«Genna non fu il mio pigmalione»: la replica di Babsi Jones in esclusiva per Wildworld

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Ho conosciuto Babsi Jones. Ci siamo scritte, parlate al telefono. Conosco il suo vero nome, anche se non lo rivelerò.

Dopo aver letto il mio pezzo era intenzionata a concedermi un’intervista sulla sua vicenda umana e letteraria. In seguito, a causa dell’intervento di terze persone (lei non frequenta i social) ha appreso alcuni passaggi spiacevoli della discussione nata su Facebook intorno all’articolo e ha deciso di negare l’intervista, sostituendola con una dichiarazione unilaterale. Questi sono dettagli che posso rivelare, poiché li conferma lei stessa nello scritto che seguirà questa mia introduzione.

Naturalmente me ne dispiaccio, anche se la comprendo: sono state fatte affermazioni sgradevoli e di questo mi sono scusata, pur non essendo mie e pur nella consapevolezza che l’autore di un brano non è responsabile di ogni commento, condivisione, dibattito che ne consegue. Ma soprattutto me ne dispiaccio perché dai pochi scambi avuti con lei ho compreso che Babsi è una persona intensa, ferita, vera nel senso più profondo e con molto da raccontare.

Sarei stata orgogliosa di approfondire la genesi del suo esordio e i motivi del suo ritiro dal mondo letterario. Avrei voluto spiegarle come vedo i social, che lei rifugge e che io invece reputo il più grande spazio attuale di libertà, pur con tutte le degenerazioni caotiche che questo comporta. Perché è vero che qui chiunque può parlare, anche a sproposito, ma è altrettanto garantita la replica. Altrove, non è così.

Avrei voluto parlarle degli “Imperdonabili”, questo movimento letterario che apre strade e scava solchi e a volte vola e a volte inciampa, ma ama la scrittura e la vuole nuova, pulita, forse esattamente come la voleva lei.

Avrei anche voluto raccontarle perché, nell’articolo, ho usato quel termine che non le è piaciuto: “pigmalione” non ha per me connotazione negativa. Anzi, avrei voluto trovarlo io, un pigmalione, e non per forza di sesso maschile, naturalmente. Non è accaduto, forse non ho saputo riconoscerlo, e ormai credo non accadrà più. Ma sono convinta che andrebbe inserito nel contratto dell’esistenza, il diritto a incontrare qualcuno che dia forma al nostro talento. A volte penso che stia proprio lì, in un incontro, tutta la differenza.

Non escludo comunque che questa sua invettiva, questa porta sbattuta, risulti ancor più brillante e memorabile di quell’intervista che non si farà. Babsi Jones ci chiede di non cercarla più e così faremo. Ci lascia con l’augurio di “redimerci”, di scrivere qualcosa che dia un apporto innovativo alla scrittura. Vorrei dirle che ci stiamo organizzando, che è proprio questo il nostro scopo, ed era scopo anche del mio articolo: suscitare un dibattito sul rapporto tra testo e contesto, sulle suggestioni create intorno all’autore più che alla sua scrittura. Le meccaniche del social hanno portato un’eccessiva personalizzazione del suo caso, che era nell’articolo citato come uno tra i tanti, e la sua rabbia è comprensibile.

Mi permetto però di assolvere non le illazioni spiacevoli, nate in passato e riportate oggi a galla, ben al di là delle mie intenzioni, bensì la curiosità. Chi decide di scrivere si dona in qualche modo al pubblico, gli si mostra nudo. Se lascia un segno – o persino un mistero – dietro sé, continuerà a stuzzicare l’immaginazione altrui per un tempo indefinito, a volte infinito. In questo senso forse la scrittura, più che essere imperdonabile, non perdona.

Riporto il suo scritto – a mio parere bello nella sua durezza, che fa rimpiangere la sua penna –, integralmente e senza modifiche, compresa la parolaccia in croato, che non traduco: a voi Google. Ci augura, con sarcasmo, quindici anni di gloria. Io spero abbia ragione, e che magari torni a scrivere, anche se non vuole, e con qualsiasi nome. E ora risuoni sopra i tetti del mondo il barbarico vaffanculo di Babsi Jones.

