L’imperdonabile sfida a regola d’arte

Condividi su...
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  

Questa di seguito è la versione più sintetica e ‘strong’ del nostro Manifesto uscito per Il Fatto quotidiano pochi giorni fa. Si tratta di una versione che chiarisce il fatto che gli Imperdonabili lanciano una vera e propria sfida artistica e letteraria, non si limitano a dare consigli di scrittura applicabili come si vuole. Le regole, note o ignote che siano, vanno prese tutte insieme e ‘sfidate’. Questo è il nostro, serissimo gioco.

Dopo il decalogo, infatti, lanciamo il contest l’Imperdonabile Anonima Racconti, qui.

Gli Imperdonabili

#

Noi siamo gli zeri assoluti, ma senza l’ambizione di diventare illustri. Noi siamo gli scarti, ovvero il posto giusto dove cercare lo scarto, la «brusca e improvvisa deviazione laterale».

Qui c’è un mondo di lavoratori, impiegati, piccoli imprenditori, padri e madri, espatriati, che sono anche le persone che leggono. Vogliamo dar voce a questo mondo.

Vogliamo restituire all’arte e alla letteratura il suo ruolo di liberazione, per vivere la nostra esistenza a un livello differente. Chi sostiene che «la letteratura è contro la vita», sta sostenendo l’otium contro il negotium: questa è la tara che il mondo romantico e aristocratico ha trasferito nel sistema urbano-borghese. Perché per scrivere, è chiaro, occorre tempo. E il tempo è un privilegio di classe: allora come adesso.

Per noi, l’arte e la letteratura non rappresentano una questione di «qualità»: la qualità è il modo in cui l’industria ha tradotto l’idea della ripetibilità di una performance da parte di una classe di artigiani specializzati. Lasciamo all’industria e a quella classe la frustrazione e la competizione per la qualità e il profitto! Torniamo all’arte e alla letteratura come valore sociale la cui utilità risiede nella capacità di liberare le persone. Questa edificazione può essere praticata da una sola classe? Crediamo di no. Non da quel mondo classista dove gli scrittori, gli artisti, o sono gente che non deve lavorare per vivere o sono i giullari dei signori.

Auspichiamo dunque l’allargamento della base sociale e stabiliamo le nostre regole del gioco. Dove ci sono le regole, c’è rispetto e libertà d’azione; dove non esistono regole regna il caos. Il nostro scopo è lavorare “a regola d’arte” perché la sfida alle regole è l’ossessione dell’arte: attribuire un senso al mondo, che di suo non ce l’ha. Ecco la nostra idea di mondo, di arte. Ecco il nostro gioco.

Ci impegniamo a produrre gli imperdonabili racconti e romanzi italiani seguendo l’insieme di queste regole:

  1. La morte dell’autore, del suo giudizio, della sua presenza, del suo illusorio sovranismo. La scena deve restare interpretabile. La realtà umana è misteriosa, inafferrabile, ambivalente.
  2. La rinuncia allo stilismo: l’autore non deve affidarsi alla sua proprietà di linguaggio, alla sua retorica. Trama e struttura non devono attirare l’attenzione su di sé.
  3. Il superamento del vincolo di struttura narrativa a nastro. Vietati l’uso della sequenza descrizione/dialogo/descrizione e l’impostazione cronologica lineare.
  4. La morte dello stereotipo: i personaggi devono essere difficili da interpretare. Eliminazione dunque dei concetti di bene e di male applicati ai personaggi come funzioni metaforiche.
  5. Il superamento dell’ideologia della verosimiglianza: il realismo è l’impossibile. Impiego del surreale, del paradosso, del soprannaturale psicologico o sociologico.
  6. Il superamento del modello cinematografico: mostrare al lettore solo ciò che vogliamo, sfruttando l’ellissi, l’ambivalenza, la polisemia e il non detto.
  7. La fine del messaggio. L’autore non deve insegnare nulla al lettore. Il personaggio non deve avere nessuna funzione pedagogica. Non esiste un tema o un teorema, per quanto importante sia, a cui subordinare la realtà umana (vedi punto 4).
  8. Abolizione del dialogo favolistico e dello scambio “appropriato”. È fatto divieto di attribuire la battuta con il disse e il rispose (o simili) o con la «batteria dei disse». Eliminare i dialoghi a nastro senza un contesto. Il romanzo non è una sceneggiatura (vedi punto 6).
  9. Guarire dalla “paragonite”. In particolare, sono abolite tutte le similitudini legate al regno animale. Il romanzesco è come un museo: tutto quello che vi succede è già simbolico.
  10. Impiegare lo stile indiretto libero. Abolire la partecipazione emotiva sul racconto. Abolire l’affabuazione (o “pensierare” del personaggio narrante o peggio ancora dell’autore, vedi punto 1).

La presente versione del decalogo è uscita anche su Satisfiction, qui.

*** *** ***

Fotografia a corredo di Michela Bin, per gentile concessione dell’autrice. Nata a Trieste nel 1972, Michela Bin è laureata in archeologia medievale presso l’Università di Trieste; appassionata di fotografia da sempre, ha approfondito le sue conoscenze, tra gli altri, con Graziano Perotti.


Condividi su...
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •