La peste e la rivoluzione

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Premessa

Lo scorso maggio ho tentato un primo bilancio, a caldo, di quanto accaduto in Italia e nel resto dell’Occidente nei due mesi precedenti, prevedendo alcune linee di sviluppo: il governo Conte è stato travolto e sostituito dal governo di larghe intese del banchiere Draghi. Cito il passaggio perché credo sia utile, in premessa, verificare la tenuta logica della mia analisi davanti all’evolversi della situazione:

Sono più i danni collaterali della “cura” di quelli prodotti dalla malattia ed è per questo che l’attuale compagine governativa verrà travolta. In conclusione, chi si avvantaggerà davvero di questo tentativo di restaurazione statalista e tecnocratica che palesa le forme del colpo di Stato “agile o smart” e della shock economy saranno proprio le banche, la finanza e il capitale internazionali e quindi le destre, già pronte a intercettare la protesta e magari il nuovo precedente emergenziale, eversivo della Costituzione.

Articolo del 4 maggio 2o2o dal titolo “Qual è il piano del governo e perché fallira (con noi dentro)

Quelle che all’epoca di questo articolo potevano sembrare fantasie – la spinta di forze economiche e politiche inerziali in grado di ridisegnare il diritto, la società e l’economia delle democrazie –, a un anno di distanza rappresentano l’esatta descrizione di quanto sta avvenendo nel nostro Paese e in buona parte del mondo occidentale. Ho pertanto sentito la necessità di raccogliere le idee e di fermare per iscritto il nucleo fondamentale delle mie riflessioni fin qui, legate spesso a interventi d’occasione. Ne è emersa una lunga disamina, che parte dalla sovrapposizione di due concetti apparentemente slegati tra loro – la peste e la rivoluzione –, e che invece in passato sono stati messi in relazione diretta o indiretta da alcuni studiosi come Manzoni, Canfora, Foucault. Seguendo un criterio storico-politico di analisi, che mi consente – per esempio – di spiegare come mai questo passaggio storico piaccia a sinistra, ma non dispiaccia neanche a destra, ho inteso offrire a tutti coloro che hanno compreso l’importanza epocale del momento “rivoluzionario” che stiamo vivendo, uno strumento di lettura degli eventi un po’ più approfondito, e insieme un primo vademecum di lotta. La mia tesi è che sia impossibile e perfino controproducente illudersi di poter tornare alla «vita di prima» o di poter continuare a vivere come se niente fosse. L’anno scorso è cambiato tutto perché c’è stata una rivoluzione. Silenziosa, forse addirittura la più noiosa della storia, ma a tutti gli effetti una rivoluzione. Per questo nessuno può credere di poter rimettere le lancette dell’orologio al 31 dicembre 2019. E poi per ottenere cosa? Tutto quello che è crollato è crollato perché non stava più in piedi. Non può esserci nessuna opposizione credibile se questa opposizione spera soltanto di restaurare quegli aspetti della democrazia liberale che sono stati prima traditi, e poi travolti. Il futuro va completamente riprogettato, tenendo ben presente che il moto rivoluzionario è un fatto già compiuto: dunque o saremo a nostra volta rivoluzionari, o siamo destinati a soccombere alle forze storiche senza neanche aver lottato. Nel testo, ancora parziale e in costruzione – quindi a tratti concettoso, per motivi di sintesi –, troverete riflessioni, informazioni, previsioni, rimandi, link e altro materiale che mi auguro possa risultare utile a prescindere dall’adozione della mia prospettiva, che non pretende di essere l’unica possibile per tutti, ma è certamente l’unica possibile per me. Aggiungo che questo testo è in regime di copyleft per consentire la massima divulgazione: chiedo solo la cortesia, se riprendete concetti originali, di citare la fonte. Buona lettura.

Il grande vuoto del momento «igienico/rivoluzionario»

Traggo questa mia definizione di «momento igienico/rivoluzionario» dall’analisi dell’opera di Alessandro Manzoni: diversi studiosi (in particolare Luigi Weber) hanno infatti messo in evidenza gli interessi dello scrittore lombardo per la peste seicentesca come per la rivoluzione francese; da storico e critico del potere, Manzoni vi ravvedeva degli elementi in comune: la soppressione della normalità/normatività precedente, l’emergere di un’ipertrofia dell’esecutivo, le nozze tra massa e potere e infine «l’implacabilità di un insieme di istituzioni giuridico-medico-poliziesche che al caos, alla paura, alla superstizione, appunto, e insieme al flagello sanitario, oppongono una razionalità delirante e iniqua e tuttavia razionalissima: accusa, inchiesta, coercizione, condanna» (Prefazione al volume di Alessandro Manzoni La rivoluzione francese del 1789 e la rivoluzione italiana del 1859. Osservazioni comparative a cura di Luigi Weber, pp. XVII e XVIII).

Prima di cominciare, si deve sempre “sgombrare il campo” da qualche ostacolo. «La pandemia è tale in tutto il mondo e in tutto il mondo sono state adottate soluzioni simili.» Questa affermazione è corretta?

Tutti i Paesi, compresi quelli dell’Unione Europea, si sono mossi in ordine sparso rispetto alla gradazione delle misure di contenimento, nel quadro di una vera e propria battaglia politica, psicologica e mediatica tra due modelli opposti: li potremmo indicare con l’esempio di Italia e Svezia. La nostra nazione ha importato per prima il metodo del grande vuoto adottato in Cina – proclamazione dello «stato di emergenza sanitaria di rilievo nazionale» (una fattispecie inesistente nel nostro ordinamento e infatti mai applicata in 75 anni di storia repubblicana), chiusura totale del Paese, sanzioni, interventi spettacolari delle forze dell’ordine (quelle che nel gergo della Protezione civile si chiamano «operazioni di teatro») per sgomberare il campo operativo dalla presenza dei civili e dei comportamenti “illeciti”, esercizio della logica del «peggior scenario possibile» e del principio di massima precauzione con l’applicazione del paradigma «contatto zero, rischio zero, contagio zero» –, mentre la Svezia ha applicato il metodo epidemiologico classico (interventi mirati, gradazione delle misure proporzionata al rischio in atto e non in potenza, ricerca della «convivenza col virus» in ossequio al principio del minor danno, raccomandazioni e non obblighi, rispetto dello Stato di diritto e della Costituzione democratica). Tra questi due estremi, che rappresentano l’uno la sconfessione della validità dell’altro anche dal punto di vista scientifico/sanitario, troviamo collocato il resto delle nazioni europee, degli Stati americani (con il caso del Nord e del Sud Dakota più esemplare di altri) e sud-americani (dove gli opposti sono Brasile e Argentina): la “linea del fronte Covid” è soprattutto una linea del fronte occidentale.*

«La “linea del fronte Covid” è soprattutto una linea del fronte occidentale.»

La maggior parte di questi Paesi sono – o per meglio dire, in diversi casi, sarebbero –, democrazie ad alto tasso di sviluppo tecnologico. In seguito all’infodemia e all’importazione del modello esecutivo “pestifero” – l’esecutivo prende il sopravvento sul potere legislativo e giudiziario a causa dello stato di eccezione –, al criterio epidemiologico si è subito sostituito quello criminologico della caccia all’untore: il negazionista, il complottista, il nomask, l’analfabeta funzionale in sospetto di ridotta capacità cognitiva (in termini rivoluzionari il reazionario a cui attribuire la responsabilità morale del disordine); nella seconda fase, quella della corsa (geopolitica) alla vaccinazione di massa, gli si è sommata e sovrapposta la figura del novax «anarco-insurrezionalista»: il disertore, il traditore della Patria in guerra, che poi era il punto di arrivo di un percorso di igienizzazione politica iniziato nel 2014, quando proprio l’Italia, nell’ambito della Global Health Security Agenda, venne designata quale capofila per i successivi cinque anni delle strategie e campagne vaccinali nel mondo.

Il nostro Paese si trova al centro dell’area mediterranea e le molte crisi internazionali hanno portato a nuovi imponenti flussi migratori. È necessario rafforzare i controlli nei confronti di malattie endemiche riemergenti come polio, tubercolosi, meningite o morbillo. Se vogliamo evitare il collasso dei sistemi sanitari del Vecchio Continente dobbiamo rafforzare i processi di vaccinazione verso tutte le persone che vivono in Europa. L’Italia, attraverso l’operazione Mare Nostrum, ha svolto oltre 80.000 controlli sanitari negli ultimi mesi. Abbiamo già sufficiente esperienza per coordinare campagne di prevenzione contro nuove possibili epidemie”.

Dichiarazioni del ministro Beatrice Lorenzin riportate da Aifa.

Epidemie e controllo sociale

Non rimarcherò mai abbastanza la relazione che esiste tra le epidemie, gli obblighi vaccinali, la globalizzazione e la questione migratoria, ma è sotto gli occhi di tutti – oggi che lo «spazio Schengen» è di fatto messo in discussione dall’emergenza –, fino a che punto esista un rapporto concettuale tra contagio, quarantena, sbarchi, flussi, controlli, difesa, sicurezza, selezione degli ingressi, sorveglianza dei movimenti, dei “precedenti” e delle identità, passaporto digitale vaccinale: l’Occidente sta alzando le sue barriere immunitarie come fosse costituito da un sol fascio di Paesi sovranisti, come davanti a un’escalation di guerra. Siamo di fronte a quello che il sociologo dei media Andrea Miconi, nel pamphlet Epidemie e controllo sociale (uscito nel giugno 2020) chiama «populismo rovesciato» e che io, in diversi interventi, ho invece battezzato «populismo sublimato» o «populismo di sinistra»: un populismo che sussume e sublima, appunto, il paradigma della sicurezza con quello della salute, conservando tutti gli aspetti del primo ma rendendolo tollerabile e anzi necessario dal punto di vista etico, ossia politicamente corretto. Identico fin negli slogan: dal «meno partenze, meno morti» di salviniana memoria al «meno movimenti, meno morti» inaugurato dal governo giallo-rosso ed esportato in tutto l’Occidente. Solo che prima il corpo sacrificale erano i migranti, adesso siamo tutti clandestini.

«Il «populismo sublimato» è un populismo che sostituisce e sublima il paradigma della sicurezza con quello della salute, conservando tutti gli aspetti del primo ma rendendolo tollerabile e anzi necessario dal punto di vista etico, ossia politicamente corretto. Identico fin negli slogan: da «meno partenze, meno morti» a «meno movimenti, meno morti». Se prima il corpo sacrificale erano i migranti, adesso siamo tutti clandestini.»

In termini foucaultiani – e qui cito il filosofo con cautela, visto che mentre in passato veniva menzionato fino alla nausea, nel momento in cui il suo pensiero diventa quanto mai attuale, lo si liquida con sufficienza –, il diffondersi di un’epidemia (di peste) produce «un Panopticon reversibile: tu sorvegli me, l’esterno sorveglia l’interno, ma nel frattempo io sorveglio te, l’interno sorveglia l’esterno. E nessuno può sfuggire. Nessuno può sottrarsi all’occhio che, nel momento in cui vede, individua a un tempo: inserimento in un ruolo sociale e suo scrupoloso esercizio, rapporti di potere, salute o malattia alias innocenza o colpevolezza.» (Luigi Weber, op. cit., p. IX).

«Non si tratta di un’esclusione, ma di una quarantena. Non si tratta di cacciare, ma di stabilire, di fissare, di dare il proprio luogo, di assegnare dei posti, di definire delle presenze e suddividerle. Non rigetto, ma inclusione.»

Michel Foucault, “Gli anormali”, p. 49.

Il ribaltamento concettuale prodotto dal momento epidemiologico nel funzionamento delle «istituzioni totali» è descritto da Foucault con estrema chiarezza: inclusione, non esclusione; non rigetto, ma riclassificazione. Eppure, durante il momento epidemiologico, il potere non è mai tanto forte, pervasivo, totalitario appunto. In modo controintuitivo, esiste un rapporto stretto tra peste e rivoluzione politica e questo rapporto è alla base del motivo per cui nodi fondamentali dell’intero sistema occidentale – come la dialettica tra sovranismo e globalizzazione, tra austerity e debito pubblico, tra green economy e industria petrolifera, tra e-commerce e servizi al dettaglio, tra virtualizzazione dei rapporti umani e socialità –, hanno trovato nel grande vuoto dei lockdown l’occasione perfetta per la sintesi.