Addio, e – in qualche modo – grazie

Viviana,
questo è il testo che ti chiedo di pubblicare, e cercherò di essere breve; è una mia dichiarazione, la prima in 11 anni, e non la possibile intervista che avevamo ipotizzato via email prima che io leggessi un certo post su Facebook; la notte porta consiglio, e alcuni amici fidati aiutano con suggerimenti saggi. Per cominciare, e desidero che sia chiaro, questa mia “lettera” aperta non ha nessun secondo fine. Ho scelto di abbandonare per sempre “la scena letteraria” nel 2008, l’ho fatto per ragioni strettamente personali, e non ho ripensamenti. Non cambierei idea per nessuna ragione. Babsi Jones è morta. Farsene una ragione e smettere di istituire “gruppi di ricerca” in stile “Chi l’ha visto?” è consigliabile: è un’attività risibile. Babsi Jones non era, non è né mai sarà J.D. Salinger. Piantatela di giocare a fare gli scimmiotti televisivi.
Babsi Jones era il mio nome d’arte. Con quel nome d’arte (è così insolito avere un nome d’arte? Deve necessariamente suscitare sospetti? Deve scatenare teorie complottiste?) ho scritto per anni (2002/2007) un blog che ho poi cancellato, e — dal 2005 — ho iniziato a ricevere offerte editoriali come alcuni altri blogger: così venivamo chiamati all’epoca. Ho pubblicato racconti, una pièce teatrale e un breve saggio [antologia “Voi siete qui” per Minimum Fax; antologia “Tu sei lei”, sempre per Minimum Fax; “Nuovi Argomenti”, numero 32, Mondadori, dedicato a Pier Paolo Pasolini; catalogo per la mostra “Vade Retro – Arte e Omosessualità”, edito da Electa/Mondadori; “Ancora dalla parte delle bambine”, Loredana Lipperini, Feltrinelli; “Narratori degli Anni Zero”, a cura di Andrea Cortellessa, edito da Ponte Sisto]; nel 2007, il romanzo “Sappiano Le Mie Parole Di Sangue”, per la collana 24/7 di Rizzoli. Questo è tutto. Buona parte di queste pubblicazioni sono ormai introvabili. Io stessa, rovistando nei miei scaffali, noto di non averne più copie: le ho regalate, o perse in qualche trasloco. Non me ne frega nulla. Non corservo reliquie.
C’è una ragione per cui ho deciso di contattarti/vi: per l'(ab)uso del termine “pigmalione”. Il pigmalione è una figura che “raffina e porta al successo”. Nella mia intera vita, non sono esistiti pigmalioni di sorta. Non sono raffinata né voglio esserlo, e del successo ho orrore. Come scrissi molti anni fa, quel che è “successo” è già accaduto, dunque è finito, terminato, esaurito. Io preferisco essere “in divenire”, in perpetuo mutamento, soprattutto se lo sono “per i cazzi miei”.
Non nego (perché mai dovrei?) di aver avuto la stima e l’incoraggiamento di autori e di addetti ai lavori; scrittori e addetti ai lavori come Giuseppe Genna, Loredana Lipperini, Wu Ming 1, Andrea Cortellessa, Mario Desiati, Helena Janeczek, Sbancor e parecchi altri si sono adoprati affinché io venissi pubblicata e letta; ho ricevuto consigli preziosi, sono grata di averli ricevuti — sebbene di rado io li abbia seguiti. Sono stati anni, quelli di “Babsi Jones”, che ricordo con piacere, e aver avuto l’onore di conoscere (e in molti casi, di frequentare, o di intrattenere un carteggio o conversazioni telefoniche) quelle che reputo essere “le menti migliori della mia generazione”, è stata un’esperienza indimenticabile. Resta inteso (per essere più esplicita: ficcatevelo in testa) che nessuno dei succitati ha mai scritto una sola delle mie righe. Mai. Quel che ho scritto e pubblicato, piaccia o meno, è pura opera mia. Farina del mio sacco. Sospettare altri autori di avermi “manovrata”, di “aver scritto in mia vece”, di essere “intervenuti con editing” di sorta, sarebbe far loro un torto, un torto che ritengo francamente al limite dell’assurdo. Di quel che si possa pensare di me e di quel che ho scritto e pubblicato, per usare un francesismo, me ne sbatto i coglioni. Il mercato editoriale è vasto, i “miei” libri sono introvabili, il mio blog è offline; potete continuare a recensire e criticare ad libitum, ma siate almeno consci di star discettando del nulla. Siate consci di star prestando orecchio a petulanti pettegoli assai più degni di una portineria che di una rivista letteraria. Ex-amanti mollati: a queste peudo-fonti falliche dovete far ricorso per parlare di letteratura? Chiara Ferragni riesce a far di meglio. I vostri 15 anni di gloria, (Warhol non aveva calcolato i tempi con precisione, ahinoi) a mio modo di vedere saranno desolanti, se non cambiate rotta.
Dunque, mettetevi il cuore in pace: quel che “Babsi Jones” ha scritto fra il 2002 e il 2008 l’ho scritto io, e senza “pigmalioni”. Nella ex-Jugoslavia ci sono stata abbastanza a lungo per dirvi: …pa idete u pičku materinu. Forse questo “andare nell’utero materno” (sto ridendo…) vi offrirà la chance di una rinascita; una nuova vita, nella quale vi dedicherete a scrivere qualcosa che cambi radicalmente questo mondo di merda, attualmente “realizzato” in singulti di 140/280 caratteri, e di “libro delle facce” su cui perdete tempo prezioso (sapete di essere mortali?), fingendo di essere “sociali” e tentando (inutilmente) di decapitare quelli che, nel bene o nel male, hanno realmente dato un contributo solido alla cultura italiana (io sono esclusa, ben intesi). Vi meritate Zalone, e credo che questo dica abbastanza. Forse dice tutto.
Con questa lettera aperta, “Babsi Jones” muore definitivamente; potrete cercarmi, non vi risponderò; non sono sui vostri “media sociali”, quindi non vi leggerò; non oltrepassate i limiti, o sarà stalking, che è un reato; sono “risorta” dopo 11 anni di silenzio solo e unicamente per comunicarvi che la letteratura non si fa con dicerie raccolte da piccoli frustrati, né chiedendosi “cosa c’è dietro”, né insultando autori di tutto rispetto. La letteratura si fa chiedendosi, come fece Sartre, “cos’è, la letteratura?” — possibilmente senza rompere i coglioni a me. Buon viaggio, e senza rancore.
Babsi Jones


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