Qual è il piano del governo e perché fallirà (con noi dentro)

Condividi su...
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  

Il Manifesto risponde all’allarme democratico posto da alcuni pensatori come Giorgio Agamben con una domanda che anche altri intellettuali della sinistra viruscentrica hanno rivolto a quanti ne condividono le posizioni: di chi, il governo Conte, farebbe gli interessi? I ritardi in Lombardia sono stati provocati da Confindustria e sempre gli industriali (e le destre) sono oggi per una riapertura indiscriminata del Paese (non è proprio così, ma tant’è).

Insomma, il ragionamento – rilanciato dal Manifesto nel suo appello di soliti noti «Basta con gli agguati» (al governo Conte), che riprende un’espressione usata anche da Repubblica e Corriere –, sarebbe questo: ammesso e non concesso che il virus sia il pretesto per l’uso strumentale del terrore, a chi gioverebbe questa politica “autoritaria” visto che le destre liberiste, in Italia come nel resto del mondo (Trump, Johnson, Bolsonaro), vanno o hanno provato ad andare in direzione contraria? Non è forse «la precedente “normalità” che si è rivelata essere parte del problema»?

Espongo qui qualche appunto per tracciare un identikit politico delle élite che se ne vorrebbero avvantaggiare e sul modo (contraddittorio e violento, prima che iniquo, velleitario e destinato a fallire) in cui vorrebbero superare la normalità:

1. si cerca di produrre un ritorno del paradigma dello Stato-imprenditore (esistito dalla metà del secolo XX al 1980) rispetto allo Stato-regolatore (dal 1980 a oggi, nato per impulso della Comunità economica europea e poi dalla UE) nella gestione dell’economia, spacciando questa restaurazione da Prima Repubblica per una posizione “progressista” o rivoluzionaria;

2. si cerca di produrre una collaborazione sempre più stretta e organica con tutte quelle imprese nazionali e multinazionali che lavorano alle tecnologie dell’informazione e hanno bisogno di infrastrutture pubbliche efficienti per operare il proprio business (Colao e 5G, per intenderci);

3. si cerca di produrre un nuovo assistenzialismo di Stato (reddito di emergenza, cassa integrazione in deroga, indennità, prestiti, bonus ecc.) per sostenere almeno in parte tutti quei settori messi in crisi dal cambio di paradigma della cosiddetta (Sabino Cassese) “costituzione economica”, ma chi viene assistito davvero sono sempre e solo le banche: al netto di una legittima necessità temporanea o del pronto soccorso alle fasce deboli, queste come altre soluzioni keynesiane non sciolgono il cappio al collo dei lavoratori, tutt’altro, lo stringono, ma in compenso possono garantire (finché dura) docilità sociale e massa elettorale di manovra per la stabilità politica di chi lo elargisce (secondo l’uso democristiano);

Quando si parla di aiuti, prestiti, con o senza condizioni, e piani d’emergenza che si
vorrebbero fornire agli stati, questo dato dovrebbe sempre essere chiaro: di quegli aiuti, di
quei prestiti, di quei piani d’emergenza, lo stato non vede un euro. Gli vengono concessi solo
per rimborsare i debiti pregressi. E se in tempi di crisi tutti ci tengono così tanto a concedere
prestiti allo stato è perché se lo stato non rimborsa i titoli del debito quando arrivano a
scadenza sono le banche creditrici che devono iscrivere a bilancio una perdita. E siccome già
se la passano male questo sarebbe per loro il colpo di grazia.

Giulio Palermo.

4. si cerca di produrre il permanere dell’emergenza (anche in forma “preventiva”, che di per sé è illegittima, oltre che ormai palesemente immotivata e generalizzata) per restare al comando dopo la Caporetto sanitaria e per superare tutta una serie di ostacoli alle riforme di passaggio da attuare. Pensiamo alla scuola, ma vale per tutti quei settori in cui da ora in avanti sia possibile stabilizzare il lavoro “furbo” (quello che ti insegue fin nel weekend e nei giorni di festa): le “classi pollaio” erano un problema, ma quale altra occasione meglio di questa si presta ad aggirare l’ostilità dei sindacati e (di una parte) dei docenti sulla DAD? A settembre, pare che verrà sperimentato un rientro con un mix di ore in presenza a turnazione e didattica a distanza, risolvendo in un colpo solo il problema della capienza scolastica, che di per sé non consentirebbe la diluizione degli studenti, mentre nel contempo si accelera l’informatizzazione della scuola (vedi punto 2) senza che i costi per lo Stato lievitino (non servono nuovi docenti, che anzi verranno tagliati dopo aver posto mano alla separazione dell’Istruzione dal Miur a gennaio in seguito alle dimissioni di Fioramonti e dirottato fondi sulla Sanità, né infrastrutture, anche se queste «soluzioni draconiane» sono destinate ad aumentare il tasso di abbandono scolastico e il carico di lavoro familiare sulle spalle delle donne, che verranno ulteriormente svantaggiate dal punto di vista occupazionale e dei diritti);