Omologia tra destra e sinistra: il sogno di trasformazione e progresso

«Perché la peste è la Rivoluzione, o per meglio dire il sogno orgiastico e politico della peste è la Rivoluzione, almeno quella francese, soprattutto quella francese, dal momento che in essa (e ancor di più nelle sue rappresentazioni, tanto in quelle reazionarie quanto in quelle progressiste, liberali, democratiche o addirittura comuniste) per la prima volta in assoluto e in scala così ampia si consumò quella volatilizzazione della legge, dell’ordine sociale, e perfino dell’individualità, che ai borghesi di ieri e di oggi ispira a un tempo brividi di eccitazione e brividi di terrore; solo che, grazie a quella medesima disgregazione, il potere sperimentò nuovi e inediti modi di agire, di reagire, in una parola di riconfigurarsi. La peste è la Rivoluzione, insomma, in quanto possibilità, sistema di possibilità che apre a un’omologia funzionale

Luigi Weber, op. cit., pp. XI e XII.

Credo basti questa citazione per cogliere, davanti al momento igienico/rivoluzionario, un atteggiamento trasversale agli schieramenti: la luna di miele col lockdown e con il “comitato di salute pubblica”, la benedizione delle restrizioni che aprono i cordoni della borsa europea, restituiscono sovranità economica e politica agli Stati, portano consensi elettorali, aboliscono o riducono il crimine, il malcostume, il degrado, i flussi migratori, il traffico automobilistico, la movida, le discoteche, gli incidenti, il calcio, le navi da crociera, il turismo di massa, l’inquinamento, il Natale consumista, le settimane bianche, la Pasqua “con chi vuoi”, le funzioni religiose, i grandi raduni, le attività inessenziali, i capricci per i ricchi e per i clandestini come mobilità e socialità. Di conseguenza il centro-destra, che in Italia governa 15 regioni su 20, al netto di ammuine, contraddizioni e ammiccamenti aperturisti ha seguito nel complesso le disposizioni del governo Conte Bis, per poi affiancarne la compagine con l’ingresso di Draghi. Insieme alla spartizione del Recovery Fund, ecco sorgere per tutti – salvo qualche distinguo più di natura simbolica che reale –, il sogno di un progresso fatto di riconversione ambientale (Greenwashing), salute al primo posto (sorveglianza, sicurezza, punizione, decoro), rispetto delle istituzioni e dell’autorità competente (obbedienza al collettivo), igiene morale (pandemic & politically correct), digitializzazione (controllo sociale pervasivo, indottrinamento e addestramento adattativo della gioventù), smart working e risparmio nelle infrastrutture (assalto alla socialità e al tempo libero), eliminazione del contante e dell’evasione fiscale (dipendenza totale dall’elettronica e dalla banche, assalto al risparmio), pianificazione dell’economia e delle risorse (restaurazione dello Stato imprenditore, darwinismo economico assistito) secondo nuovi prinicipi etici («la libertà di non essere liberi, ma solidali») ed estetici («le mascherine non cancellano le facce, ma le false identità edonistico-individualiste»). E a sinistra che si fa? Ovviamente si saluta tutto questo con la stessa dabbenaggine con cui taluni – compreso Foucault –, benedirono la «rivoluzione khomeinista» in Iran (poco più sotto ne spiego i motivi).

Parallelamente, nel discorso pubblico, il periodo di isolamento domiciliare ha vissuto due momenti: «Nella prima fase, il tono del discorso era tutto virato al positivo, imbevuto di una retorica che ha prodotto il noto campionario di luoghi comuni: il ritorno ai valori primari, il recupero dei legami familiari, la riscoperta di piccoli piaceri e passioni, un’occasione per rallentare tempi di vita ormai disumani. Nella seconda fase, quando le crepe di questa narrazione si facevano più evidenti, la reclusione domiciliare è stata codificata invece come obbligo morale, come prova di dedizione civile, come discrimine – letteralmente – tra i sani e i patogeni, tra chi rispetta la comunità e chi non sa tenere a freno gli eccessi individualistici. In altre parole, della reclusione domiciliare si sono dette due cose: prima, che fosse piacevole; dopo, che fosse necessaria. Salvo che né la prima né la seconda cosa sono dimostrabili, se ci si ragiona con calma. […] Forse non è un caso, in questo senso, che l’odio diffuso sia stato catalizzato proprio da quegli innocui comportamenti – camminare in strada, uscire a correre, sedersi su una panchina al sole – che con la loro innocente evidenza mandavano in frantumi la narrazione popolare dell’#iorestoacasa. Anziché odiare le mura domestiche, che ci stavano mandando fuori di testa, abbiamo odiato le persone che cercavano, in tutta sicurezza, un breve ristoro dalla nostra stessa sensazione di angoscia.» Tutto questo svela, mentre si ritira l’onda emotiva della grande paura, «la carcassa del controllo come autentico scopo sommerso». (Andrea Miconi, op. cit., p. 12, 13, 14 e 16).

E non poteva essere altrimenti: ogni momento pestifero genera il suo sogno politico di controllo totale e insieme individua il capro espiatorio su cui fondare, per antitesi e in prospettiva, la sua nuova identità di comunità chiusa, consonante, gerarchizzata:

«La peste è considerata come il momento [letterario] in cui le individualità si disfano e la legge è dimenticata. […] Ma vi è stato un altro sogno della peste: un sogno politico della peste, in cui essa è, al contrario, il momento meraviglioso nel quale il potere politico si esercita pienamente. La peste è il momento in cui la suddivisione di una popolazione viene portata al suo punto estremo, il momento in cui non si può più produrre alcuna comunicazione pericolosa, alcuna comunità confusa, alcun contatto proibito

Michel Foucault, op. cit., p. 50.

La situazione attuale potrebbe dunque collocarsi all’interno di un momento antropologico perfettamente inquadrabile nella dinamica prodotta dalla peste, il momento politico della peste, quel «momento meraviglioso in cui il potere politico si esercita pienamente» – e che dura finché la peste uccide. Peccato solo che la Covid non sia la peste – un morbo capace di sterminare dal 30 al 40 % della popolazione di tutte le fasce di età –, e che la società occidentale sarebbe in teoria un filo più progredita che nel Seicento, almeno in termini di condizioni igienico-sanitarie e capacità mediche complessive.

Nel frattempo, la durata di questo stato di eccezione è stata legata a fattori sempre più aleatori e ideologici, rispetto al numero dei morti in rapporto alla popolazione o alla pressione sulle capacità ospedaliere, come l’indice di contagio, la riuscita della campagna vaccinale di massa, il «rischio zero», l’eradicazione del virus, la presenza di altre varianti e finanche la previsione di un’«era delle pandemie».

Omologia tra Stato e industria: «Mai sprecare una buona crisi»

La più completa assenza di progressi nel superamento dell’emergenza e anzi la prefigurazione di una durata senza limiti è sufficiente per comprendere che se la Covid non è la peste, allora è la rivoluzione: il sogno politico della Covid è un vero e proprio momento orgiastico del potere, un modello rivoluzionario e decisionista, al quale si allineano consciamente o inconsciamente tutti gli attori in condizione di “estrarne valori”; un incubo totalitario al cui interno confluiscono, nell’epoca della globalizzazione, gli interessi concorrenti e compossibili di tutte le omologie funzionali al mondo.

Di questa natura «totalitaria» del modello rivoluzionario e del tipo di democrazia che ne consegue, si è occupato con grande acume Jacob Talmon nel classico del pensiero politico Le origini della democrazia totalitaria. Ne riassumo brevemente la prospettiva: per Talmon il mondo occidentale è stato attraversato da un vero e proprio «scisma» delle idee politiche nel corso del Settecento, il secolo dei lumi che ha portato alla Rivoluzione francese. Autori come Rousseau, Morelly, Mably, Sieyès, Saint-Just (e Robespierre) hanno introdotto, al posto della religione naturale, la cosiddetta «religione laica», ovvero un’idea che ribalta il messianesimo religioso nel messianesimo politico, il principio di sovranità divina del monarca nel principio di sovranità «secolare» del popolo (la cosiddetta «volontà generale»), determinando appunto una frattura tra le due anime del pensiero democratico: quello liberale e quello «totalitario». Queste due anime, compossibili e concorrenti, albergano nel corpo sociale di tutto il mondo dal 1789 a oggi. Lo studio di Talmon verte, in particolare, sull’analisi del «totalitarismo di sinistra», una tradizione di pensiero fondata sull’aspirazione alla realizzazione della «società perfetta», sull’idea che la storia abbia un percorso progressivo e un capolinea e che il traguardo ci riservi – grazie alla politica –, la felicità su questa terra. Per Talmon, solo il totalitarismo di sinistra può essere definito come «democrazia totalitaria» o «democrazia popolare», mentre al totalitarismo di destra non si può applicare, per ragioni di principio, la stessa definizione di «democrazia»:

«Mentre il punto di partenza del totalitarismo di sinistra è stato, e fondamentalmente è ancora, l’uomo, la sua ragione e la sua salvezza, quello delle correnti totalitarie di destra è stato l’entità collettiva, lo Stato, la nazione o la razza. […] Questa è la ragione per cui le ideologie totalitarie di sinistra sono sempre inclini ad assumere il carattere di un credo universale, tendenza che manca completamente al totalitarismo di destra. […] La seconda fondamentale differenza tra i due tipi di totalitarismo consiste nella loro diversa concezione della natura umana. Mentre la sinistra ne sostiene la bontà sostanziale e la perfettibilità, la destra afferma che l’uomo è debole e corrotto. Entrambi gli orientamenti possono sostenere la necessità della coercizione. La destra indica la necessità della forza come mezzo permanente per mantenere l’ordine tra individui poveri e indisciplinati e per abituarli ad agire in modo diverso da quello dettato dalla loro natura mediocre. Il totalitarismo di sinistra, quando ricorre alla forza, agisce nella convinzione che la forza è usata solo per accelerare il passo del progresso umano verso la perfezione e l’armonia sociale. […] La moderna democrazia totalitaria è una dittatura che si basa sull’entusiasmo popolare, ed è quindi completamente diversa dal potere assoluto esercitato da un Re per diritto divino o da un tiranno usurpatore.»

Jacob L. Talmon, La democrazia totalitaria, 1952, pp. 14,15, 16.

Se la Covid non è la peste, dicevamo, allora è la rivoluzione. Noi ci troviamo nell’esatto punto della storia in cui l’anima totalitaria della democrazia prende il sopravvento su quella liberale e sconfina nel «totalitarismo di sinistra». Questo spiega come mai l’attuale tendenza politica piaccia a sinistra, ma nello stesso tempo non dispiaccia neanche a destra. Vi possiamo perfino trovare un un’oligarchica ben precisa, come ai tempi della Rivoluzione francese, che si muove in base al principio strategico che qualunque azienda ha preso in prestisto da Winston Churchill: “Never let a good crisis go to waste” (“Mai sprecare una buona crisi”); su tutti, Big Tech, Banche/Finanza e Big Pharma, i cui interessi oltrepassano i confini nazionali, sono per così dire “imperialisti per natura” e nello stesso tempo coincidono, alle volte, in una persona sola come nel caso di Bill Gates. Non un piano concertato da un gruppo consapevole di menti cross funzionali (industria più governi più intellettuali, per esempio), ma un groppo di interessi e strategie di tutte le parti in gioco, che convergono direzionalmente verso il messianesimo politico anche se in modo piuttosto casuale e non formalizzato.

«Non un piano concertato da un gruppo consapevole di menti cross funzionali (industrie più governi più intellettuali), ma un gruppo di interessi e strategie di tutte le parti in gioco, che convergono direzionalmente verso il messianesimo politico anche se in modo piuttosto casuale e non formalizzato.»

Google. Apple. Micorsoft. Amazon. Glovo. Tesla. Facebook. Netflix. Smart working, Dad/Did, e-commerce, delivery, home cinema, socialità contact-less, erano realtà o possibilità già configurate, ma sono letteralmente esplose coi lockdown e il distanziamento, senza che famiglie, lavoratori, sindacati, associazioni di categoria, medici, giudici o psicologi potessero sollevare la minima obiezione. Queste forze si sono affiancate e oggi si stanno sostituendo alla distribuzione e alla produzione in tutti i settori di vendita, approfittando della crisi dei comparti tradizionali e dell’aumento di liquidità garantito dal servizio di intermediazione e dai mezzi tecnologici di cui dispongono in condizioni di monopolio e di gig ecomomy (rapporti di lavoro liquidi, precari). Costituiscono, a tutti gli effetti, quei datori di lavoro di ultima istanza che in caso di guerra e di «mobilitazione totale» (Jünger) sono gli eserciti, e infatti rappresentano un’aristocrazia tecnico-militare di imperialisti e demiurghi, che negli Stati e nelle leggi ha sempre visto solo un ostacolo alle rispettive “innovazioni”.

Finché non è arrivato il loro momento per servire la Causa terapeutico-messianica, il modesto obiettivo di «salvare il mondo».

«Il rapporto tra i governi e i giganti di Silicon Valley dovrà essere seriamente preso in esame, perché troppe ne abbiamo sentite, e perché l’unione delle loro forze incarna proprio quel connubio tra estrazione del profitto e strategie di controllo, di cui si costituisce il regime di sovranità in formazione.

Andrea Miconi, op. cit., p. 102.

Omologia tra politica, industria e opinione pubblica: cogliere l’attimo

Se guardi la tv, se leggi i giornali, se ascolti la radio, se segui intellettuali di grido, star dello spettacolo e influencer, salvo eccezioni dal coro (e quindi senza voce in capitolo) hai l’impressione che tutti guardino il medesimo film e abbiano ragione da vendere: esiste un problema sanitario gravissimo, tutti gli Stati lo stanno affrontando allo stesso modo, chi meglio chi peggio, l’obiettivo è solo quello di sforzarsi per introdurre le pratiche più opportune e uscirne il prima possibile. Peccato solo che, pure se fosse tutto corretto in queste affermazioni, lo ripetano da più di un anno.

Questo succede perché i media e le bolle del mainstream, in generale, occupano una frequenza superficiale, didascalica, stereotipata – stanno sulla cronaca e cercano di divulgarla al pubblico nel modo più comprensibile, cioè più basico possibile (di qui, per esempio, i continui “riassunti” che il conduttore riserva alle dichiarazioni degli ospiti in favore delle ridotte facoltà mentali dei telespettatori). Rimanendo sulla cronaca e sulla semplificazione, la pubblica opinione non ha spessore diacronico: vive in un eterno presente ed è nemica della complessità. L’obiettivo strategico di base, d’altra parte, è per tutti questi soggetti quello di attirare la nostra attenzione (su notizie fresche) e venderla al miglior offerente.

Ma a questo giro è capitato qualcosa di peggio.

«Il sostegno indiscriminato che i media hanno garantito al Governo: che è legittimo come ogni altra cosa, ma va fatto in modo argomentato e leale. L’idea che in emergenza non si possa disturbare l’uomo solo al comando è invece poco convincente e pericolosa: e peraltro incoerente rispetto alle critiche che sono piovute giustamente su tutti gli altri, dalla Regione Lombardia (e ci mancherebbe altro) all’Oms, da Trump a Macron. […] Non credo che i media siano stati imbeccati dal sistema politico né credo che il pubblico sia stato plagiato dai media. […] Credo che invece siamo alla confluenza di tre spinte diverse: dall’alto, il desiderio delle istituzioni di nascondere le responsabilità per la gestione fallimentare dell’epidemia; dal basso, la deriva verso la delazione di una maggioranza di persone impaurite; nel mezzo, la passione dei giornalisti per lo stereotipo, e il loro compiacimento per gli indici di ascolto che salgono, di qua, e per le battute paternaliste dei potenti di turno, di là. All’incontro di queste tre forze, si è formata la tempesta perfetta.» Oltre alla difficoltà di orientarsi davanti alla proliferazione di fonti e di dati, non di rado in contraddizione tra loro. «Ma non è un buon motivo per generare altro rumore, intervistando decine di virologi su base quotidiana».

Andrea Miconi, op. cit., pp. 88-90.

La conseguenza è che nessuno nel mainstream si è ancora accorto o ha dato la notizia del fatto che siamo nel pieno di una rivoluzione politica, non di una guerra: la guerra, semmai, verrà dopo.

La censura

Quindi è fatale che il «conformismo cooperativo» (Giovanni Liotti) dei media produca la compressione della libertà di opinione: la censura di fatto, come quella “agile o smart”, ma anche le notizie inventate di sana pianta, l’esaltazione dei lealisti e la denigrazione dei contro-rivoluzionari, insomma tutta la propaganda che dobbiamo sorbirci dalla mattina alla sera ormai da quattordici mesi, sono la conseguenza di questa prospettiva militare adottata dai media (e dai social media, che sono il nuovo campo di battaglia al posto delle piazze reali). Così perfino un’articolata comparazione dei dati in favore della riapertura in sicurezza delle scuole, per quanto ammessa al «salotto buono» del mainstream, viene fatta suonare come uno studio opinabile tra altri più esatti di segno contrario, nonostante la scuola in Italia abbia subìto il maggior sacrificio in termini di giorni (e alunni) persi, malgrado sia sempre stata la prima a chiudere e l’ultima ad aprire.

L’istruzione è diventata sacrificabile sull’altare della «lotta alla pandemia», insieme al resto di tristemente note «attività non essenziali»: questo il massaggio terribile che è stato fatto passare. Figuriamoci se qualcuno osasse fare la stessa operazione di verità su aspetti meno urgenti, come per esempio il confronto tra i dati di Paesi aperturisti e chiusuristi, la contestazione della logica del «peggior scenario possibile» e del principio di massima precauzione applicato a una sola malattia per volta, senza alcun contemperamento con la logica del minor danno o con l’impiego del principio di prevenzione, l’ideologia del “contatto zero, rischio zero, contagio zero” che porta a uno stallo tendenzialmente irrisolvibile e via dicendo: l’intero campo discorsivo è stato bollato con l’accusa di negazionismo/complottismo/fascio-aperturismo. Ma questa censura avvantaggia la comprensione del problema e quindi la possibilità di uscirne davvero?

Omologia tra l’andamento di peste e rivoluzione: la scopa del sistema

In questa fase rivoluzionaria di annunci terroristici e controannunci ispirati a ottimismo, volta a volta si ripercorrono le curve della stessa sinusoide epidemiologica, il moto mai rettilineo né rotatorio della scopa, che è fatto invece di avanzamenti e arretramenti in direzione dello spazio da pulire.

Richiamo qui l’immagine che Luciano Canfora prende a prestito proprio da Manzoni, la scopa di Don Abbondio, per indicare quel moto violento della storia che ha nome di rivoluzione:

«L’andamento a spirale del movimento storico lo si può osservare allo stato puro se si pone mente a quel ciclico fenomeno di rottura che gli storici chiamano “rivoluzione”.»

Luciano Canfora, “La scopa di Don Abbondio. Il moto violento della storia”, p. 43.

«Si sa che le grandi crisi – quelle a cui allude Don Abbondio con l’immagine della “scopa” – non solo rimescolano le carte e innescano nuovi e diversi rapporti di forza, ma fanno saltare molte “filosofie” della storia, e impongono una rinnovata riflessione sul senso di essa.

Luciano Canfora, op. cit., p. 47.

La grande crisi a cui allude Don Abbondio nel capitolo XXXVIII dei Promessi sposi è quella prodotta dalla peste, naturalmente. Ed è istruttivo che Canfora vi sovrapponga l’immagine della rivoluzione, per indicare quel «moto violento della storia» che «rimescola le carte e innesca nuovi e diversi rapporti di forza», procedendo a spirale, con movimenti avanti e indietro, in cui «nessun ritorno è davvero un ritorno al punto di partenza e nessuna restaurazione è davvero tale».

«Un esempio perfetto di ritorno ma non al punto di partenza è il fenomeno messo in luce da Tocqueville […] dedicato ad un bilancio della Rivoluzione francese. Lì Tocqueville […] rileva la continuità ricompostasi ben presto, nonostante la lacerante rottura: il riemergere, nella bufera della rivoluzione, che pure tanti istituti aveva abbattuto, del centralismo tipico della monarchia francese, già nella gestione giacobina del potere e poi con Bonaparte. […] Ma tutto ciò convive col mutamento. “Il denominantore cadde – scrive ancora Tocqueville a proposito dello sfociare delle rivoluzione nel dispotismo iper-centralistico di Bonaparte –, ma quello che di più sostanziale aveva l’opera sua restò in piedi; morto il suo governo, la sua amministrazione continuò a vivere, e dopo, ogni volta che si è voluto abbattere il potere assoluto, ci si è limitati a porre la testa della libertà su un tronco servile

Luciano Canfora, op. cit., pp. 47, 48, 49.

Cogliamo oggi la tetra omologia dell’andamento, in una prospettiva storico-politica convergente tra peste e rivoluzione, al cospetto delle curve epidemiologiche e delle corrispettive “contromisure” politiche.

Il primo colpo di scopa è stato quello – liberticida – del grande vuoto, che apre un futuro di possibilità per tutte la parti in gioco. Futuro contro passato, dunque, dentro un autentico moto rivoluzionario di tipo messianico: infatti l’idea di tornare alla normalità/normatività precedente, sconsolatamente rimandata in avvio di transizione, è stata elusa con decisione dallo slogan artistico «non torneremo alla normalità, perché la normalità era il problema», per poi scomparire quasi del tutto dai radar del discorso pubblico. Il primo colpo di scopa, infatti, ha reso possibile proprio questo: mettersi al lavoro «per salvare il mondo» con forza e determinazione, prendendo tutto il tempo necessario per terminare le operazioni di pulizia e intanto estrarre, dallo stato di igienizzazione permanente, la maggiore utilità possibile.

«Il primo colpo di scopa ha reso possibile proprio a questo: mettersi al lavoro «per salvare il mondo» con forza e determinazione, prendendo tutto il tempo necessario per terminare le operazioni di pulizia e intanto estrarre, dallo stato di igienizzazione permanente, la maggiore utilità possibile.»

L’operazione igienico-messianica procede, lungo la sua durata, seguendo un’unica direzione verso la quale convergono le forze dei più e nel contempo presenta un andamento basculante che la rende tollerabile. Dopo l’esecuzione del primo lockdown totale, con le forze civili e militari schierate nelle strade per mettere in scena terrore e deterrenza (progressione), è seguito un ammorbidimento dei controlli in tutte le ondate securitarie successive (pseudorestaurazione). Il fallimento del lockdown totale come modello sanitario non è stato neanche preso in considerazione – la decisione di un governo sovrano diventa “ragione di Stato”, che come tale andrà giudicata –, si è solo preso a declinarlo per fasce di colori e gradazioni di intensità più o meno intense, arbitrarie, liberticide, ma in progressione costante. Stesso andamento per la campagna di vaccinazione: all’inizio le fonti istituzionali europee e italiane hanno dichiarato che non ci sarebbe stato alcun obbligo (pseudorestaurazione), ma il decreto legge del 1 aprile ha appena inserito una forma di estorsione (progressione) – su modello della legge Lorenzin del 2017, che ha fatto da apripista ideologico –, per la sola categoria degli operatori sanitari, in ragione delle loro mansioni e del loro “giuramento di lealtà alla scienza”, mentre al momento non riguarda nessun’altra categoria (pseudo-restaurazione) se non in prospettiva, per la necessità di viaggiare o di accedere a eventi collettivi (progressione). Nel frattempo, ci hanno già annunciato che i vaccini non proteggono sempre dal contagio, visto che i trial di sperimentazione sono stati fatti sulla cura dei sintomi e ancora non danno indicazioni sulla capacità di interrompere la trasmissione, ma concorrono alla diminuzione dei ricoveri e dei decessi, a patto di chiudere la campagna nel minor tempo possibile: dobbiamo vincere questa «guerra lampo» vaccinale costi quel che costi, altrimenti rischiamo che si sviluppino nuove varianti, magari prodotte proprio dalla presenza dei vaccini per via della «pressione selettiva». Le Regioni sono dunque invitate ad accelerare le operazioni: in caso contrario, il mancato raggiungimento degli obiettivi di copertura vaccinale inciderà negativamente nel calcolo dei “parametri” per le riaperture.

Una facile previsione

Con questo, ci hanno già annunciato lo scenario successivo (progressione): il generale Figliuolo non è al comando della Wehrmacht, i vaccini non immunizzeranno la popolazione, in autunno saliranno i contagi e dovremo ricominciare daccapo – come in Cile – coi lockdown graduati a catena e in più con una nuova tornata di estorsioni vaccinali, nel 2022 come nel 2023.

«Ci hanno già annunciato lo scenario successivo: in autunno saliranno i contagi e dovremo ricominciare daccapo coi lockdown “soft” a catena e in più con una nuova tornata di estorsioni vaccinali, nel 2022 come nel 2023.»

La massa potrebbe accettarlo?

Sì, poiché sei mesi di bella stagione consentiranno ai più di rifiatare, sperare, dimenticare i sacrifici dell’inverno e buona parte di quanto promesso (pseudorestaurazione): esattamente come accaduto l’anno scorso, ma a un livello più stringente di prescrizioni e restrizioni complessive.

L’importanza simbolica della campagna di vaccinazione di massa

Qui entra in gioco Big Pharma e il modo in cui funziona la medicina occidentale.

Abbiamo già constatato, tollerandolo, che il piano pandemico non è stato aggiornato dal 2006, che il 22 febbraio 2020 il Ministero della Salute ha comunicato a tutti i medici del territorio che si era in presenza di un virus per il quale «non esisteva alcuna terapia» e i pazienti andavano disincentivati dal ricorso autonomo ai servizi sanitari, al pronto soccorso, al medico di medicina generale, che sono state sconsigliate le autopsie, che in capo a un anno le terapie intensive hanno sempre problemi di capacità, che è stato insabbiato un dossier Oms dove la gestione della crisi da parte del governo italiano veniva definita «caotica e improvvisata», che i medici di base hanno continuato e continuano a lavorare col protocollo «vigile attesa e tachipirina», ma soprattutto che nessuna terapia tra le molte disponibili ha guadagnato una validità prevalente, nonostante l’esistenza di cure precoci e farmaci disponibili fin dal marzo 2020 – l’elemento forse più tenebroso di tutta questa vicenda –, così da indirizzare risorse e attenzioni specialmente ai vaccini, che da soli non possono restaurare in alcun modo la «vecchia normalità».

Com’è stato possibile?

Al di là delle responsabilità politiche e amministrative nella gestione della crisi, che ci auguriamo verranno accertate nel corso di procedimenti giudiziari, bisogna tenere a mente che la medicina occidentale è orientata alla cura del sintomo, non alla rimozione delle cause,** mentre il vaccino – tra tutti i farmaci e le terapie, comprese quelle preventive –, costituisce una «panacea» dall’altissimo valore simbolico, in un processo messianico-rivoluzionario, perché rappresenta il momento della scelta, dell’appartenenza e dell’arruolamento: o dentro o fuori.***

«Il vaccino costituisce una «panacea» dall’altissimo valore simbolico, in un processo messianico-rivoluzionario, perché rappresenta il momento della scelta, dell’appartenenza e dell’arruolamento: o dentro o fuori.»

A questo livello estremamente simbolico, aggirare il diritto al consenso attraverso l’imposizione dell’obbligo è un pericoloso passaggio verso l’edificazione dello Stato etico, che poi è il sogno di purezza e perfezione di ogni processo messianico-rivoluzionario: c’è bisogno che gli interessi della collettività prevalgano, a maggioranza e in modo permanente, sui diritti inviolabili dei singoli, anche se come abbiamo visto i vaccini sono stati sviluppati più per contenere i sintomi che la trasmissione del virus. Questo è un bisogno politico, non sanitario: chiamare a raccolta il popolo e la sua «sovranità» e necessità storica davanti al pericolo (e ai lacci dello Stato di diritto) è il fondamento di ogni «democrazia totalitaria».

«Il modello destabilizzante riconosciuto da Manzoni è un modello al quale, consciamente o inconsciamente, si allinearono tutti i successivi agenti sul palco della Rivoluzione, mascherandosi surrettiziamente volta per volta sotto l’immagine del popolo o della necessità storica o del pericolo interno ed esterno. Il “popolo” […] è la radice di ogni ingovernabilità, ma insieme il fondamento di ogni governo o legislazione d’emergenza. Il luogo dove il sogno orgiastico della peste incontra il sogno politico della peste. Questo è il vero fantasma che si aggira per l’Europa dopo il 1789, e di sicuro quello che toglieva il sonno a Manzoni

Solo il popolo può concedere ai suoi rappresentanti i “pieni poteri” per cambiare i presupposti costituzionali dello Stato di diritto e della società aperta in quelli arbitrari dello Stato etico e della «comunità» chiusa, immunitaria: una comunità ideologica e dogmatica, questa, che non si limita a riconoscere il valore fondante dell’etica, come avviene nella società aperta, ma che impone una sola visione etica, un pensiero unico, un fine ultimo, che coincide fatalmente con la volontà dello Stato. Per effettuare una rivoluzione del genere bisogna unire il popolo e il popolo viene raccolto in una comunità omogenea eticamente orientata con la mobilitazione di massa, non con le cure precoci e i farmaci disponibili.

Qui c’è il punto di confluenza tra gli obiettivi di controllo dei governi occidentali e quelli «terapeutici» di Big Pharma, il cui «scopo sommerso» – ma neanche tanto – è quello di costruire una comunità di eterni pazienti, perennemente in cura farmaceutica, ammalati, schedati, tracciati, una forma di lucrosissima sudditanza in cui i nostri diritti sono sempre sotto condizione e legati al rapporto tra salute e malattia, che ha sublimato quello precedente tra innocenza e colpevolezza: in questa comunità terapeutica totale saremo tutti presunti malati invece che presunti colpevoli, ma le conseguenze giuridico-politiche del ribaltamento concettuale dello Stato di diritto sono le stesse.

Già oggi sperimentiamo la forza estorsiva di questa coscrizione di massa: o dentro o fuori e chi sta fuori è l’untore, il novax, il negazionista, il complottista, il bandito, il problema, il reietto, il colpevole, il traditore della patria, il narcisista patologico, l’egoista omicida, il parente scemo, la pietra dello scandalo, il capro espiatorio su cui sfogare la pressione psicologica in atto. Benvenuti (o sarebbe più opportuno dire bentornati) nel mondo dell’inclusività esclusiva.

L’assedio “etico” all’art. 32 della Costituzione e ai diritti inviolabili dei singoli: «La salute al primo posto»

Articolo 32 Costituzione

«La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.»

Primo paragrafo. «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.»

Spiegazione: il diritto alla salute – ovvero alla integrità fisica e psichica –, appartiene ai singoli, la collettività non ha un diritto fondamentale e inviolabile, ma un interesse, che è più debole di un diritto ed è più debole perché la democrazia, che decide a maggioranza, non può soverchiare i diritti dei singoli, può solo impegnare lo Stato verso il benessere dei propri cittadini attraverso la prevenzione e le cure. Definendo meglio i contorni del concetto in questione, il diritto alla salute implica in senso negativo l’assenza di malattia, in senso positivo lo stato di «completo benessere fisico e mentale» (definizione di salute dell’Oms). Possiamo sostenere che l’ultimo anno rappresenti l’espressione di questo concetto di salute?

Secondo paragrafo. «Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.»

Spiegazione: Il diritto fondamentale alla salute, che appartiene ai singoli e non alla collettività, non può essere in alcun modo sospeso, coartato, soppresso. A meno che non si intervenga, su un singolo, in base a quanto viene stabilito dalla legge (trattamento sanitario obbligatorio) e con la garanzia del controllo dell’autorità giudiziaria.

All’articolo 32, la Costituzione sancisce in altri termini il diritto di rifiutare le terapie o viceversa di accettarle solo attraverso il consenso informato. Tutto l’articolo, ma in particolare il secondo paragrafo, dal punto di vista storico è diretta espressione del processo di Norimberga, durante il quale si dovettero giudicare le responsabilità di medici e alte cariche appartenenti al Terzo Reich: uno Stato che aveva elevato il crimine a sistema legale all’inseguimento di un sogno di purezza e «igiene razziale». In seguito alla comparsa del nazional-socialismo nella storia, i giudici estrassero dei princìpi generali di carattere giusnaturalistico – ovvero dei princìpi di diritto naturale, universali, validi al di là dei singoli ordinamenti –, e li vollero fissare nel cosiddetto Codice di Norimberga. Il Codice Norimberga fu poi recepito da diversi Trattati comunitari e internazionali – firmati anche dal nostro Paese –, e nei princìpi costituzionali di molte delle nazioni coinvolte nella Seconda guerra mondiale. Si intendeva, in questo modo, scongiurare la possibilità che potesse ricapitare qualcosa di simile a quanto avvenuto nella Germania degli anni Trenta, in seguito alla vittoria elettoriale del partito di Hitler e alla dichiarazione dello stato di emergenza ex art. 48 della Costituzione della Repubblica di Weimardopo l’incendio del Reichstag –, che porterà alla dittatura e alla guerra. L’articolo 32 della nostra Costituzione, insieme a molte altre garanzie, è uno di questi princìpi innovativi, a tutela dello Stato di diritto e della società aperta.

Ora la Corte Costituzionale ha già stabilito, in passato, che l’obbligo vaccinale non è in contrasto con l’art. 32, a patto che venga disciplinato da una legge e che lo Stato risarcisca il singolo – la cui salute non è sacrificabile all’interesse collettivo –, per eventuali effetti avversi (con un difficile percorso processuale e indennità spesso inconsistenti, ma questo è un altro discorso). Quanto alla proporzionalità delle sanzioni, in caso di rifiuto, è evidente che debba essere tratta dall’ordinamento. E l’ordinamento non prevede che queste sanzioni possano violare o eludere altre garanzie costituzionali come il diritto/obbligo d’istruzione dei minori (art. 34 Costituzione, principio a cui si è attenuta, per esempio, la legge Lorenzin 119/2017), la dignità personale e sociale (art. 2, art. 3), la libertà di opinione (art. 21), il diritto al consenso (art. 32), il diritto al lavoro (art. 4); a maggior ragione se i vaccini sono stati approvati con procedura d’urgenza e “sotto condizione”, mancano di valutazione dei rischi e degli effetti sul lungo periodo, inseriscono nei fogli d’istruzione le reazioni più o meno gravi e frequenti che vengono man mano registrate dalla farmacovigilanza, determinano morti sospette, che rovesciano il rapporto costi/benefici nella fascia anagrafica meno colpita dalla Covid, prevedono “scudi penali” per chi li produce e per chi li somministra, ovvero sono vaccini a tutti gli effetti in fase di sperimentazione (mentre la Tachipirina, spesso tirata in causa per dimostrare che già facciamo uso di terapie pericolose, oltre a non essere un farmaco in alcun modo obbligatorio, non è un farmaco sperimentale).

E invece no. Lo Stato decide come curare, con quali farmaci o protocolli, chi può fregiarsi del titolo di medico e quanti gli impostori da mettere all’indice. Chi governa è tornato ad avere le doti dei Re taumaturghi. Si è sostituito alla medicina, e la medicina si è prestata. Ricorda qualcosa?

La leva etica del principio di massima precauzione

Il governo dichiara, per parte sua, di trarre legittimazione da princìpi essi stessi etici, universali, naturali – e quindi preminenti su qualunque codificazione –, come la salvaguardia della salute pubblica davanti a un pericolo, non importa se attuale o in potenza, perché esercitata nelle forme del «princìpio di precauzione». Il principio di precauzione, se non addirittura «di massima precauzione», non è mai stato citato tanto come in questa fase storica, al punto che l’incresciosa difesa del ministro della salute Roberto Speranza da parte di una buona fetta dell’intellighenzia di sinistra passa oggi proprio da qui. Il principio di precauzione, tuttavia, è un principio etico che non si può “decodificare” al livello costituzionale, poiché la Costituzione non lo menziona. Invece non solo l’esecutivo ha sollevato questo principio sopra il rango costituzionale, ma lo ha sostituito all’onere della prova, che grava sempre su chi intende agire un diritto, e al principio di proporzionalità (ovvero alla proporzionalità e adeguatezza delle misure adottate per ottenere uno scopo preminente su altri diritti), che invece sono principi di base dell’ordinamento, da applicare a maggior forza quando le misure investano i diritti fondamentali della persona. Come scrive Carlo Cuppini, «oggi una serie di studi portano le prove di segno opposto, smontando numerose parti del mito della Covid come “malattia incurabile e ad alto grado di infezione” costruito, a monte, sulla base di congetture e peggiori scenari possibili» – quindi sul piano culturale e simbolico, ossia politico, non sanitario – «come la possibilità di contagio all’aperto, quella di infezione attraverso il contatto con superfici contaminate, il ruolo della scuola nell’amplificazione del contagio, l’ineluttabilità della gestione ospedaliera del malato sintomatico, solo per fare qualche esempio. Una dimostrazione lampante di questa mentalità rovesciata si trova in un recente tweet (14 aprile) di Roberto Burioni, uno dei più influenti aedi – in qualche modo più o meno indiretto anche ispiratore – della gestione della crisi: perché non ha detto prima che le attività all’aperto sono meno pericolose? “Perché i dati che mi permettono di dire che sono meno pericolose sono disponibili da pochi giorni, e io non sono in grado di predire il futuro.”» Quindi il principio di precauzione, da allora a oggi e per molto ancora, viene prima dell’onere della prova e del divieto di eccedenza (o principio di proporzionalità).

