Libertari, non fascisti

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L’articolo è uscito in origine sul Fatto quotidiano del 29/12/2019.

Sarebbe stata una sollevazione morale in special modo e collettiva, autodeterminarsi, avere in testa una specie di orgoglio folle, una voce fuori campo a incitarci: “seppur tutti, io no”. E questo era nelle intenzioni quando abbiamo pensato alla nascita di un movimento letterario, Gli Imperdonabili, io e un gruppo di scrittori e editori, Giulio Milani, Davide Brullo, Gian Ruggero Manzoni, Andrea Ponso, e altri ancora che man mano hanno partecipato, aderito, redatto manifesti, idee e così via.

Non aveva – il movimento e sin da allora – una tirannia da istituire, ma siamo già in regime di accentramento (e non certo a causa nostra) e lo spiegherò. Siamo troppo ingovernabili, innocenti fino all’autolesionismo, per concepire un ordito da tesserati e prossimo ai mestieranti sepolcrali che oggi restituiscono in ordinate e irreparabili conventicole (sempre le stesse, sapete, un rimestare in identiche acque) la razione di “Pensiero” del Paese. Pensiero moderato, al ribasso, a scanso di equivoci. Tutto il resto è rosicamento o “fascismo”.

Il movimento si è messo di traverso a un sistema, che decide autori, gusti del lettore, classifiche e premietti. L’aristocratico e deregolamentato talento non è nemmeno considerato, salvo quando sia possibile trasformarlo in caso umano. Il sistema funziona per ambiti precisi, ideologizzato, se fossimo in tempi aurei, direi piuttosto beceramente politicizzato. Il sentiero da seguire è sempre lo stesso. Fuori dal recinto, non hai molto da concludere. Tanto denuncia il Movimento, ovvio che dai sepolcri, estemporanei walking dead non hanno tardato a indirizzarci nobilissime obiezioni: rosiconi e fascisti. Non sto neanche a precisare alcuni passaggi della mia vita (ma a chi potrebbero interessare?) giacché sconfesserebbero questa prevedibile macchina di sterco che sta irrorando il nostro agire tutto intorno, preoccupatissima la macchina dello sterco a ribadire e ribadire il nostro estremismo ai limiti dell’eugenetica. Siamo fanatici forse, abbiamo investito sulla sponda infuocata della scrittura, non abbiamo molto da perdere, orgogliosi nondimeno del trofeo: non aver niente da perdere. Non siamo fascisti, naturalmente. La nostra libertà sotto accusa. Non meglio identificati scrittorucoli hanno già afferrato un manganello, promettendoci: non dormiremo la notte, se è necessario, verremo a prendervi. Avete capito bene. E noi saremmo una frangia oltranzista di terroristi di estrema destra. Scrittorucoli, con romanzetti di fantascienza al limite nel loro concentrato curriculum.

Non esiste un sistema, si scompongono dentro sorrisi di contenuta sobrietà dall’altra parte della barricata. In ogni caso, al di là di ogni faccenda, di ogni coraggio o pavidità, l’uno spacciato per estremismo, l’altra per ragionevolezza, rifletto con meraviglia sulle 43 citazioni o recensioni (ognuno le definisce come gli pare, a sua convenienza) al romanzo di Veronesi, “Colibrì”, nelle colonne del medesimo quotidiano, il Corriere. Non vi fa specie, solo un po’ dico? Non vi chiedo di interrogarvi sul significato di tale ridondanza, o su noiosissime attinenze a concetti come “etica”, “deontologia” o “paraculismo”. Il regime di cui dicevo sopra non è il procurato allarme coltivato da ligi agricoltori dell’odio e della paura, in un fastidioso bramire; è la rete di privilegi e privilegiati a tradurlo spaventosamente, in una divisa rassicurante, noi del movimento diremmo: perculante. Stai fuori. O stai dentro. Ma dentro restano in pochi. Gli altri beoti dietro la porta aspetteranno pateticamente un turno che non succederà mai, non uno squillo di tromba glorioso, mai, non per loro.

*** *** ***

Fotografia a corredo di Michela Bin, per gentile concessione dell’autrice. Nata a Trieste nel 1972, Michela Bin è laureata in archeologia medievale presso l’Università di Trieste; appassionata di fotografia da sempre, ha approfondito le sue conoscenze, tra gli altri, con Graziano Perotti.


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