5. si cerca di ottenere l’aiuto economico dell’Unione Europea senza sventare la minaccia di un default parziale e concordato alla maniera della Grecia: il sistema di finanziamenti previsto è costruito in modo da garantire prima di tutto le banche rispetto ai crediti erogati, visto che i prestiti non andranno a finanziare nuove attività/investimenti – non c’è un Paese da ricostruire, quanto una recessione precedente a cui si sommano calo dei consumi, deflazione e tendenza al risparmio di lungo periodo –, ma andranno a ripianare i debiti attuali o pregressi degli imprenditori in crisi, che in questo modo saranno garantiti dallo Stato (in sintesi, è una ristrutturazione di crediti bancari deteriorati ben prima dell’epidemia). Più in generale, poiché nessuna riconsiderazione degli interessi sul debito pubblico è stata posta sul tavolo, né esiste un piano di riconversione nazionale che elimini le concause dei problemi sanitari emersi (inquinamento, allevamento intensivo, industria a forte impatto ambientale), l’intera «poderosa» manovra economica italiana (in deroga al patto di stabilità, che serve oggi anche a Germania e satelliti per rifiatare) non farà che aumentare il deficit a dismisura rendendo di fatto ancora più strigente – MES o non – il controllo di quei Paesi europei (Germania in testa) e di quei creditori di Stato (banche, capitale e finanza internazionali) che hanno determinato fin qui il taglio degli investimenti sanitari proprio per farci pagare gli interessi sul debito: dunque, chi avrà la “fortuna” di lavorare finirà col farlo di più per guadagnare ancora di meno, ma con la prospettiva di un futuro “senza alternative”, pieno di incertezze, di paure indotte o reali e di nuove, più che probabili crisi di sistema (addio natalità, per esempio, ma anche immigrazione suppletiva e quindi speranza pensionistica).

Ormai è convinzione diffusa che chiedere maggiori deficit pubblici sia di sinistra. Ed
è per questo che nessuno fiata quando lo stato ogni anno ci sfila di tasca i soldi del surplus
primario. Col risultato che i lavoratori oltre a subire lo sfruttamento diretto da parte del
capitale devono consegnare al capitale parte del loro lavoro anche per il tramite dello stato. È
chiaro che con questa premessa qualsiasi dichiarazione in difesa della classe lavoratrice non
può che essere solo formale. […] Nessun economista solleva dubbi sulla logica per cui i lavoratori dovrebbero pagare il conto del capitale in crisi. Il gioco a chi è più di sinistra si fa sullo strumento tecnico più idoneo a strangolare la classe lavoratrice europea: un bel cappio unico o tanti singoli cappi,
collegati tra di loro, ma che si stringono a velocità leggermente diverse. A questo si riduce il
dibattito sulla mutualizzazione del debito tra gli stati dell’Unione europea. E domani, quando
gli stati si saranno accollati i debiti del capitale, il coro unificato di economisti keynesiani e
liberisti ci spiegherà che dobbiamo tagliare il personale medico e i posti in terapia intensiva,
assieme ai diritti dei lavoratori di ogni settore e i servizi ai cittadini di ogni nazione perché è
la crisi da coronavirus che ce lo impone.

Giulio Palermo.

Queste sono le “intenzioni del narratore”, riviste alla luce di alcuni “buchi di sceneggiatura”, come si possono ricavare dalla sequenza degli eventi e delle azioni, dalle dichiarazioni del decisore politico e dal programma di interventi contenuto nei decreti che si stanno succedendo, dove mai viene illustrato un piano medico degno di questo nome o è fatto il minimo cenno ai protocolli di cura del Covid – l’uso del plasma autoimmune, del protocollo Viecca e dell’eparina, per esempio, al posto della più invasiva e in diversi casi controproducente “intubazione” –, che hanno consentito di azzerrare in modo ormai permanente i ricoveri e i decessi della fase più acuta della crisi: cresce, anche qui, la perplessità sul modo in cui sono stati elaborati e comunicati questi dati e su tutte le più pessimistiche previsioni prodotte dal comitato tecnico-scientifico a supporto delle decisioni politiche e della loro uniformità territoriale. Perché tante omissioni, domande senza risposta e allarmi? A chi e a quale piano di “superamento della normalità” giovano?