La Corte Costituzionale ha apertamente affrontato la materia del principio di precauzione in una sentenza del 2006:

Nella sentenza n. 116 del 2006, la Corte Costituzionale afferma che «l’imposizione di limiti alla libertà di iniziativa economica, sulla base dei principi di prevenzione e precauzione nell’interesse dell’ambiente e della salute umana, può legittimamente avvenire soltanto sulla base di indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite tramite istruzioni ed organismi, di norma nazionali o sopranazionali, a ciò deputati, dato l’essenziale rilievo che, a questi fini, rivestono gli organismi tecnico-scientifici

La presenza di un Comitato tecnico-scientifico e la linea diretta con l’Oms vanno nel segno di queste indicazioni, ombre anche gravi a parte. Ma il Cts e l’Oms sono pur sempre organismi politici. Qualcuno ha sentito “profumo di scienza” nelle decisioni dell’ultimo anno? La loro consulenza ha fornito «indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali»? Il governo le ha rispettate? Nelle carte dei verbali del Cts – “desecretati” lo scorso settembre dopo insistenti richieste, visto che le misure venivano emanate per così dire al buio, senza che i pareri del Cts fossero noti all’opinione pubblica –, intanto emerge che gli esperti non suggerivano né la chiusura delle scuole né il lockdown generalizzato a tutto il Paese. Lo studio che la Fondazione Kessler presentò all’Istituto superiore di sanità prevedeva invece 70mila morti entro la fine del 2020 se non si fosse chiuso subito tutto: la chiusura c’è stata, ma il numero di morti resterà lo stesso della previsione. Questa è stata una scelta politica, un vero e proprio atto rivoluzionario, e infatti continua a produrre effetti politici o politico-culturali e non sanitari. Dal punto di vista sanitario, anzi, il disastro continua a prodursi, consentendo la prosecuzione del moto rivoluzionario di Palazzo, «democratico e popolare».

Al netto di quanto è poi accaduto, le indicazioni che la Corte Costituzionale forniva nella sentenza del 2006 dove si menziona il principio di precauzione, non erano conclusive. Ragionevoli le considerazioni di questo articolo: «Si può notare come la Corte Costituzionale abbia richiamato congiuntamente i principi di precauzione e prevenzione, mentre la dottrina ne propone di solito una interpretazione in cui dovrebbero essere alternativi, confermando quindi una difficoltà a delineare un vero e proprio spazio autonomo del principio di precauzione

«Il principio di precauzione non ha uno spazio autonomo nel nostro ordinamento.»

Dunque il principio di precauzione non ha uno spazio autonomo nel nostro ordinamento. Su queste basi, diventa quanto mai arbitrario eleggerlo a faro dell’attività di governo e applicarlo in forza del «peggior scenario possibile» e di atti esecutivi a breve scadenza, reiterati, privi tanto dell’onere della prova e del principio di proporzionalità quanto dei tempi tecnici per l’impugnazione, come i Dpcm o le ordinanze di Sindaci e Governatori, che vanno a imporre limiti inauditi, arbitrari e persistenti non solo alla libertà di iniziativa economica, al lavoro, all’istruzione, ma anche alla libertà e alla dignità personale, al principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, alla libertà di circolazione e perfino di opinione e di consenso al trattamento sanitario obbligatorio. A meno che, naturalmente, non si tratti di un processo rivoluzionario che fa un uso politico/performativo del concetto di salute pubblica e soprattutto del principio di precauzione e di prevenzione. E in cosa consiste questo uso? Per l’appunto nel tentativo di imporre una concezione dello Stato etico al posto dello Stato di diritto, tendenza tipica del moto violento della storia e di tutti i suoi sostenitori.

Scenari 1: l’edificazione dello Stato etico

Il decreto legge del 1 aprile, all’art. 4, lo dimostra in maniera plastica. Istituisce, infatti, un vero e proprio obbligo vaccinale per il personale sanitario allo scopo di mettere in campo, esattamente come la legge Lorenzin del 2017, una campagna di promozione vaccinale muscolosa: solo che aggiunge, al modello della legge per l’obbligo vaccinale precedente, una serie di sanzioni accessorie sproporzionate e incostituzionali, come il demansionamento (che viola la dignità personale e l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge: art. 2 e 3 Costituzione) o la sospensione dello stipendio (che viola il diritto al lavoro) o il deferimento della inosservanza dell’obbligo vaccinale al datore di lavoro e all’Ordine professionale di appartenenza (violazione della libera manifestazione del pensiero e del diritto alla riservatezza: art. 21 e 15 Costituzione e legge di tutela della privacy 675/1996).

6. Decorsi i termini di cui al comma 5, l’azienda sanitaria locale competente accerta l’inosservanza dell’obbligo vaccinale e, previa acquisizione delle ulteriori eventuali informazioni presso le autorita’ competenti, ne da’ immediata comunicazione scritta all’interessato, al datore di lavoro e all’Ordine professionale di appartenenza.

Possiamo auspicare, allo stesso modo di quanto accadde in sede di conversione del decreto 2017, che in Parlamento determinati articoli di questo decreto d’urgenza verrano ammorbiditi (pseudorestaurazione), ma per i prossimi 60 giorni la legge è questa e svolgerà il suo compito ricattatorio di propaganda vaccinale, a tutti gli effetti estorsivo (progressione). Tipico di un processo messianico-rivoluzionario, infatti, è arrogarsi il potere, sul piano etico, di eseguire delle «giuste ingiustizie». L’intero ultimo anno, in Occidente, se ci pensiamo è stato vissuto all’insegna della «giusta ingiustizia», che è concetto squisitamente rivoluzionario.

«Tipico di un processo igienico-rivoluzionario è arrogarsi il potere, sul piano etico, di eseguire delle «giuste ingiustizie». L’intero ultimo anno, in Occidente, è stato vissuto all’insegna della «giusta ingiustizia», che è concetto squisitamente rivoluzionario.»

I tamponi, per esempio, sono obbligatori? E la misurazione della febbre? Sulla carta, in termini di diritto codificato, no. Nella pratica rivoluzionaria, senza tampone non rientri a scuola e in molti luoghi di lavoro, dopo una malattia o una segnalazione di “contagio”, non importa se asintomatico (e lo sono l’80 % dei casi); senza misurazione della febbre, resti a terra o non entri in molti luoghi pubblici e privati. Un combinato disposto di riprovazione sociale, paura, ricatto, caos legale, discriminazione, atteggiamento estorsivo da parte delle istituzioni e delle forze dell’ordine, infonde valore di legge alle dichiarazioni che si leggono sui social e in tv. Per non parlare delle mascherine: l’art. 85 del Tulps – una legge dello Stato mai abolita o derogata, tuttora in vigore insieme all’obbligo contrario, da Dpcm –, vieta di travisare il volto. Eppure, non c’è luogo in cui sia possibile evitare di indossarla, alle viste di un altro essere umano. Il «cittadino responsabile» si sente incaricato di un compito superiore, collettivo, e redarguisce chi venga colto in fallo neanche fosse un pubblico ufficiale o una guardia della rivoluzione. Oppure denuncia il fatto alle autorità di pubblica sicurezza, come mai accaduto prima in Italia. Sono gli autoproclamati «anticorpi» della nuova società immunitaria. C’è addirittura chi si sforza di trovare il modo per dare una possibile rilevanza penale al cosiddetto negazionismo e incolpare di epidemia colposa o dolosa coloro che agiscono la disobbedienza civile contro disposizioni aleatorie, incostituzionali e differenti da Paese e a Paese perfino all’interno dell’Unione Europea, mentre proprio chi le ha stabilite dovrà rispondere di questa stessa accusa, insieme a molte altre, alla sbarra di Bergamo.

In modo altrettanto persecutorio, estorsivo, e nella più completa illegittimità, presto la mobilità e la socialità saranno condizionate al “Green pass Covid”.

La carta di accesso ai servizi, alla socialità e alla mobilità sotto condizione immunitaria è una novità assoluta, nell’Occidente uscito dalla Seconda guerra mondiale e dalla lotta di liberazione dal nazi-fascismo. Si tratta con ogni evidenza di un principio estorsivo e discriminatorio, scientificamente infondato – come si fa a stabilire che una persona, per quanto vaccinata o immune, non sia comunque contagiosa? –, anche se viene spacciato come una «giusta ingiustizia». Mentre i lockdown, per quanto liberticidi, si applicano all’intero corpo sociale, con l’istituzione del certificato vaccinale digitale europeo il mutamento prospettico è decisivo: dal 1 giugno viene ufficializzata, in termini normativi, la figura discriminatoria dell’untore. Se prima eravamo tutti potenziali malati, perché così è considerata la società nel suo insieme, adesso è possibile individuare un preciso capro espiatorio: l’infetto che è tale solo perché si è macchiato di “tradimento” della campagna vaccinale o del tracciamento, neanche stessimo tornando ai tempi della legge sulla slealtà contro lo Stato della Germania rivoluzionaria (W. Shirer, Storia del Terzo Reich). Certo al momento si tratta “solo” della cessione dei nostri dati sensibili, quelli sanitari, allo scopo dichiarato di “salvare l’economia turistica” e per un tempo limitato all’emergenza. Tuttavia, dal punto di vista simbolico, parliamo della costruzione di un database internazionale e dell’assoggettamento della nostra libertà di circolazione alla Causa terapeutica: un atto di fiducia cieca, pronta, assoluta, che viene estorto per mezzo di un ricatto. E chi nega il consenso o non si ci sta? Non ha più gli stessi diritti degli altri, le persone conformi agli standard previsti della “pura razza immune”. Qui corre un brivido lungo la schiena, se si ha un po’ di conoscenza storico-politica e non si crede che bastino due saggi, quattro romanzi e una decina di film per dire di aver capito cosa è successo in Europa lo scorso secolo e perché quanto accaduto riguardi noi tutti. Nel 1933 Adolf Hitler decise di dar vita al cosiddetto “Der Ahnenpaß” (letteralmente «passaporto genealogico»): era un documento personale utilizzato dal regime nazista per certificare che un cittadino fosse considerato “ariano”, con un “sangue puro”; delirante nei criteri genealogici, agli effetti pratici si trattava di un pass che permetteva ai “puri” di attraversare le frontiere del Reich come di accedere ai musei, agli edifici pubblici, ai teatri, allo studio e al lavoro – tutti luoghi man mano proibiti agli ebrei nel corso della campagna di «igiene razziale» per sconfiggere la «malattia» che ammorbava la Germania. Il 28 febbraio del 1933 , con «il Decreto Presidenziale per la Protezione del Popolo e dello Stato, von Hindenburg conferisce poteri d’emergenza alla coalizione di governo formata dal Partito Nazista e dalla DVP e guidata da Hitler. Il decreto, che verrà poi ribattezzato Decreto del Rogo del Parlamento, viene giustificato con la paura di una rivoluzione guidata dai Comunisti, paura a sua volta enfatizzata dalla propaganda nazista. Con questa legge vengono sospesi i diritti civili e viene autorizzata l’incarcerazione di individui ritenuti sospetti, senza bisogno di un regolare processo. Inoltre, al governo centrale è riconosciuta l’autorità di annullare le leggi statali e regionali e di rimuovere le amministrazioni locali.» In questi mesi il Parlamento federale tedesco ha elaborato la controversa Legge per la protezione dalle infezioni, altrimenti nota come «freno di emergenza»: la nuova legge non ha un criterio fondato scientificamente, in quanto l’indice di contagio per le chiusure è tarato su 100 positivi ogni 100mila abitanti; al superamento della soglia algoritmica, scatta in automatico il coprifuoco alle 22, la sospensione dei diritti fondamentali già prevista fin qui in via emergenziale, la centralizzazione del potere a scapito dei Länder su materie di loro competenza. La cosa più grave è che queste disposizioni non riguardano un periodo limitato, ma sono operative dalla promulgazione in avanti – la firma del Presidente della Repubblica è del 22 aprile –, in quanto la legge non ha una scadenza. Avete capito bene: da ora e per sempre. Ciò detto, il confronto con l’epoca più tenebrosa del nostro passato non si può certo fare sul piano meramente morfologico: le sanzioni restano pecuniarie e di natura amministrativa, non penale, ma questo non significa che non si stia profilando anche lì una deriva di tipo autoritario. Come abbiamo visto, infatti, il moto rivoluzionario non si presenta mai allo stesso modo, cambia morfologia, pur tenendo a denominatore il principio “totalitario” dello Stato etico. Oggi siamo davanti al Leviatano concepito da Hobbes, ma sembra Cristo in croce: dobbiamo erigere lo Stato assoluto temporaneo per salvare gli anziani, gli immuno-depressi, i più deboli, non certo per ingegnerizzare il super-uomo.

«Siamo davanti al Leviatano concepito da Hobbes, ma sembra Cristo in croce: dobbiamo erigere lo Stato assoluto temporaneo per salvare gli anziani, gli immuno-depressi, i più deboli.»

Questo nuovo paradigma messianico rappresenta l’esatto ribaltamento del paradigma eugenetico nazista, ma è pur sempre un paradigma assolutistico, con tutti i crismi dell’articolo di fede: infallibile, necessario, incontestabile. Non è un caso che il Vaticano abbia fin dall’inizio avvalorato la Causa terapeutica: la tensione ideale del nuovo paradigma sanitario riveste un potere suggestivo che non può lasciare indifferente nessuno, figuriamoci una teocrazia. Invece gli anziani continuano a morire, anzi, ne sono morti tanti, anche per altre patologie, proprio a causa dei lockdown come delle terapie e dei protocolli sbagliati; i vaccini riducono ai minimi termini la gravità dei sintomi ma ancora non sappiamo in che misura e per quanto tempo riducano la trasmissione del virus; gli immuno-depressi dovranno sempre temere il resto di pericoli insiti nella loro condizione clinica; i più deboli sono di fatto coloro che stanno pagando la crisi più di tutti, dentro una fase di drammatico adattamento selettivo il cui termine viene costantemente rinviato.

Dunque la Causa è differente, diverso il paradigma e la sua presunta durata, ma gli effetti dello Stato etico totalitario restano gli stessi: discriminano, selezionano, gerarchizzano, patologizzano la società e nel complesso aumentano la sofferenza psico-fisica, economica e sociale delle persone non conformi, specie dei più deboli, degli inadatti e dei disadattati. Se il termine «eugenetica» sembra un marcatore linguistico di parte (io lo chiamo “portare testimonianza della storia”), si può comunque parlare di darwinismo sociale.

La conta dei decessi come costruzione della comunità sacra

Non è questo, tuttavia, l’unico ribaltamento di concetto che non ritorna al punto di partenza, non restaura il nazional-socialismo, ma lo conserva come «denominatore» implicito nel modo di funzionare della democrazia totalitaria e del moto rivoluzionario. Fosse solo un momento igienico, la partita potrebbe dirsi conclusa. Con il numero di decessi per numero di abitanti tra i più alti al mondo, l’intero Occidente dovrebbe portare i libri in tribunale e arrendersi all’evidenza: con il virus dobbiamo convivere, ripristinando lo Stato di diritto; l’eradicazione è impossibile, il contenimento totale è controproducente, la normativa d’emergenza irrazionale, incostituzionale e anti-scientifica. I vaccini andrebbero somministrati solo alle fasce a rischio, per ridurre ricoveri e decessi, mentre si dovrebbe puntare molto di più sulle cure domiciliari precoci: tanto basterebbe, alla buonora, per innescare la de-escalation emergenziale. Ma siccome siamo anche in un processo rivoluzionario, perfino la conta dei decessi, che occupa le prime pagine di tutti i media ormai è un anno i camion di bare a Bergamo come momento istitutivo del pubblico culto –, non viene percepita al pari di una disfatta totale dello Stato, come accadrebbe nel corso di un conflitto, ma quale dimostrazione della necessità di proseguire sulla stessa via: senza la repressione, infatti, sarebbe anche peggio. Questo è il dogma della fede terapeutica, il falso «onere della prova» che produce – tra tutte le possibili emergenze sanitarie e non sanitarie disponibili, tra tutte le conte dei decessi che si potrebbero fare –, la costruzione di emergenza prevalente. Ed è la cosa più oscena. Le vittime dello Stato etico e della democrazia totalitaria diventano i martiri della Rivoluzione, al punto che lo scorso 18 marzo viene loro frettolosamente intitolato uno spettrale «giorno nazionale della memoria», che suona alle orecchie del libertario come la parodia dell’Olocausto fatta dagli stessi carnefici, un po’ come la giornata (in memoria, è il caso di dire) della Terra, durante la quale abbiamo visto i grandi divoratori d’Occidente piangere per la sorte del pianeta blu. Come è stato possibile?

Proprio perché vale, fin dal principio, il seguente postulato: se qualcosa va storto nei piani di precauzione, che si vogliono legati dalla condotta collettiva, «la colpa è dei cittadini irresponsabili»; se qualcosa va storto nei piani di prevenzione, che senz’altro riguardano lo Stato e le Regioni – aumento della risposta ospedaliera e della medicina territoriale, delle terapie precoci domiciliari, dei trasporti, del numero di docenti per dimezzare le classi, della copertura vaccinale –, «la colpa è della pandemia». Come quando esonda un fiume perché ha il letto intasato di detriti, le casse di espansione cementificate e il corso deviato o intombato: di chi è la colpa? Ma del fiume, naturalmente!

In conclusione, la conta dei decessi, una volta individuato il capro espiatorio – e lo si è individuato subito, una volta posta la distinzione psico-poliziesca tra chi resta a casa e chi se ne va in giro a contagiare –, legittima la prosecuzione del moto rivoluzionario, produce un falso onere della prova, crea una «comunità sacra» di lealisti, di “puri”, che soppianta la società aperta (al contagio) dello Stato di diritto e delegittima gli oppositori facendoli passare, alla lettera, per agenti patogeni (della contro-rivoluzione).

«Il Comitato di salute pubblica non ha mai colpe “attuali”, è sempre in divenire, come la tecnologia: nel divenire rivoluzionario della necessità storica.»

Scenari 2: il Green Pass Covid come innesco del credito sociale

Qui confluiscono gli interessi di tutte le altre omologie funzionali, come Big Tech, Banche/Finanza, Big Pharma e «industrie dell’assembramento» vecchio stile. Il Green Pass Covid, dopo l’estorsione vaccinale, è la seconda leva necessaria, nelle vecchie democrazie fondate sullo Stato di diritto, per cancellare il diritto al consenso e raggiungere la prospettiva dello Stato etico e della democrazia totalitaria, un dispotismo che ibrida la Silicon Valley e la Cina post-maoista, dove diritti e libertà soggiacciono al dover essere collettivo.

L’introduzione del sistema di credito sociale è stata avviata nella Repubblica Popolare Cinese già da qualche anno: non sarebbe stato nemmeno concepibile, senza la tecnologia. Invito a guardare il documentario La società della sorveglianza – 7 miliardi di sospetti, realizzato da giornalisti indipendenti francesi, sulla società della sorveglianza in epoca pre-Covid: terrificante la parte conclusiva sul credito sociale nella dittatura cinese.

L’epoca post-covid ha determinato, col paradigma politico del lockdown totale, l’ingresso in una nuova fase di ingerenza diretta e pervasiva dello Stato nella vita delle persone. Si è parlato di spirito di comunità, di prevalenza del bene collettivo (della salute) sui diritti del singolo, si è adottato un sistema di premi e punizioni in relazione al comportamento sociale da tenere per far fronte a un “nemico invisibile comune”, dispositivi sanzionatori che non hanno quasi bisogno di essere applicati, abbiamo visto, perché fatti propri dalla maggior parte della popolazione e impiegati come un maglio – quello della riprovazione collettiva –, per controllare i comportamenti devianti, colpevoli, patogeni. Adesso è il momento del tracciamento e dell’identità digitale: stiamo dunque assecondando su base volontaria e per fini (teoricamente) «contigibili e urgenti» e umanitari, se non messianici, la costruzione di un immenso database capace di essere trasformato e impiegato, come in Cina, per l’avvio del sistema di credito sociale, che è appunto una forma di «civismo superlativo» (Agamben) assurto a religione di Stato.

Dove stiamo andando a parare, con questo ritorno al paradigma dello Stato etico? Vogliamo davvero, per sentirci “migliori”, i più aderenti possibile alla morale del bene comune, ridurci in schiavitù come macchine tra le macchine? In Cina, il sistema di credito sociale è diventato un modo per azzerare ogni forma di protesta, di dissenso, di condotta non conforme, senza fare uso della carcerazione, ed è impiegato per la conversione forzata dei dissidenti politici e delle minoranze etniche e religiose.

Per colmo di fortuna, in tanta sfortuna, abbiamo l’opportunità per comprendere il bivio davanti al quale ci troviamo. L’apparato tecnico-scientifico persegue i suoi scopi di “bio-sicurezza”, che sono un tutt’uno con le esigenze di consenso della politica e di controllo dei governi, a ogni livello, in quello che viene definito il «mercato della paura»: nel documentario succitato si fa riferimento soprattutto alle conseguenze – giuridico-legislative, oltre che tecnologiche –, dell’11 settembre, ma adesso siamo davanti a un’accelerazione molto più forte e duratura anche negli esiti (la legislazione d’eccezione, il Patriot Act dell’ottobre 2001, negli Stati Uniti è ancora in gran parte vigente, dopo 20 anni, come sono vigenti in Italia diverse disposizioni della legislazione di emergenza degli anni settanta). La fortuna sta nel fatto che nell’arco di questi mesi abbiamo per così dire potuto “guardare nel futuro”.

Una volta introdotto il concetto discriminatorio di pass vaccinale digitale, sarà facile sommarvi gradualmente nuove tipologie di infrazione alla condotta etica decisa dallo Stato e resa esecutiva dalla tecnologia. Il cashback e il presunto rischio di contagio “da contatto” per favorire l’ulteriore volatilizzazione della moneta, il factchecking dei siti «autorizzati» (ministero della verità), la censura virtuale (oscuramento) e tradizionale (epurazione delle voci dissidenti dai media), il Sistema Pubblico di Identità Digitale, la Carta di Identità Elettronica, la Carta Nazionale dei Servizi, il profilo social verificato, l’Eco Card per l’accesso ai «cassonetti intelligenti della differenziata»: la mappa tecno-metafisica della persona è pronta per ingabbiarci definitivamente al servizio del bene comune deciso dal Grande Fratello (quello di Orwell, non l’esperienza formativa di Casalino), dentro rapporti di forza sempre più asimmetrici e fuori dalla nostra portata, nella più completa dipendenza dalla tecnologia e dallo Stato.

E la democrazia totalitaria di tipo terapeutico è servita. Messianica, securitaria, immunitaria, concentrazionaria. Vittimista. Orientata all’ipocrisia e al ricatto. Discriminatoria.

Però avrà fatto anche cose buone – nel senso di utili.

Per esempio, si rafforza l’idea di autorità, di istituzione, di governo delle élite “competenti”, meglio se “scientifiche” e quindi progressiste per statuto, e nello stesso tempo si mette l’Occidente in condizioni di battersi alla pari con le tecno-democrature orientali, Cina e Russia in testa: è incredibile il numero di imprenditori, scienziati, intellettuali e travet che apprezzano il modo in cui funzionano questi Paesi, pare proprio che i tempi siano maturi per consegnarci mani e piedi al controllo totale, in cambio di sicurezza, assistenza, «ristori», buona condotta dei pregiudicati.

Uscire dall’illusione per uscire dall’incubo

Il compito dell’oppositore non è impedire che la Rivoluzione Covidista si compia, poiché come è emerso dall’analisi il moto violento della storia si è già compiuto e non si fermerà: tornerà indietro e poi di nuovo avanti, ma non si fermerà. Chi spera di poter tornare alla «vita di prima» è un illuso e continuerà a essere manovrato da questa illusione. Pensiamoci un attimo: è come pretendere di tornare indietro nel tempo, al dicembre 2019. Finché le persone continueranno a credere a un salto nel tempo, a una soluzione meramente restaurativa, e che questa soluzione dipenda dal fatto di eseguire alla lettera tutto quello che ci viene chiesto di fare oppure che sia sufficiente, tutto al contrario, inscenare qualche protesta perché il moto si interrompa, il moto proseguirà secondo il suo verso. Sono 14 mesi che il moto va avanti in modo progressivo e ci hanno già fatto capire che non finirà prima del 2025. Un bel piano quinquennale, in effetti, dà le sue garanzie di successo. E con questo non c’è bisogno di immaginare alcun complotto: la convergenza di interessi/omologie funzionali è enorme, come ho illustrato solo per difetto, e il conformismo cooperativo spinge nella direzione di protrarre il più possibile le condizioni di utilità per quanti ci guadagnano.

Possiamo credere che tutto questo sia accaduto in conseguenza di una serie di errori e di casualità catastrofiche, ovvero per imperizia, come nel caso del disastro di Chernobyl, che condusse al crollo dell’Unione Sovietica e alle guerre successive; oppure possiamo attribuire l’intero disegno a un solo demiurgo, come Bill Gates, o a un gruppo dedito agli studi strategici quale il Forum economico mondiale o ancora al piano di un Paese straniero come la Cina, che ci ha offerto il modello operativo, o tutte le cose insieme come nessuna di queste. In ogni caso, perizia o imperizia, colpa e dolo che siano, il moto rivoluzionario si è già compiuto, è dietro le nostre spalle, è un moto storico-politico, non meramente igienico-sanitario, e non può che continuare a produrre i suoi effetti. A questo livello di consapevolezza, si capisce molto bene cosa intendo quando dico che il movimento può solo essere progressivo nella direzione già segnata dall’evento rivoluzionario.

«Dobbiamo avere chiaro nella testa che il moto violento non si fermerà per la semplice circostanza che è già accaduto, è alle nostre spalle, e che si tratta dell’evento politico più importante della storia occidentale dopo la Rivoluzione francese, ma con una magnitudo ancora più forte per via del contesto globale di risonanza, che ne moltiplica gli effetti in modo incalcolabile.»

Invece di rivoluzione, ci parlano di guerra. Non chiamano con loro nome la rivoluzione, perché è la rivoluzione più noiosa della storia – e non potrebbe essere altrimenti, visto che l’obiettivo è la domesticazione dei costumi e la lotta alla forza, al fuoco, alla passione della natura umana attraverso l’ospedalizzazione coattiva della società e la smaterializzazione dei nostri rapporti –, in compenso chiamano rivoluzione l’annuncio della Superlega Europea e la virtualizzazione del calcio: qui sì, la rivoluzione, è avvertita come tale. Eppure, la (fallita?) fuga in avanti delle società più ricche del campionato europeo è l’altro nome di quello che stanno cercando di fare le forze capitalistiche occidentali e le classi più agiate: in particolare le agiatissime, quell’1 % – simbolico o meno – che detiene la ricchezza, il potere, il controllo e che dalla crisi in atto ha guadagnato in un anno il 50 % in più.

Così, mentre ci occupiamo di calcio, la rivoluzione va silenziosamente avanti. Le riaperture annunciate in questi giorni sono solo un momento di pseudorestaurazione provvisorio, proprio come accaduto l’anno scorso, legato alla stagionalità del virus. Come l’anno scorso, alla condotta degli «untori asintomatici» durante l’estate verrà attribuita la colpa per la salita dei previsti contagi autunnali: seguirà il ritorno al ciclo chemio dei lockdown già annunciato. Tuttavia, nel frattempo, la fase due non sarà la stessa dell’anno scorso, ma contemplerà una restrizione delle libertà costituzionali ancora più stringente (progressione): dopo aver prolungato per l’ennesima volta lo stato di emergenza nazionale e il coprifuoco, è previsto il “traguardo” di un’unica zona gialla per tutta l’Italia, all’interno della quale le attiviltà consentite si potranno svolgere secondo “nuove regole”, ovvero con ulteriori limitazioni rispetto al 2020, mentre noialtri “pazienti” ci potremo spostare tra fasce di diverso colore o accedere a determinati eventi solo dopo aver dato prova di lealtà al Comitato di salute pubblica: con il pass vaccinale, il tampone negativo o l’immunizzazione al virus. Il tutto, naturalmente, sempre sotto la spada di Damocle del «tracciamento» e dell’indice di contagio regionale, provinciale, di quartiere, scolastico, familiare. Dunque non è possibile neanche affermare che “a ottobre ricomincerà tutto daccapo”, perché durante l’estate avremo fatto un’altra progressione e a ben vedere a ottobre sarà ancora peggio, sotto il profilo dei diritti e della condizione economica, sociale, psicofisica di una grossa parte della popolazione. A questo proposito, prevedo in tempi rapidi la più completa legalizzazione della Cannabis terapeutica: come scrive Norman Ohler, autore di Tossici. L’arma segreta del Reich. La droga nella Germania nazista, «ogni regime ha la sua droga» e quella della Rivoluzione Covidista sarà l’erba – non per caso è un totalitarismo di sinistra –, ma consumata dietro prescrizione medica (ovvero privata dei suoi tratti ludici, sociali, legati alla “controcultura” e collegata invece alla malattia e ai diritti dei pazienti, naturalmente, ovvero al «consumo» individuale).

La seconda fase 2 è insomma solo la piattaforma di lancio della nuova fase 1, la terza, dell’autunno 2021. Non si va verso la fine dell’emergenza nazionale, ma tutto all’opposto verso il consolidamento e l’espansione del moto rivoluzionario, che è destinato a produrre onde graduali di pseudo-restaurazioni provvisorie e nuove progressioni per almeno un quinquennio, fino al 2025.

«La seconda fase 2 è insomma solo la piattaforma di lancio della nuova fase 1, la terza, dell’autunno prossimo. Non si va verso la fine dell’emergenza nazionale, ma tutto all’opposto verso il consolidamento del moto rivoluzionario, che è destinato a produrre onde graduali di pseudo-restaurazioni provvisorie e nuove progressioni per almeno un quinquennio, fino al 2025.»

A questo livello di consapevolezza perdiamo un’illusione, me ne rendo conto, ma era un miraggio controproducente e ci sbarrava la visuale: troviamo infatti, al suo posto, una dimensione di lotta all’altezza della sfida che ci è stata lanciata dalle forze storiche.

Lottare per il futuro

Per farlo, occorre la lotta. Solo la lotta può forgiare il guerriero capace di riempire la vuota piattaforma di valori nominali, che è crollata perché doveva crollare – basti pensare ai tagli che sono stati inflitti al sistema sanitario, determinando la crisi di sistema nella quale si sono inseriti tutti gli altri fattori –, della sostanza che non aveva e che l’ha resa inservibile, vacua, sacrificabile. Poiché intendiamoci, tutto quello che è crollato nel corso di quest’ultimo anno, è crollato perché non vi abitava più nulla dello spirito costituzionale a cui sempre facciamo appello: la sanità, l’istruzione, la letteratura, l’arte, il teatro, la cultura, la libera iniziativa, il mondo del lavoro e delle professioni, il tempo libero dell’esistenza, la stessa democrazia, picchettata da anni di “lotta alla casta”. C’era forse qualcosa che fosse all’altezza del suo presunto valore?

Lottare per il futuro significa tornare a immaginarne uno diverso: questo era il messaggio contenuto in Realismo capitalista di Max Fisher, alla cui lettura volentieri rimando.

Dobbiamo fare prima di tutto un esercizio di prefigurazione, che è un esercizio di proiezione nel futuro, dobbiamo riappropriarci del futuro, che è uno spazio di manovra molto attuale, concreto, e occupato manu militari dalle forze storiche: parliamo del tempo della nostra esistenza, un tempo libero dalle dinamiche del mercato, uno spazio interiore che è solo nostro, un teatro operativo autonomo – e come tale anche un luogo di perfezionamento dello spirito, non di «progresso» –, e dobbiamo metterci nella prospettiva di formare un esercito di oppositori che siano in grado di riconoscersi in campo e di agire come un sol uomo, rispondendo a tutte le azioni che saranno chiamati a compiere per liberare il futuro dalle forze di occupazione. Parlare di esercito può sembrare un’iperbole, ma l’immagine è il risultato di una radicalizzazione implicita nel moto rivoluzionario. Si è formata una frattura antropologica tale, in seguito alla violenza del colpo di scopa, che è destinata a riformulare perfino la distinzione novecentesca tra destra e sinistra: anche questo fa parte dei nostri compiti.

I segni della crisi di questi concetti, d’altra parte, hanno popolato le nostre discussioni da molto prima dell’anno zero. L’evento rivoluzionario, come per tutto il resto, non ha fatto altro che determinarne il crollo. Da marzo del 2020 in avanti, è iniziato un processo di speciazione. Adesso arriva il momento magnifico in cui è possibile riempire «destra e sinistra» di nuovi significarti.

La struttura a rete dell’opposizione

  1. La struttura dell’esercito di opposizione dovrà essere, per ovvie ragioni, a rete. Le principali caratteristiche di questa forma organizzativa sono così riassumibili: 1. strutture e processi che consentano di raggiungere la massima flessibilità e rapidità nel prendere decisioni; 2. processi di coordinamento alternativi e complementari alla gerarchia; 3. autorità decisionale decentralizzata; 4. possibilità di condividere conoscenze, informazioni e attività localizzate presso unità organizzative diverse; 5. utilizzo delle risorse per una pluralità di scopi.
  2. Questo esercito di oppositori – che è un’internazionale e ha già la sua Marsigliese, ma deve avere anche una sua “divisa”, un distintivo comune, virtuale e reale insieme –, dovrà esercitare la disobbedienza civile quale elemento di conflitto omeopatico rispetto al moto violento della storia, la non violenza come balsamo per ricostruire il tessuto sociale e ridare valore pezzo per pezzo a tutti gli articoli della Costituzione che sono stati, prima, traditi, e poi travolti. È indispensabile agire come se tutta l’impalcatura giuridica d’emergenza non esistesse, prendendola per quello che è: una scenografia, un fondale dipinto a colpi di atti amministrativi illegittimi,**** dati, dichiarazioni sui social e in tv, circolari, previsioni, annunci, propaganda; poiché questa guerra si sta svolgendo soprattutto nella testa delle persone, è nella testa delle persone che dobbiamo combatterla e vincerla: le piazze non servono più a nulla, ne abbiamo la prova ogni giorno. Dimentichiamoci per un momento delle piazze, dei No paura/lockdown day, dei flashmob, dei blocchi in autostrada, delle proteste di categoria, dei girotondi di Palazzo: parlano soltanto a chi è già d’accordo e possono portare allo stesso risultato del boicottaggio anti-nazista del 1933 da parte delle organizzazioni ebraiche: zero. Lo abbiamo visto in questi giorni con i fuochi di paglia dei ristoratori, che hanno solo prodotto un’accelerazione delle riaperture già previste, ma sempre alle condizioni della Causa terapeutica. Invece abbiamo bisogno di concentrare le nostre energie e risorse su un unico obiettivo, molto concreto, che non possa in alcun modo rappresentare una perdita di tempo, una scorciatoia, una delega di responsabilità, una vittoria di Pirro o una battaglia persa.
  3. Abbiamo bisogno di riconoscerci e di unirci in un esercito che mira a rifondare il Paese e l’Europa, non solo a liberarci: proprio perché tutto ciò che doveva crollare è crollato, chi stava sopra finisce sotto, chi stava sotto emerge. Sanità, istruzione, letteratura, arte, cultura, libera iniziativa, mondo del lavoro e delle professioni, tempo libero dell’esistenza, strutture democratiche: è sterminato il campo di intervento dove possiamo agire la nostra opposizione, la nostra disobbedienza, operando per rimuovere le tare che ci hanno condotto prima al disastro, e dopo al sacrificio.

