Con la “anonima poeti” gli Imperdonabili tornano all’attacco

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Poetry  has been bury, bury, bury good to me

Ron Silliman

Senza superamento dei protocolli della scrittura industriale, senza rottura dei paradigmi della poesia lineare, la letteratura è finta, e destinata a finire. Le macchine hanno marginalizzato e progressivamente scalzeranno gli umani come entità creative, e siamo soltanto all’inizio di una nuova fase antropologica. Una vera mutazione, in cui la pandemia (e la conseguente crisi della democrazia) sta fungendo da acceleratore.

La cybercultura da tempo ha livellato i ruoli di lettore e scrittore, sfumandoli fino renderli intercambiabili. Tutto questo non deve stupirci se, già negli anni ’50 del secolo scorso, il movimento della poesia concreta giungeva a esiti di decostruzione delle parole e del linguaggio tali da far impallidire tutte le avanguardie novecentesche, vecchie, nuove e novissime. Un movimento, ambiziosissimo, utopico e molto attuale, che propose una universale leggibilità – transnazionale e panlinguistica –, della poesia.

I poeti concreti rispecchiavano i cambiamenti dell’informatica, che era agli albori: le loro idee a ben vedere sono le stesse che animano oggi i poeti nel contesto digitale. Parlando di transizione dalla poesia lineare alla poesia automatica, merita un accenno anche la robopoetica, uno dei cui più importanti esempi fu Issue 1, un’antologia non autorizzata di oltre 3700 pagine di poesie, attribuite a oltre 3000 poeti di lingua inglese. Tre anonimi scrittori pubblicarono in una notte via web la più grande antologia poetica mai vista prima, un enorme pdf contenente migliaia di poesie generate da un computer, attribuite in modo stocastico ad autori viventi inconsapevoli. Questa antologia, definita dal poeta statunitense Ron Silliman «un atto di provocazione e vandalismo anarco-flaf», ebbe come obiettivo negare le tradizionali pratiche di creazione e distribuzione poetica, e fu un attacco frontale al copyright. L’impatto di Issue 1 sull’establishment culturale fu duplice.

Metà dei contributors fu felice di comparire nell’opera, quantunque a propria insaputa; alcuni ripubblicarono la “propria” poesia in raccolta. L’altra metà degli autori coinvolti fu contrariata, tanto che alcuni trascinarono in tribunale gli anonimi autori per violazione di copyright. A ben guardare Issue 1 andò ben oltre la violazione del copyright e il plagio, fu un gesto (appropriazione) che dimostrò la straordinaria potenza del web e l’impatto enorme che esso può avere sulla letteratura, sia in termini di contenuti che di autorialità. Con la sempre maggior facilità di accesso agli strumenti per rintracciare, gestire e manipolare i testi in rete, l’appropriazione non desta più scandalo, e de facto è divenuta uno fra i diversi metodi di costruzione di un’opera letteraria o poetica.

Che cosa ha a che fare, tutto questo, con un contest di poesia online? Che cosa c’entra questa premessa con l’Anonima Poeti, ideata e proposta dal gruppo letterario de Gli Imperdonabili? Moltissimo, perché da come si è sviluppato, giorno dopo giorno, questo “esperimento” letterario, la scrittura poetica ibridata dalle mille sfumature dell’ispirazione digitale, suggestionata dalla facilità della partecipazione, sta tornando alla ribalta. Facilità di partecipazione non significa automatismo di pubblicazione (i testi selezionati verranno raccolti in una antologia e performati in presenza, non appena sarà possibile, in un evento sinestetico e intermediale di poesia totale a Firenze) perché i testi devono evitare gli stilemi tipici della poesia contemporanea, triti e vieti. Ogni medium ha un suo preciso codice comunicazionale, e certamente il contest non prescinde dai limiti del medium su cui si svolge, Facebook.

Se, come indicò Mc Luhan, «il medium è il messaggio», i poeti che anonimamente inviano qui le proprie poesie, forzano e distorcono, poeticamente, le stesse istruzioni d’uso del medium ospitante. In questo senso, e secondo questa modalità si realizza, coralmente, un flusso di produzione intersemiotica, intercodice, che scambia i testi attraversandoli. Purtroppo si è verificato anche un caso di hackeraggio, prontamente risolto dalla redazione, a riprova della gestione non semplice di una marea montante di testi poetici, che domandano visibilità. Giorno dopo giorno la redazione del contest ha conosciuto un flusso generativo di testi inusitato e dirompente. Le singole poesie inviate, selezionate e commentate non saranno certo all’altezza delle poesie dei poeti laureati (sempre che esistano ancora) o delle “poesie dei libri di poesia”, i cui autori, infatti, non si sporcano le mani prendendo parte a questa proposta blasfema, a questo esperimento oltraggioso nei confronti dell’olimpo della poesia ufficiale, quella dei libri di poesia appunto, delle classifiche di qualità.

Ma tant’è, noi Imperdonabili non arretriamo di un millimetro nella nostra azione eversiva, perché è chiaro che queste poesie rappresentano fulgidamente il futuro della poesia, che non è soltanto il futuro di un genere letterario, ma è la vita stessa, declinata in canto e senso. Queste poesie sono “singolarità plurali”, “universalità della differenza” e in quanto tali si oppongono all’opprimente omologazione dell’universalmente umano. «La poesia è di tutti, perché in ognuno c’è poesia», e come Imperdonabili intendiamo contribuire con questo contest a tracciare una nuova direzione nella letteratura, a fondare una nuova discorsività nella poesia contemporanea.

Tutti poeti, dunque? «Sì, ma non tutti uguali perché percorrendo la via, per caso, per necessità, per intrinseche doti, il fare di ciascuno, come l’albero, darà frutti diversi e diversamente riconosciuti» (Massimo Mori, Poematica del Principio, Ed. Clichy 2019). Questo, ci rendiamo conto, significa chiedere molto a quello che una volta si chiamava lettore. Il fruitore della poesia oggi, nella imperdonabile prospettiva fin qui illustrata, è chiamato a partecipare all’atto di creazione del poeta, perché il testo poetico comunica innanzitutto la sua struttura.

Foto di copertina di waldyano su Pixabay


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