Ovviamente, il piano “cinico e baro” è criminale nella misura in cui l’incompetenza, l’incapacità e l’improvvisazione regnano sovrani, gestito com’è da un gruppo di apprendisti stregoni (si legga alla voce Cinque stelle, di cui il Pd insegue l’elettorato, i temi e infine i modi) che ha deciso di approfittare dell’epidemia per tentare un’operazione di ingegneria sociale ed economica che non è alla portata loro né del Paese: il governo insegue e sobilla il panico tra la popolazione tendendo agli scopi sopra indicati, ma questo circolo vizioso di natura mediatica e demagogica può soltanto portare il Paese a una “cura dimagrante” o “potatura” che avvantaggerà i più forti, gli opportunisti, i privilegiati in partenza. Altro che «la salute al primo posto», altro che «strumentali e ipocriti appelli alla difesa dei diritti»: la mitizzazione del solo Covid come causa di morte e malattia produce darwinismo sociale, disoccupazione, inattività, fallimenti, ipocondria, paranoia, rabbia, divisioni, frustrazione, patologie e decessi per mancata attenzione: sono più i danni collaterali della “cura” di quelli prodotti dalla malattia ed è per questo che l’attuale compagine governativa verrà travolta.

In conclusione, chi si avvantaggerà davvero di questo tentativo di restaurazione statalista e tecnocratica che palesa le forme del colpo di Stato “agile o smart” e della shock economy saranno proprio le banche, la finanza e il capitale internazionali e quindi le destre, già pronte a intercettare la protesta e magari il nuovo precedente emergenziale, eversivo della Costituzione, mentre gli eroi del momento – il personale sanitario, che è stato mitizzato per nascondere tutti i misfatti della politica degli ultimi dieci anni e l’inconsistenza servile dei virologi, dell’Oms e dei comitati tecnico-scientifici chiamati a consigliare il decisore politico –, diventeranno i capri espiatori della fase successiva, dove scienza e tecnica – travolte in Italia insieme ai fallimenti del governo –, toccheranno il più basso livello di credibilità mai raggiunta, dopo il bagno di notorietà e politicizzazione che ricorda tanto la parabola di quella parte di magistratura trascinata nell’agone politico ante 1994.

Altro che “agguati” e “sciacallaggio”, dunque: qui basta leggere le cose in maniera appena più articolata della manciata di slogan che le opposte, complici fazioni danno in pasto al pubblico dibattito, per renderci conto della spettrale piega degli eventi in corso.

Post scriptum

Dopo l’appello del Manifesto “Basta agguati al governo Conte” è comparso il controappello di cui è primo firmatario Sgarbi, che ha il solito problema di tutti gli appelli e i manifesti: 1. mette dentro i “soliti noti” con la loro discutibile storia politica e personale, espressione della stessa classe sociale dei contestati (questione che abbiamo già posta, a proposito del mondo artistico e intellettuale, con gli imperdonabili); 2. propone la restaurazione del passato, quando è chiaro invece che la cosiddetta “economia di mercato” e la “democrazia liberale” sono corresponsabili del dissesto sanitario e del tracollo del modello di “Stato regolatore” da ben prima della comparsa dell’ennesima “influenza killer”, come i giornali la chiamavano in passato. Personalmente, dunque, non sono d’accordo con il governo (e i suoi fiancheggiatori) né con chi lo contesta da queste posizioni restauratrici tanto quanto – se non sulla questione dei principi costituzionali calpestati, che è l’unico punto condivisibile, risuona con l’appello di Vargas Losa e della Fondazione internazionale per la Libertà e vale una menzione: «Questo è l’elenco di tutte le nostre libertà sospese: limiti alla circolazione (art. 16 Costituzione), divieti di riunione (art. 17), chiusura di scuole (art. 33 Cost.), chiese (art. 19 Cost.) e tribunali (art. 24 Cost.) limitazioni alla proprietà privata, con divieto di raggiungere le seconde case (art. 42 Cost.), chiusura di cinema, teatri, musei, bar, ristoranti, imprese e attività commerciali e professionali (art. 41 Cost.) oltre alle note – ed è il punto tragico di partenza – limitazioni alla libertà personale (art. 13 Cost.).» Eppure Luigi Ferrajoli, che conosce le leggi speciali degli anni settanta per l’emergenza terrorismo e il loro lascito nell’ordinamento successivo, sostiene con gli altri firmatari dell’appello del Manifesto che «niente ha intaccato la libertà di parola e di pensiero degli italiani», malgrado ci sia tuttora impedito di manifestarla in piazza anche quando non esista alcun rischio di «assembramento» (visto che il distanziamento sociale consente le file a poste e supermercati), e che «il Governo non è parso abusare degli strumenti emergenziali previsti dalla Costituzione»: si veda invece alla voce sanzioni, discrezionalità, arbitrio regionale e locale, mentre un numero – ovvero l’indice di contagio allo 0,2 per cento, non più il diritto –, decide nella cosiddetta “fase due” lo spostamento tra Regione e Regione; è come se ci chiedessero di restare fuori casa in tutta Italia dopo un terremoto in Umbria finché il sismografo del governo avvertirà le scosse di assestamento: si tratta di un principio di precauzione arbitrario, sottratto al controllo del Parlamento, portato all’estremo e illegittimo dal punto di vista giuridico, visto che la normativa di emergenza può essere solo “urgente e contingente”.


Condividi su...
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •