. In quel momento capisci che nel suicidio di Guido Morselli, solo, povero e mai pubblicato, c’è molta più dignità e libertà che nel fango in cui ti stai rotolando. E decidi che basta. Se vuoi salvarti dall’abisso, non puoi che tornare al piano B.

Nella maggior parte dei casi, sei stato un coglione e te lo meriti. Però a volte è un peccato, perché negli scrittori del tempo libero qualcosa di buono c’è. Perché negli uffici, nelle scuole, negli ospedali, hanno visto molto dell’animo umano e della vita vera, che non è nei salotti intellettuali, ma nemmeno necessariamente nei bordelli thailandesi o nei peggiori bar di Caracas. A volte sta proprio lì, in mezzo. A metà strada. Nei piani B. E se lo scrittore del tempo libero l’ha saputa guardare davvero con occhi da narratore, la saprà raccontare. Per questo lo scrittore del tempo libero, quello che sta fuori dall’ambiente, ha bisogno più che mai di un mondo editoriale pulito e meritocratico. Perché allora può succedere il miracolo, che tutto si ribalti di nuovo, che il piano B torni a essere al servizio del piano A. Ma sognare così forte è da imperdonabili.

*** *** ***

Fotografia di Adriano Padua tratta dalla serie “Il quarto stato”, per gentile concessione dell’autore. Adriano Padua è nato a Ragusa nel 1978. Ha pubblicato le seguenti opere: Le Parole Cadute (d’if, 2009), Alfabeto provvisorio delle cose (Arcipelago, 2010), La presenza del vedere (Polimata, 2010), Schema (d’if, 2012), Still Life (Miraggi, 2017). Come performer ha partecipato ai maggiori festival e appuntamenti nazionali di poesia (Romapoesia, Parmapoesia, Absolute Poetry di Monfalcone, Festival della poesia civile di Vercelli, Poesia Presente di Milano, Notte Bianca di Roma, RicercaBo di Bologna). Laureato in sociologia della letteratura, ex giornalista, lavora nel campo della comunicazione e degli eventi culturali. Esegue i suoi testi con la collaborazione di dj e musicisti. Si diletta di fotografia.


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