Gandhi additava gli inglesi come «il male». Tuttavia li invitava ad andarsene in amicizia. Quindi l’accusa di “condotta nazista” non implica alcun atteggiamento violento o impertinente. Chi sta oggi dalla parte dei covidisti e della rivoluzione dei Palazzi rappresenta, come ho ampiamente dimostrato, una tendenza totalitaria della democrazia, la sua anima nera. Chi si oppone, viceversa, è un libertario. Se lo Stato tornerà a comportarsi da Stato di diritto e non da Stato etico, noi saluteremo questa notizia senza alcuno spirito di vendetta, e torneremo in amicizia con lo Stato, dove l’espressione politica e culturale della nostra lotta, che si formerà nella lotta, farà il suo corso nell’alveo che le è proprio.

L’arruolamento

Dobbiamo arruolare quante più persone possibile, e dobbiamo insegnar loro a lottare. Questa mobilitazione volontaria non rappresenta affatto un momento dottrinario, ma se ci pensiamo è solo l’esatto contravveleno della coscrizione vaccinale e digitale di massa. Gli oppositori devono imparare come si lotta, come si esercitano i diritti democratici, come si nega il consenso, in modo sistematico, ogni volta che sia possibile farlo, fosse anche una sola occasione per volta, ma investendo anche l’opinione pubblica, le forze dell’ordine e la magistratura di questo problema, che è di tutti. La magistratura, in particolare, prima che il sistematico depotenziamento dei giudici togati non raggiunga il suo culmine e non finisca dunque sotto ricatto economico, a sua volta, per le conseguenze della crisi, è l’unico potere dello Stato che possa aiutarci a ricomporre lo squilibrio dei poteri in atto e il caos contagioso che ne consegue. In caso contrario, la giurisprudenza tenderà – più passa il tempo –, a convalidare le nuove pratiche come diritto acquisito, poiché accettato come tale dalla stragrande maggioranza dei cittadini. Così è sempre accaduto in processo rivoluzionario. Noi invece neghiamo il consenso ai tamponi, al tracciamento, ai vaccini, all’obbligo di dimora, alla quarantena fiduciaria, al fascismo delle fasce di combattimento anti-Covid, al coprifuoco,***** al pass vaccinale, al mascherine, alle distanze, al termoscanner, alla DAD, alle gite scolastiche virtuali, alla cancellazione del contante, allo smart working e a tutto il campionario di “scopi etico-terapeutici” che risulta contrario al diritto e alla Costituzione, poiché neghiamo il consenso a ogni trattamento sanitario e ordine “terapeutico” non convalidato dall’autorità giudiziaria, alla dissociazione tra mente ed esperienza del mondo, alla dipendenza dalla tecnologia e dallo Stato etico, al dispotismo e a ogni forma di discriminazione in base a questi dispositivi o farmaci: è un nostro diritto e dobbiamo esercitarlo all’istante. Ma senza passare dalla parte del torto: deve essere sempre chiaro che la soverchieria, l’uso della forza, l’estorsione di determinate condotte, il ricatto etico, l’eversione del diritto, il bavaglio e la doma provengono da un lato solo e hanno per obiettivo, o come conseguenza, il perseguimento di utilità e di interessi opposti a quelli nominali, come delineato solo per difetto nella presente analisi.

Qualunque iniziativa cerchi di sovrapporsi inneggiando all’insurrezione violenta, deve essere considerata alla stregua di una battaglia sotto falsa bandiera, l’esercizio consapevole o incosciente di una strategia della tensione: non farebbe che peggiorare le cose, assecondando il verso della scopa.

Invece dobbiamo fare in modo di ribadire un principio: il regime non cambia a seconda del problema che abbiamo davanti, non diventa prussiano perché entriamo in guerra e tanto meno nazi-sanitario perché c’è un’epidemia, resta democratico a prescindere, fondato sullo Stato di diritto e la Costituzione: quella che verrà dopo il crollo del sogno messianico della Covid.

NOTE

* Russia, India, Cina, Oceania e Africa non ne sono riguardati se non tangenzialmente, almeno sotto il profilo epidemiologico (sotto il profilo politico, le restrizioni variano da regione a regione e da Paese a Paese anche nella Federazione russa, in India e in Africa, mentre la Cina ha dichiarato 4mila decessi e chiuso la partita in un mese e mezzo). Tra i motivi, ne viene spesso indicato uno prevalente: il nuovo virus è più aggressivo in quella fascia della popolazione anziana che riporta quadri clinici già compromessi. In Italia, dati Iss, a tutt’oggi l’età mediana di morte con o per Covid è 82 anni (85 a luglio 2020, confermando la stagionalità del virus). L’aspettativa di vita media, nel 2019, era di 83 anni: l’epidemia l’ha abbassata di un anno, sostituendo e aggravando – per quella fascia –, le conseguenze fatali della comune influenza, che invece è “sparita” per il combinato disposto di una più alta vaccinazione tra gli anziani (l’80 % delle dosi è andato a over 65), l’impiego delle norme di prevenzione anti-Covid e soprattutto il fenomeno della “competizione virale”, che ha visto prevalere il più aggressivo. Differente, di conseguenza, anche la contabilità al livello planetario: se teniamo conto che il virus ha coinvolto l’1,65 % della popolazione mondiale (a oggi, 130 milioni di casi su 7,85 miliardi di abitanti), mietendo 2.838.162 morti, «l’Europa ha registrato finora oltre 40 milioni di casi e quasi un milione di morti, l’America del Nord ha più di 35 milioni di positivi e oltre 800 mila morti, l’America del Sud ha 22 milioni di casi e mezzo milione di morti, mentre l’Asia ha 29 milioni di casi e 400 mila morti, l’Africa ha più di 400 mila casi e oltre 115 mila morti, l’Oceania ha registrato circa 40 mila positivi e meno di mille morti». In definitiva, i Paesi occidentali riportano la quasi totalità dei casi e dei decessi e dunque il concetto di “pandemia” è più ideologico (euroatlantico) che fattuale, mentre non esistono significative differenze tra chi ha ospedalizzato a forza la società e chi no, soprattutto non esistono differenze epidemiologiche legate al colore politico della gestione.

**«La società della cura» si legge spesso ultimamente. Mai che si legga «la società della prevenzione». Il problema infatti è che se previeni, non curi, e se non curi, molti farmaci finirebbero col perdere importanza, diversi stabilimenti e ospedali chiuderebbero e avremmo anche un certo numero di dottori in esubero. Quanto vale infatti tutto il settore biomedico? Dalla siringa al farmaco chemioterapico passando per ricerca e sviluppo pubblica e privata: tra il 10% e il 15% del PIL degli Stati. In termini assoluti si tratta di circa 8.000 miliardi di dollari. Se il comparto biomedico fosse uno Stato sarebbe il terzo più ricco del mondo. Ovviamente non tutte le patologie influiscono nello stesso modo dal punto di vista economico. Quali sono le patologie più remunerative? Quelle croniche. Durano decadi e il paziente è costretto a terapie costanti, e prima o poi andrà incontro ad un qualche intervento chirurgico e ospedalizzazioni. Quali sono le patologie croniche più diffuse? Le cardiovascolari. Quali sono i fattori che determinano le patologie cardiovascolari?
Fumo [ PREVENIBILE ]
Dislipidemie [gran parte dei casi PREVENIBILE]
Ipertensione [gran parte dei casi PREVENIBILE]
Diabete [gran parte dei casi PREVENIBILE]
Inattività fisica [gran parte dei casi PREVENIBILE]
Obesità [gran parte dei casi PREVENIBILE]
In altre parole, con una dieta e stile di vita adeguati il comparto biomedico per come lo conosciamo entrerebbe in crisi, insieme con diverse industrie dell’alimentare, liberando risorse utili per affrontare altri problemi. Ma sarebbe un terremoto culturale mal digeribile per molti, compresi gli stessi medici, specializzati appunto sulla cura e non sulla prevenzione (un medico specializzato in igiene e prevenzione, infatti, nell’ambiente non è considerato un medico, ma tutt’al più un manager, un burocrate senza pazienti e quindi senz’arte né parte). E poi c’è Big Pharma, appunto, che invece persegue l’interesse contrario: avere molte malattie croniche da curare, ciò che loro chiamano «salvare il mondo».

*** La vaccinazione è un momento sacrificale di massa che si presta bene a rappresentare, dal punto di vista socio-antropologico, il succedaneo del battesimo, che a sua volta è il sostituto cristiano dell’unzione sacra della vittima nella ancestrale cultura pagana. La vaccinazione massiva non viene promossa per curare in senso stretto – dal punto di vista medico, il vaccino è un farmaco di prevenzione –, ma nella nostra epoca la sua utilità è caricata di valori simbolici, assolutizzata a livelli di mitizzazione (la teoria dell’immunità di gregge è per l’appunto una teoria, come teorici sono i limiti di copertura fissati per ogni tipologia di vaccino), proprio perché include in una dimensione di sacrificio tutti gli individui di un determinato gruppo sociale. La vaccinazione di massa ha a che fare con la sfera del sacro, del confine tra vita e morte, salute e malattia, innocenza e colpevolezza, dannazione e consacrazione, identità e differenza, inclusione/esclusione. Il culto che la scienza medica e le istituzioni le riservano è tutt’uno con la necessità di re-ligere ossia legare insieme una massa indistinta di persone perché condividano una stessa esperienza, uno stesso rischio, uno stesso diventare superstiti e quindi più adatti e uniti di prima: sono dinamiche antropologiche di base, esatte come solo la matematica potrebbe descriverle, tipiche di una specie come la nostra, che si crede intelligente ma ha soltanto diecimila anni di storia, mentre i processi evolutivi ne richiedono milioni.

**** Alla data di oggi, questo è un’elenco (parziale) di sentenze e di procedimenti in corso a favore del diritto, della Costituzione, della salute e della libertà di tutti noi:

SENTENZA GIUDICE DI PACE di Frosinone n. 516 del 29/07/2020 (Multe illegittime) Link della sentenza.

ORDINANZA DEL TRIBUNALE di Roma del 16/12/2020 (I negozianti possono restare aperti perché i DPCM sono illegali) Link della sentenza.

SENTENZA PENALE GUP Giudice Udienze Preliminari di Reggio Emilia n. 54 del 27/01/2021 (Violare la zona rossa non è reato) Link della sentenza.

SENTENZA TRIBUNALE DI MILANO n. 20/194016 dicembre 2020 (Assoluzione da denuncia per falsa autocertificazione) Link della sentenza.

SENTENZA CORTE DI CASSAZIONE n. 7988 – 2021 del 01/03/2021 (Il mancato rispetto delle norme di contenimento non può configurare in alcun modo un illecito penale) Link della sentenza.

Ordinanza 26. 03.2021 n. 1947 872 (DAD ingiustificata nelle zone rosse)

SOSPENSIVA DEL TAR LAZIO “PROTOCOLLO COVID” 4 marzo 2021 STOP ALLA “VIGILE ATTESA CON TACHIPIRINA

PROCEDIMENTI IN CORSO:

1) 24 marzo (rinviata a causa dell’assenza del ministro, ISS, CTS) tema: INVALIDAZIONE TEST PCR (TAMPONI) Link per leggere la notizia

2) Il 14 APRILE: INIZIO PROCESSO PER 500 DECESSI BERGAMO E BRESCIA (imputati: Governo, medici, Regione e CTS) Link per leggere la notizia

3) CI SONO DUE DENUNCE PENALI PRESSO LA CEDU (Corte Europea dei Diritti Umani) una a cura del giudice Angelo GIORGIANNI e l’altra degli avv. Linda CORRIAS e Francesco SCIFO.

***** Il coprifuoco è, fra tutti, uno degli atti più palesemente ingiustificati e illegittimi. Neanche sotto il Fascismo o nel corso della Seconda guerra mondiale si è mai visto niente del genere: il coprifuoco, dalle 22 alle 5, venne imposto solo dopo la caduta del governo Mussolini, nel 1943, per motivi di ordine pubblico.


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